ORDINANZA N. 262
ANNO 2005REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 109 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), nel testo sostituito dall’art. 8 della legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riordino della legislazione nazionale del turismo), promossi con tre ordinanze del 26 marzo 2004 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno, rispettivamente iscritte ai nn. 612, 613 e 699 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 27 e 35, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 maggio 2005 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto che, con tre distinte ordinanze di simile contenuto (tutte emesse il 26 marzo 2004 e rispettivamente iscritte al r.o. nn. 612, 613 e 699 del 2004), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 109 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), “nella parte in cui prevede la sanzione penale per l’omessa o ritardata comunicazione dei nominativi degli ospiti di un albergo”, là dove gli artt. 86 e 108 del medesimo regio decreto n. 773 del 1931 (TULPS) “stabiliscono la mera sanzione amministrativa in caso di esercizio dell’attività senza licenza, senza previa dichiarazione all’autorità di pubblica sicurezza o in spregio del divieto del questore”;
che il remittente è chiamato a pronunciarsi sulla richiesta del pubblico ministero di emissione di decreti penali di condanna nei confronti di tre distinti gestori di strutture ricettive, imputati del reato di cui agli artt. 109 e 17 TULPS, per aver, nella suddetta qualità, omesso di comunicare all’autorità locale di pubblica sicurezza, entro le ventiquattro ore dal loro arrivo, le generalità di talune persone alloggiate;
che, come rileva il giudice a quo, la condotta ascritta agli imputati, della quale vi sarebbe concreto riscontro in base alle risultanze degli atti, integrerebbe la fattispecie descritta dal citato art. 109, la cui sanzione, non indicata dal medesimo art. 109, va individuata, “in difetto di altri possibili riferimenti”, nella generale statuizione dell’art. 17 dello stesso TULPS, sicché la condotta contestata andrebbe punita con la pena alternativa dell’arresto sino a tre mesi o dell’ammenda sino ad euro 206,00;
che, tanto premesso, il remittente evidenzia che il testo della norma denunciata è stato più volte interessato da interventi del legislatore e l’attuale formulazione è quella risultante dalle modifiche apportate dall’art. 8 della legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riordino della legislazione nazionale del turismo);
che, difatti, già punita con le pene dell’arresto e dell’ammenda, la condotta prevista dall’art. 109 è stata oggetto di depenalizzazione ad opera dell’art. 7 della legge n. 203 del 1995 (rectius: decreto-legge 29 marzo 1995, n. 97, recante “Riordino delle funzioni in materia di turismo, spettacolo e sport”, convertito, con modificazioni, nella legge 30 maggio 1995, n. 203), e tale previsione, ad avviso del remittente, si poneva in linea con la scelta legislativa attuata con il decreto legislativo 13 luglio 1994, n. 480 (Riforma della disciplina sanzionatoria contenuta nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773), che aveva sanzionato soltanto in via amministrativa le violazioni degli artt. 86 e 108 TULPS, i quali, rispettivamente, prevedono l’obbligo di munirsi di licenza per l’esercizio dell’attività alberghiera (art. 86), nonché l’obbligo, per chi intenda esercitare attività di affittacamere e simili, di provvedere ad una preventiva dichiarazione all’autorità locale di pubblica sicurezza (art. 108), la quale può vietare l’attività per specifici motivi di ordine e sicurezza pubblica (art. 108, comma 3);
che, ad avviso del GIP del Tribunale di Livorno, la depenalizzazione della condotta prevista dall’art. 109 TULPS conseguiva logicamente alla depenalizzazione delle condotte punite dalle altre norme suddette, giacché era stato ricondotto nell’ambito dell’illecito amministrativo “addirittura l’esercizio irregolare dell’intera attività”;
che, pertanto, argomenta ancora il giudice a quo, “la modifica operata dall’art. 8 legge 29 marzo 2001, n. 135 ripristina la condizione di disequilibrio che, conseguita all’intervento del 1994, era stata prontamente ovviata nel 1995”, con conseguente violazione del principio di ragionevolezza, avendo il legislatore, da un lato, mantenuto la sanzione amministrativa “per l’illecito esercizio tout court di un’attività di ricezione turistica” e, dall’altro, introdotto la sanzione penale “per la violazione di una delle modalità sancite dalla legge per la sua corretta conduzione, ovvero la tempestiva comunicazione all’autorità di p.s. dei dati personali inerenti gli ospiti (con massima contraddizione laddove le due violazioni vengano consumate congiuntamente)”;
che è intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata;
che, nei giudizi iscritti al r.o. nn. 612 e 613 del 2004, la difesa erariale osserva che le norme poste a confronto dal remittente hanno ragioni e finalità differenti;
che, in particolare, nell’ipotesi di cui all’art. 108 TULPS, l’interesse tutelato è quello dell’amministrazione locale ad essere informata dell’inizio dell’esercizio dell’attività alberghiera per meglio consentire i vari controlli attribuiti alla polizia locale, senza che, però, detta attività possa essere impedita in un regime di libera iniziativa economica;
che, dal canto suo, l’art. 109 denunciato tutela invece la sicurezza pubblica, nel cui interesse deve quindi leggersi l’obbligo di informativa all’autorità di pubblica sicurezza della presenza in strutture ricettive, caratterizzatesi per la temporaneità del soggiorno, nell’ottica di prevenzione dei reati;
che, pertanto, ad avviso dell’Avvocatura, le situazioni poste a raffronto dal remittente sono diverse e che, dunque, ben può il legislatore calibrare differentemente la risposta sanzionatoria, senza incorrere nella violazione del principio di ragionevolezza, tanto più che anche sui privati grava analogo obbligo di comunicazione dell’ospitalità resa a soggetti diversi dai componenti il nucleo familiare;
che, nel giudizio di cui all’ordinanza iscritta al r.o. n. 699 del 2004, l’Avvocatura erariale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della questione, assumendo che, semmai, avrebbe dovuto essere sottoposto a scrutinio di costituzionalità l’art. 17 TULPS che prevede la sanzione per la violazione dell’art. 109;
che, quanto al merito, nella memoria si osserva che l’obbligo imposto dalla disposizione censurata è “opportunamente” soggetto a pena criminale, “dovendosi permettere all’autorità di p.s. di conoscere concretamente e immediatamente le presenze sul suo territorio”; donde, l’assenza di irrazionalità nella disciplina denunciata.
Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno, con tre distinte ordinanze, denuncia l’art. 109 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), nel testo sostituito dall’art. 8 della legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riordino della legislazione nazionale del turismo), “nella parte in cui prevede la sanzione penale per l’omessa o ritardata comunicazione dei nominativi degli ospiti di un albergo, laddove gli artt. 86 e 108 TULPS stabiliscono la mera sanzione amministrativa in caso di esercizio dell’attività senza licenza, senza previa dichiarazione all’autorità di pubblica sicurezza o in spregio del divieto del questore”;
che il remittente deduce, in tutti i casi, la violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto contrasterebbe con il principio di ragionevolezza il fatto che il legislatore, da un lato, ha mantenuto la sanzione amministrativa “per l’illecito esercizio tout court di un’attività di ricezione turistica” e, dall’altro, ha introdotto la sanzione penale “per la violazione di una delle modalità sancite dalla legge per la sua corretta conduzione, ovvero la tempestiva comunicazione all’autorità di p.s. dei dati personali inerenti gli ospiti (con massima contraddizione laddove le due violazioni vengano consumate congiuntamente)”;
che tutte le ordinanze di remissione pongono, quindi, la medesima questione di costituzionalità, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che la censura del remittente si incentra sulle conseguenze sanzionatorie della violazione dell’art. 109 TULPS, nel testo novellato dall’art. 8 della legge 29 marzo 2001, n. 135, là dove, segnatamente nel terzo comma, è imposto, a carico dei gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive, l’obbligo di comunicare all’autorità locale di pubblica sicurezza le generalità delle persone alloggiate entro le ventiquattro ore successive al loro arrivo, mediante consegna di copia della scheda di dichiarazione delle generalità conforme al modello approvato dal Ministero dell’interno o, in alternativa, mediante invio, entro lo stesso termine, alle questure territorialmente competenti dei dati nominativi delle predette schede con mezzi informatici o telematici o mediante fax secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno;
che, nel prospettare la questione, il giudice a quo puntualmente evidenzia che nella formulazione del citato art. 109 non è presente alcuna sanzione e che, pertanto, a tal fine, deve farsi riferimento, in assenza di ulteriori e specifiche disposizioni punitive, a quanto stabilisce l’art. 17 dello stesso TULPS, e cioè alla pena alternativa dell’arresto sino a tre mesi o dell’ammenda sino ad euro 206,00, così esplicitando, con adeguata e plausibile motivazione, le ragioni per cui le due predette disposizioni si pongono in stretta correlazione, costituendo l’una il precetto e l’altra la rispettiva sanzione;
che, dunque, non può trovare accoglimento l’eccezione di inammissibilità dell’Avvocatura generale dello Stato, avanzata sul presupposto che il remittente avrebbe dovuto denunciare non già l’art. 109 bensì l’art. 17, giacché, come evidenziato, i termini della questione risultano comunque chiaramente delineati, nel loro complesso, dalle ordinanze di remissione;
che, quanto al merito, va rammentato l’orientamento di questa Corte secondo cui rientra nella discrezionalità del legislatore sia l’individuazione delle condotte punibili, sia la scelta e la quantificazione delle relative sanzioni: discrezionalità che può essere oggetto di censura, in sede di scrutinio di costituzionalità, soltanto ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza (da ultimo, si vedano: sentenza n. 144 del 2005; ordinanze n. 212 del 2004, n. 139 del 2004 e n. 234 del 2003);
che la scelta del legislatore del 2001 di ripristinare la sanzione penale rispetto alla violazione del censurato art. 109, già oggetto di depenalizzazione in forza dell’art. 7, comma 3, del decreto-legge 29 marzo 1995, n. 97 (Riordino delle funzioni in materia di turismo, spettacolo e sport), convertito, con modificazioni, nella legge 30 maggio 1995, n. 203, dopo che l’art. 4 del decreto legislativo 13 luglio 1994, n. 480 (Riforma della disciplina sanzionatoria contenuta nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773) aveva previsto specificamente la sanzione penale dell’arresto o dell’ammenda, non può dirsi manifestamente irrazionale o arbitraria sulla scorta della mera valutazione del giudice a quo in ordine all’asserita minore o pari gravità della condotta ivi descritta rispetto a quelle previste dagli artt. 86 e 108 TULPS, assunti a tertia comparationis, e la cui violazione è punita con sanzione amministrativa in base all’art. 17-bis TULPS;
che, difatti, il remittente omette anzitutto di considerare, in riferimento al citato art. 108, che l’obbligo, per chi intenda esercitare attività di affittacamere e simili, di provvedere ad una preventiva dichiarazione all’autorità locale di pubblica sicurezza è venuto meno a seguito dell’abrogazione parziale recata dall’art. 6 del d.P.R. 28 maggio 2001, n. 311 (Regolamento per la semplificazione dei procedimenti relativi ad autorizzazioni per lo svolgimento di attività disciplinate dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza nonché al riconoscimento della qualifica di agente di pubblica sicurezza);
che, inoltre, quanto all’art. 86, l’attuale disciplina, dettata dall’art. 9 della legge n. 135 del 2001, riconfermando sostanzialmente il previgente assetto di competenze già delineato dall’art. 19 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), prevede, ai fini dell’esercizio di attività alberghiera, non già la licenza rilasciata dal questore, ma l’autorizzazione del sindaco del comune nel cui territorio è ubicato l’esercizio, precisando che siffatta autorizzazione “è rilasciata anche ai fini di cui all’articolo 86 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza” (comma 2 del citato art. 9);
che le disposizioni evocate come termini di comparazione si riferiscono, quindi, ai presupposti per l’esercizio stesso dell’attività alberghiera, che è espressione di libera iniziativa economica, mentre l’obbligo di comunicazione delle generalità delle persone alloggiate imposto dall’art. 109, terzo comma, investe una modalità di svolgimento di tale attività d’impresa che si correla, con immediatezza, a specifiche esigenze di sicurezza pubblica, giacché il predetto obbligo è volto a consentire all’autorità di polizia la più rapida cognizione dei nominativi degli ospiti dell’albergo al fine di garantire, appunto, la sicurezza pubblica nell’ambito dei compiti d’istituto individuati dall’art. 1 TULPS;
che, pertanto, risultando evidente la disomogeneità delle fattispecie poste a raffronto, non può dirsi frutto di scelta arbitraria o manifestamente irragionevole l’aver il legislatore, con la novella recata dall’art. 9 della legge n. 135 del 2001, ristabilito, in vista della suddetta esigenza di tutela della collettività, un differente e più rigoroso trattamento sanzionatorio in relazione alla violazione dell’obbligo previsto dalla norma censurata;
che la questione, dunque, deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 109 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), nel testo sostituito dall’art. 8 della legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riordino della legislazione nazionale del turismo), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno, con le ordinanze in epigrafe indicate.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2005.