Ordinanza n. 292 del 2005

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ORDINANZA N. 292

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Piero Alberto                         CAPOTOSTI             Presidente

-  Fernanda                               CONTRI                       Giudice

-  Guido                                    NEPPI MODONA            “

-  Annibale                                MARINI                            “

-  Franco                                   BILE                                  “

-  Giovanni Maria                     FLICK                               “

-  Francesco                              AMIRANTE                      “

-  Ugo                                       DE SIERVO                      “

-  Romano                                 VACCARELLA                “

-  Paolo                                     MADDALENA                 “

-  Alfio                                      FINOCCHIARO               “

-  Alfonso                                QUARANTA                     “

- Franco                                   GALLO                              “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l’occupazione nelle aree depresse), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, promosso con ordinanza del 10 marzo 2004 dalla Commissione tributaria provinciale di Grosseto nella   controversia vertente tra Teodoro Giarnieri e la Agenzia delle entrate – Ufficio di Grosseto, iscritta al n. 1029 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2005.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio dell’8 giugno 2005 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da un contribuente nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso della ritenuta d’acconto effettuata ai fini dell’IRPEF dal suo datore di lavoro, la Commissione tributaria provinciale di Grosseto ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38 e 53 della Costituzione,  questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l’occupazione nelle aree depresse), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, con il quale il regime della tassazione separata previsto dall’articolo 16, comma 1, lettera a), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, viene esteso ai redditi riguardanti «le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro»;

che il giudice rimettente premette che il contribuente aveva stipulato con il suo datore di lavoro una transazione concernente la risoluzione del rapporto di lavoro, in forza della quale erano state attribuite al lavoratore, a titolo di risarcimento, somme  sulle quali il datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, aveva operato la ritenuta d’acconto ai fini dell’IRPEF;

che la Commissione tributaria ha ritenuto rilevante la sollevata questione, «poiché ove la norma di cui sopra venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, non vi sarebbe alcun titolo per l’Ufficio a ritenere le somme detratte a suo tempo dal sostituto di imposta per il semplice motivo che l’indennità attribuita […] a titolo risarcitorio non sarebbe comunque imponibile e per l’effetto non è quindi possibile decidere la causa indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale, essendo proprio questa la questione prospettata dal ricorrente e l’unico motivo di ricorso»;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente assume che la norma denunciata, nell’assoggettare ad imposta le somme percepite quale ristoro per un licenziamento illegittimo, si porrebbe in contrasto: a) con le norme della Costituzione che tutelano il lavoro (artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38); b) con le norme di legge che esentano il processo del lavoro da imposte e tasse; c) con il principio di capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., data la natura risarcitoria di tali somme, «versate quale ristoro di una perdita (del posto di lavoro, della relativa retribuzione, ecc….)»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per  l’inammissibilità o comunque per la manifesta infondatezza della sollevata questione;

che  la difesa erariale, quanto alla manifesta inammissibilità della  questione, osserva: a) che l’imponibilità delle somme transattivamente percepite dal lavoratore dipendente quale risarcimento di un danno da lucro cessante ed a definizione di una controversia concernente la cessazione del rapporto di lavoro non è stata introdotta dalla norma denunciata, ma è prevista dal combinato disposto degli artt. 6, comma  2, e 48 del d.P.R. n. 917 del 1986, che non forma oggetto di censura; b) che l’accoglimento della questione non inciderebbe sul disposto del parimenti non censurato art. 16, comma 1, lettera i), del d.P.R. n. 917 del 1986, che assoggetta a tassazione separata, in via generale, anche i proventi specificamente elencati nella norma denunciata;

che, quanto alla manifesta infondatezza, l’Avvocatura generale dello Stato deduce: a) che le somme oggetto della transazione in esame, attenendo al ristoro del lucro cessante e non del danno emergente, conservano, sul piano dell’idoneità ad esprimere una capacità contributiva, la medesima natura delle retribuzioni percepite per effetto della regolare prestazione del lavoro, senza che, pertanto, il loro assoggettamento ad imposta comporti alcuna violazione dell’art. 53 della Costituzione; b) che le norme che esentano il processo del lavoro da imposte e tasse non costituiscono un idoneo tertium comparationis, perché tali esenzioni riguardano imposte d’atto concernenti l’esercizio del diritto di agire in giudizio, mentre il giudizio a quo ha ad oggetto l’imposizione diretta di un reddito di lavoro od a questo assimilabile.

Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Grosseto dubita, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38 e 53 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l’occupazione nelle aree depresse), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, con il quale il regime della tassazione separata previsto dall’articolo 16, comma 1, lettera a) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, viene esteso ai redditi riguardanti «le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro»;

che il giudice a quo è chiamato a decidere sull’impugnazione del silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso, formulata da un lavoratore nei confronti dell’erario, della ritenuta d’acconto ai fini dell’IRPEF effettuata dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, sulla somma dallo stesso corrisposta in via transattiva a titolo di risarcimento del danno per la chiusura di una lite concernente il rapporto di lavoro;

che il rimettente ha motivato la rilevanza della sollevata questione affermando che, ove la norma denunciata venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, «non vi sarebbe alcun titolo per l’Ufficio a ritenere le somme detratte a suo tempo dal sostituto di imposta», in quanto «l’indennità attribuita […] a titolo risarcitorio non sarebbe comunque imponibile»;

che tale affermazione è errata, in quanto l’assoggettamento all’IRPEF delle somme percepite a titolo di risarcimento del danno consegue non dalla norma censurata, bensì dall’articolo 6, comma 2, primo periodo, del d.P.R. n. 917 del 1986 – il quale, nel classificare i redditi imponibili, stabilisce che «i proventi conseguiti in sostituzione di redditi […] e le indennità conseguite, anche in forma  assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti» – integrato, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, dall’art. 48, comma 1, primo periodo, dello stesso d.P.R., nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, il quale a sua volta prevede che «il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro»;

che la disposizione denunciata, come sopra osservato, si limita ad estendere il più favorevole regime della tassazione separata alle somme corrisposte a titolo risarcitorio, considerate imponibili dal combinato disposto dei citati articoli 6, comma 2, primo periodo, e 48, comma 1, primo periodo, del d.P.R. n. 917 del 1986;

che, pertanto, l’accoglimento della sollevata questione non avrebbe alcuna incidenza nel giudizio a quo ed in particolare, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, non comporterebbe il rimborso della ritenuta d’acconto chiesta in restituzione all’erario;

che, di conseguenza, la questione è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza (v., ex plurimis, sentenza n. 372 del 2003 e ordinanza n. 297 del 2000).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l’occupazione nelle aree depresse), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, sollevata, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Grosseto con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2005.