ORDINANZA N. 297
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236 e dell'art. 2, comma 5, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito in legge 19 luglio 1994, n. 451, promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio 1998 dal Tribunale di Verbania nei procedimenti civili riuniti vertenti tra l'INPS e Ciaramella Antonietta ed altro, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Visti l'atto di costituzione di Ciaramella Antonietta ed altro e dell'INPS nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 4 luglio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto;
uditi l'avvocato Salvatore Cabibbo per Ciaramella Antonietta ed altro e l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio di appello - proposto dall’INPS avverso la sentenza di primo grado, con la quale il Pretore di Verbania aveva riconosciuto il diritto di due pensionati di ottenere, in luogo del trattamento di vecchiaia per il relativo periodo, il trattamento di disoccupazione per i lavoratori frontalieri in Svizzera, ai sensi della legge 12 giugno 1984, n. 228 - il Tribunale di Verbania, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza emessa il 29 gennaio 1998, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito con modificazioni nella legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito con modificazioni nella legge 19 luglio 1994, n. 451, «nella parte in cui non prevedono che all’atto di iscrizione nelle liste di mobilità i lavoratori che fruiscono di pensione di vecchiaia possano optare tra tale trattamento e quello di mobilità»;
che il Tribunale rimettente, in termini di rilevanza della questione, ritiene la fondatezza del gravame, per avere il giudice di primo grado - in contrasto col principio generale di rigida incompatibilità affermato dall’impugnato art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993, solo in parte corretto dall’altrettanto censurato art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 299 del 1994 - erroneamente applicato in via analogica al caso oggetto del giudizio principale i dicta portati dalla sentenza n. 218 del 1995 [successivamente ribaditi nell’ordinanza n. 466 del 1995, resa su analoga questione], con cui la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo proprio l’art. 6, comma 7, nella parte in cui non prevede che all’atto di iscrizione nelle liste di mobilità i lavoratori che fruiscono dell’assegno o della pensione di invalidità possano optare tra tali trattamenti e quello di mobilità nei modi e con gli effetti previsti dagli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del menzionato decreto-legge n. 299 del 1994;
che, a giudizio del rimettente, pur non essendo consentita dalla specificità della fattispecie la diretta estensione della richiamata pronuncia al caso di concorso tra trattamento di disoccupazione e pensione di vecchiaia, tuttavia gli stessi argomenti posti a base di quella declaratoria di illegittimità costituzionale (fondati sul corretto contemperamento della discrezionalità del legislatore nello stabilire eventuali rapporti di cumulabilità ovvero di incompatibilità tra diverse prestazioni previdenziali ed assistenziali, alla luce della necessità di preservare l’equilibrio della finanza pubblica, con gli altri valori costituzionali in gioco, rappresentati dalle esigenze della solidarietà e della liberazione dal bisogno del soggetto e dal principio di uguaglianza e ragionevolezza, che la concentrazione dell’intervento del sistema di sicurezza sociale in un’unica prestazione deve comunque soddisfare) portino a ritenere l’illegittimità dell’applicazione del rigido criterio dell’incompatibilità anche al caso in cui il soggetto astrattamente titolare di trattamento di disoccupazione goda di pensione di vecchiaia;
che, sempre secondo il Tribunale, la situazione del vecchio-disoccupato è infatti equiparabile a quella dell’invalido-disoccupato; ed il contrasto con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza si manifesta con maggiore evidenza nel caso in cui (come nella specie) la pensione di vecchiaia non sia integrata al minimo, e venga erogata per importi di modestissima entità, rendendosi così negativo il giudizio di sufficienza dell’attribuzione di un unico trattamento previdenziale per garantire al lavoratore assicurato mezzi adeguati alle esigenze di vita sue e della famiglia;
che si sono costituite le parti private del giudizio a quo, le quali - dichiarando di condividere appieno la prospettazione di cui all’ordinanza di rimessione - hanno concluso per l’accoglimento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme denunciate;
che si è costituito anche l’INPS, concludendo per la non fondatezza della sollevata questione;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità della questione o, in subordine, per la sua manifesta infondatezza.
Considerato che il giudice a quo pone a base del suo ragionamento un’asserita equiparazione tra lavoratore beneficiario della pensione di invalidità, avente diritto all’indennità di mobilità (il quale, in virtù della sentenza n. 218 del 1995 di questa Corte, può scegliere tra le due provvidenze al momento dell’iscrizione nelle liste di mobilità) ed il titolare di pensione di vecchiaia (il quale, in quanto frontaliero, avrebbe diritto al trattamento speciale di disoccupazione ex lege n. 228 del 1984), senza affatto motivare in ordine alla configurabilità di una coincidenza - quanto a natura, presupposti ed effetti - fra il trattamento di disoccupazione speciale di cui alla menzionata legge n. 228 del 1984 ed il trattamento di mobilità;
che, a conclusione dell'iter logico come sopra seguìto, viene chiesto alla Corte un intervento additivo che consenta al lavoratore da ultimo menzionato di optare per il trattamento più favorevole: facoltà, questa, specificatamente introdotta dall’art. 9, comma 2, della legge 5 giugno 1997, n. 147, ignorata nell'ordinanza di rimessione (anche con riguardo alle norme contenute nell'art. 4);
che, ancor prima di apprezzare la correttezza dell'asserita equiparazione e di valutare il mancato riferimento alla norma da ultimo citata, anche in termini di rilevanza nel giudizio a quo, deve in limine osservarsi come il rimettente prospetti la questione e individui le norme che assume illegittime, in modo tale da far comunque escludere che l’effetto dell’invocata pronuncia possa essere quello voluto;
che, infatti, il Tribunale di Verbania censura, «nella parte in cui non prevedono che all’atto di iscrizione nelle liste di mobilità i lavoratori che fruiscono di pensione di vecchiaia possano optare tra tale trattamento e quello di mobilità», da un lato l’art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993 - dove viene sancito il generale principio d’incompatibilità fra trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione, indennità di mobilità e trattamenti pensionistici diretti - e dall’altro lato l’art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 299 del 1994, norma costruita come eccezione alla regola precedente, in quanto introduttiva dell’opzione soltanto tra l’indennità di mobilità e le prestazioni di invalidità;
che, quindi, è chiesta alla Corte un’addizione entro le medesime coordinate della citata sentenza n. 218 del 1995, trascurando il dato essenziale che, in favore dei lavoratori frontalieri, non è possibile estendere detta eccezione, essendo essa strutturalmente limitata alla sola indennità di mobilità e direttamente correlata - per quanto riguarda l'esercizio dell’opzione - all’iscrizione nelle relative liste: provvidenza ed iscrizione, entrambe estranee (almeno sotto la legislazione del tempo) alla disciplina dei frontalieri, beneficiari del ben diverso e peculiare trattamento di disoccupazione speciale, rispetto ai quali, dunque, l’invocata declaratoria risulterebbe inutiliter data;
che, pertanto, il sindacato di costituzionalità non può essere ammesso.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito con modificazioni nella legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito con modificazioni nella legge 19 luglio 1994, n. 451, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dal Tribunale di Verbania, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 17 luglio 2000.