ORDINANZA N. 198
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dei decreti del Presidente della Repubblica del 7 aprile 2005, con i quali è stata fissata al 12 giugno 2005 la data per il voto relativo ai referendum abrogativi ammessi con sentenze della Corte costituzionale numeri 46, 47, 48 e 49 del 2005, nonché della deliberazione del Consiglio dei ministri del 7 aprile 2005, avente ad oggetto la fissazione della data del 12 giugno 2005 per lo svolgimento dei referendum e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, promosso da Lanfranco Turci, Antonio Adolfo Maria Del Pennino, Rita Bernardini, Barbara Maria Simonetta Pollastrini, Monica Soldano, Vittoria Franco, Katia Zanotti, con ricorso depositato il 13 aprile 2005 ed iscritto al n. 287 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 4 maggio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 13 aprile 2005, Lanfranco Turci, Antonio Adolfo Maria Del Pennino, Rita Bernardini, Barbara Maria Simonetta Pollastrini, Monica Soldano, Vittoria Franco e Katia Zanotti, nella qualità di promotori e presentatori di quattro referendum abrogativi concernenti alcuni articoli della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevano conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente della Repubblica e del Consiglio dei ministri in riferimento: a) ai decreti del Presidente della Repubblica del 7 aprile 2005 che hanno indetto i referendum per il 12 giugno 2005; b) alla deliberazione del Consiglio dei ministri del 7 aprile 2005 che ha fissato al 12 giugno 2005 la data di svolgimento dei referendum; c) a «ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente» a quelli dianzi indicati;
che i ricorrenti deducono che il Governo avrebbe fatto cattivo uso del potere attribuitogli dall’art. 34 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) e in tal modo leso la sfera di attribuzioni dei promotori del referendum, quale determinata dall’art. 75 della Costituzione: e ciò in quanto la data prescelta per il voto referendario (il 12 giugno 2005) non terrebbe conto del fatto che, per una serie di situazioni oggettive di carattere eccezionale – in specie, la circostanza che il 10 giugno hanno inizio, in quasi tutte le Regioni, le vacanze scolastiche e che a partire dallo stesso giorno vi è il primo scaglionamento delle ferie di ampi settori dell’impiego pubblico e privato – è ipotizzabile una scarsa partecipazione degli elettori;
che – ad avviso dei ricorrenti – ciò determina il rischio del mancato raggiungimento del quorum fissato dall’art. 75 Cost., e consente alle forze politiche e sociali contrarie all’abrogazione di avvalersi dell’astensione come strumento per conseguire detto scopo: obiettivo, questo, che non può essere perseguito o avallato dal Governo, neppure indirettamente o implicitamente, a meno di violare l’obbligo costituzionale di neutralità e imparzialità e di menomare la funzione di promozione del referendum che la Costituzione assegna ai comitati promotori;
che se è vero, difatti, che il raggiungimento del quorum resta affidato alla disponibilità e responsabilità degli elettori, è altrettanto vero, però, che nulla dovrebbe essere fatto per rendere difficile o intralciare la partecipazione elettorale: stante il favor che assiste l’istituto, ogni limite allo svolgimento del referendum finirebbe per ledere la stessa regolarità delle operazioni di voto (artt. 75 e 48 Cost.);
che, in via subordinata, i ricorrenti assumono che la convocazione dei comizi sia lesiva della loro sfera di attribuzioni e costituisca violazione del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato, in quanto la data del 12 giugno 2005 non è stata fissata previa audizione dei comitati promotori e a seguito di concertazione con essi;
che il principio di leale collaborazione fra i poteri – immanente all’ordinamento costituzionale e comunque desumibile, nella specifica materia, dagli artt. 1, 3 e 75 Cost. – comporta, infatti, che, quando ad un procedimento di rilievo costituzionale partecipano più organi o soggetti, essi hanno il dovere giuridico di cooperare lealmente in vista del raggiungimento del risultato cui il procedimento medesimo è finalizzato;
che, in base alla disciplina dettata dalla legge n. 352 del 1970, il procedimento referendario risulterebbe, in effetti, chiaramente improntato al principio di leale collaborazione fra comitato promotore e altri poteri dello Stato, in vista dell’effettuazione della consultazione popolare;
che tale principio troverebbe attuazione nella fase che si svolge davanti all’Ufficio centrale costituito presso la Corte di cassazione, essendo previsto: sia che i promotori «hanno facoltà di presentare per iscritto le loro deduzioni» sull’ordinanza di detto Ufficio relativa ad eventuali irregolarità delle singole richieste, e sulla proposta di concentrazione dei quesiti che rivelino uniformità o analogia di materia (art. 32, quinto comma); sia che la denominazione della richiesta di referendum da riprodurre nella parte interna delle schede di votazione, al fine di identificarne l’oggetto, è stabilita dall’Ufficio centrale «sentiti i promotori» (art. 32, settimo comma); mentre, poi, con riguardo alla eventuale cessazione delle operazioni referendarie per nuova disciplina legislativa sopraggiunta, questa Corte ha affermato, con la sentenza n. 68 del 1978, che la valutazione circa l’incidenza della nuova disciplina è affidata all’Ufficio centrale «sentiti i promotori della corrispondente richiesta»;
che una leale collaborazione con i promotori è prefigurata anche nella fase che si svolge davanti alla Corte costituzionale, in cui è prevista – per i delegati, i presentatori e il Governo – la possibilità di depositare memorie sulla legittimità costituzionale delle richieste di referendum, non oltre tre giorni prima della data fissata per la deliberazione (art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970); e, d’altra parte, il comitato promotore è stato ammesso ad intervenire in camera di consiglio per esporre oralmente le ragioni a sostegno dell’ammissibilità del quesito referendario;
che l’omessa previsione, nella legge n. 352 del 1970, di un concorso dei promotori nella fase finale dell’indizione del referendum – e, segnatamente, la mancata previsione, nell’art. 34, primo comma, di detta legge, dell’audizione del comitato promotore da parte del Governo, ai fini di individuare la data più opportuna per la votazione – non potrebbe d’altro canto essere interpretata come preclusiva di tale concertazione: e ciò perché il dovere di collaborare lealmente si pone come principio generale, cui deve necessariamente ispirarsi, anche in assenza di norme legislative espresse, l’esercizio di funzioni costituzionalmente riconosciute;
che ove peraltro si ritenesse che il citato art. 34, primo comma, della legge n. 352 del 1970 non possa essere interpretato nel senso dianzi esposto, esso risulterebbe costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 1, 3 e 75 Cost. e del principio di leale cooperazione;
che i ricorrenti chiedono, pertanto, a questa Corte di dichiarare, in via principale, che non spetta al Governo, sotto il profilo del cattivo uso del potere, convocare i comizi referendari per il 12 giugno 2005; ovvero, in subordine, che non spetta al Governo convocare i comizi referendari per tale data, senza aver prima consultato il comitato promotore del referendum e concordato con esso la relativa data: in entrambi i casi annullando i decreti del Presidente della Repubblica impugnati;
che, in linea ulteriormente gradata, i rimettenti invitano questa Corte a sollevare davanti a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, primo comma, della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui non prevede che debbano essere ascoltati – con parere obbligatorio, ancorché non vincolante – i rappresentanti del comitato promotore del referendum ai fini della concertazione della data di votazione;
che i ricorrenti chiedono, infine, alla Corte di disporre, in via cautelare, la sospensione dei decreti impugnati, sollecitando in tal modo la fissazione di una nuova data a seguito di concertazione con i comitati.
Considerato che, ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte è chiamata preliminarmente a decidere con ordinanza in camera di consiglio, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile sotto il profilo dell’esistenza della materia di un conflitto, la cui risoluzione spetti alla sua competenza, con riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi di cui al primo comma del medesimo art. 37; restando impregiudicata ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità;
che, sotto il profilo della legittimazione dei ricorrenti, questa Corte ha già, più volte, riconosciuto agli elettori, in numero non inferiore a 500.000, sottoscrittori della richiesta di referendum – dei quali i promotori sono competenti a dichiarare la volontà in sede di conflitto – la titolarità, nell’ambito della procedura referendaria, di una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in quanto essi attivano la sovranità popolare nell’esercizio dei poteri referendari (cfr., ex plurimis, sentenze n. 502 del 2000, n. 49 del 1998 e n. 102 del 1997; ordinanze n. 195 del 2003 e n. 131 del 1997);
che, sempre sotto il profilo soggettivo, va altresì riconosciuta la legittimazione passiva del Presidente della Repubblica e del Consiglio dei ministri;
che, quanto al requisito oggettivo, occorre verificare se la controversia, che il ricorso mira ad instaurare, riguardi la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per il comitato promotore del referendum da norme costituzionali;
che, quindi, nella specie, in sede di giudizio di ammissibilità del ricorso si deve stabilire se sia astrattamente configurabile un’attribuzione costituzionale del comitato promotore, suscettibile di essere violata ad opera del decreto di fissazione della data di svolgimento delle operazioni elettorali referendarie;
che, al riguardo, i ricorrenti deducono, in via principale, che la data fissata per lo svolgimento delle consultazioni referendarie non terrebbe conto di situazioni oggettive idonee ad incidere negativamente sull’esercizio del diritto di voto, influendo in concreto sulla possibilità dei cittadini di esprimere la loro volontà elettorale; e ledendo così la sfera di attribuzioni garantita ai promotori;
che questa Corte ha già avuto modo di chiarire – con riferimento ad analogo ricorso – che l’individuazione, ad opera dell’art. 34, primo comma, della legge n. 352 del 1970, di un rigido e ristretto arco temporale, entro il quale deve essere tenuta la votazione, rivela come la valutazione dei possibili interessi coinvolti sia stata effettuata dal legislatore con una disciplina di per sé non irragionevole, la quale rende, «nella fisiologia del sistema, non altrimenti vincolata la scelta della data all’interno del predetto arco temporale, salvo che sussistano oggettive situazioni di carattere eccezionale … idonee a determinare un’effettiva menomazione del diritto di voto referendario» (cfr. ordinanza n. 131 del 1997);
che rientra nella sfera delle attribuzioni del comitato la pretesa allo svolgimento delle operazioni di voto referendario, una volta compiuta la procedura di verifica della legittimità e della costituzionalità delle relative domande; ma non anche – in assenza di situazioni eccezionali – la pretesa di interferire sulla scelta governativa, tra le molteplici, legittime opzioni, della data all’interno del periodo prestabilito (cfr. ancora l’ordinanza n. 131 del 1997);
che le situazioni cui gli odierni ricorrenti annettono la menomazione dell’esercizio del diritto di voto, qualificandole come eccezionali – ossia l’inizio delle vacanze scolastiche e dei primi scaglioni di ferie nell’impiego pubblico e privato – sono, d’altra parte, manifestamente prive di tale connotazione;
che, in via subordinata, i ricorrenti si dolgono del fatto che il Governo non abbia concordato la data di votazione con i comitati promotori, violando con ciò – in assunto – il principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato;
che – a prescindere da ogni rilievo circa la correttezza della ricostruzione operata dai ricorrenti, volta ad interpretare in chiave di leale collaborazione tra poteri gli interventi dei promotori previsti nelle fasi del procedimento referendario che si svolgono davanti all’Ufficio centrale presso la Corte di cassazione ed alla Corte costituzionale – è dirimente, al riguardo, la considerazione che il principio evocato può operare solo allorché sussista l’esigenza di coordinare due distinte sfere di attribuzione, di rilevanza costituzionale, o di regolarne le reciproche interferenze;
che nella specie, alla luce di quanto dianzi indicato, non è configurabile alcuna concorrente attribuzione, costituzionalmente garantita, del comitato promotore del referendum riguardo alla scelta della data di votazione entro la fascia temporale prestabilita dal legislatore: circostanza, questa, che rende inconferente il richiamo al principio di leale collaborazione; ed esclude, altresì, che sussistano i presupposti affinché questa Corte sollevi innanzi a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, primo comma, della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui non prevede la concertazione con il comitato promotore della data della consultazione referendaria, secondo quanto richiesto in via ulteriormente subordinata dai ricorrenti;
che, conclusivamente, le determinazioni assunte con i decreti di indizione delle consultazioni referendarie oggetto di ricorso non appaiono, neppure astrattamente, idonee ad incidere sulla sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita ai ricorrenti;
che il ricorso proposto deve ritenersi dunque inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2005.