ORDINANZA N.195
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato, sorto a seguito della legge 27 dicembre 2001, n. 459 (Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero); del d.P.R. 2 aprile 2003, n. 104 (Regolamento di attuazione della legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante disciplina per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero); della deliberazione della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi approvata il 16 aprile 2003, recante "Disposizioni in materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico relative alle campagne per i referendum popolari per l’abrogazione di disposizioni recate dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori e per l’abrogazione della servitù coattiva di elettrodotto indetti per il giorno 15 giugno 2003", promosso dai signori Giuliani Livio e Rienzi Carlo, nella qualità di promotori e presentatori del referendum popolare per l’abrogazione della servitù coattiva di elettrodotto, ammesso dalla Corte costituzionale con sentenza n. 44 del 2003, con ricorso depositato il 20 maggio 2003 ed iscritto al n. 246 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2003 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto che Livio Giuliani e Carlo Rienzi, con ricorso presentato il 20 maggio 2003, nella qualità di promotori e presentatori del referendum popolare per l’abrogazione della servitù coattiva di elettrodotto, ammesso dalla Corte costituzionale con sentenza n. 44 del 2003 ed indetto per il 15 giugno 2003, sollevano conflitto di attribuzione implicitamente contro le Camere del Parlamento, il Governo e la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, in relazione alla legge 27 dicembre 2001, n. 459 (Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero), nonché al d.P.R. 2 aprile 2003, n. 104 (Regolamento di attuazione della legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante disciplina per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero) e alla deliberazione della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi approvata il 16 aprile 2003 (Disposizioni in materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico relative alle campagne per i referendum popolari per l’abrogazione di disposizioni recate dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e per l’abrogazione delle servitù coattive di elettrodotto indetti per il giorno 15 giugno 2003);
che, secondo i ricorrenti, il Parlamento avrebbe fatto "cattivo uso del potere di cui all’art. 70 Cost." avendo previsto nell’art. 1, secondo comma, e seguenti della legge 27 dicembre 2001, n. 459 l’esercizio del voto per corrispondenza da parte degli elettori stabilmente residenti all’estero, così non garantendo "la segretezza del voto, proclamata dall’art. 48 della Costituzione" e quindi la sua stessa libertà;
che, secondo il ricorso, il Parlamento avrebbe fatto "cattivo uso del potere di cui all’art. 70 Cost." non avendo previsto, negli artt. 17 e 19 della legge n. 459 del 2001, che gli accordi in forma semplificata con i Governi degli Stati di residenza degli elettori intervengano solo a condizione che questi Stati abbiano carattere democratico o rispettino "standard di tutela delle libertà fondamentali di pensiero, di parola e di informazione" e che comunque questi accordi debbano assicurare "che vi sia una disciplina della campagna elettorale e che questa garantisca la parità di chances, la c.d. par condicio, per i contendenti, e assicuri che l’elettore possa essere posto in grado di votare correttamente e consapevolmente";
che il Governo – ad avviso dei ricorrenti - avrebbe fatto "cattivo uso del potere normativo di attuazione della legge n. 459/2001" adottando il d.P.R. 2 aprile 2003, n. 104 in prossimità della data del referendum con la conseguente impossibilità di darvi integrale applicazione ed in particolare non prevedendo nell’art. 8, commi primo, secondo, sesto ed ottavo, una piena tutela di tutte le posizioni dei diversi soggetti interessati nella campagna elettorale e nella relativa propaganda nei paesi esteri;
che inoltre la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi non avrebbe contemplato nella deliberazione approvata il 16 aprile 2003 alcuna disposizione "in ordine ai programmi di informazione destinati all’estero, lasciando sostanzialmente un vuoto regolamentare della campagna referendaria per gli elettori residenti all’estero";
che conseguentemente i ricorrenti chiedono che, previa dichiarazione di ammissibilità, la Corte "accolga il ricorso e conseguentemente annulli" la legge 27 dicembre 2001, n. 459, il d.P.R. 2 aprile 2003, n. 104 e la deliberazione del 16 aprile 2003 della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
che nel ricorso si avanza anche la richiesta di sospensione in via cautelare di tutti gli atti impugnati;
che i ricorrenti, con memoria in data 22 maggio 2003, ricordano alcuni precedenti giurisprudenziali di questa Corte al fine di affermare l’esistenza dei requisiti soggettivi per la proposizione del ricorso e forniscono, per quanto attiene il merito del conflitto sollevato, alcuni sommari riferimenti comparatistici sull’utilizzazione del voto per corrispondenza;
che nell’immediata vigilia della camera di consiglio i ricorrenti hanno presentato istanza perché la Corte senta in camera di consiglio un loro avvocato, "considerato che la Corte si riunisce per delibare non solo l’ammissibilità del conflitto ma anche la richiesta di sospensiva" e affermando che altrimenti viene sollevata "questione di costituzionalità dell’art. 37 della legge 11 marzo 1957 n. 87" (la data della legge è evidentemente il 1953).
Considerato che, ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, questa Corte è chiamata a decidere in via preliminare con ordinanza in camera di consiglio, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile sotto il profilo dell’esistenza della materia di un conflitto, la cui risoluzione spetti alla sua competenza, con riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi, di cui al primo comma del citato art. 37, restando impregiudicata ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità;
che sotto il profilo della legittimazione dei ricorrenti, questa Corte ha più volte riconosciuto agli elettori, in numero non inferiore ai 500.000, sottoscrittori della richiesta di referendum – dei quali i promotori sono competenti a dichiarare la volontà in sede di conflitto - la titolarità, nell’ambito della procedura referendaria, di una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in quanto essi attivano la sovranità popolare nell’esercizio dei poteri referendari e concorrono con altri organi e poteri al realizzarsi della consultazione popolare;
che i poteri nei cui confronti il conflitto viene sollevato, pur non indicati espressamente nel ricorso, possono essere individuati nelle due Camere del Parlamento, nel Governo e nella Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, tutti organi ai quali la giurisprudenza di questa Corte ha più volte riconosciuto la legittimazione passiva in casi analoghi;
che, anche a prescindere, quanto ai requisiti soggettivi, dai problemi di legittimazione di due soli "presentatori e promotori" del referendum popolare a rappresentare il comitato dei promotori (cfr. le sentenze n. 69 del 1978 e n. 161 del 1995), risultano evidenti, relativamente al requisito oggettivo, molteplici motivi di inammissibilità, anzitutto in quanto deve escludersi che possa genericamente chiedersi, sulla base di rilievi concernenti solo alcune disposizioni, l’annullamento, nonché la provvisoria sospensione dell’efficacia, di tre interi testi normativi;
che oltretutto, in relazione all’unica censura puntuale concernente l’art. 1, comma 2, della legge n. 459 del 2001, nel caso in cui questa Corte fosse indotta in ipotesi ad accogliere i rilievi di costituzionalità relativi alla introduzione del voto per corrispondenza si determinerebbe la conseguenza di rendere assai più difficile l’espressione del voto degli italiani residenti stabilmente all’estero, pur titolari del diritto di voto e quindi componenti del corpo elettorale su cui calcolare il quorum di partecipazione necessario per dare efficacia al procedimento referendario, con il conseguente dubbio sull’interesse da parte di un comitato promotore di referendum a chiedere un simile intervento;
che comunque l’asserito contrasto con il primo comma dell’articolo 48 Cost. della scelta del legislatore di introdurre il voto per corrispondenza non appare censurabile nel presente tipo di conflitto, a causa della relativamente limitata serie di interessi che sono tutelabili da parte dei comitati per i referendum di cui all’art. 75 Cost., interessi che, come questa Corte ha più volte affermato, sono rivolti all’esclusione di tecniche elusive della richiesta referendaria da parte del legislatore (a cominciare dalle sentenze n. 68 e n. 69 del 1978 e n. 30 e n. 31 del 1980), nonché alla garanzia di corrette ed adeguate modalità di svolgimento della campagna referendaria (fra le molte, da ultimo si vedano le sentenze n. 502 del 2000, n. 49 del 1998, n. 15 del 1997, n. 161 del 1995);
che la denunzia, in tutti gli altri rilievi sollevati nel ricorso, concerne presunte lacune o inadeguatezze della disciplina contenuta nella legge e nei regolamenti impugnati e che tali omissioni non possono costituire oggetto sindacabile nella presente sede, trattandosi di scelte lasciate alla discrezionalità del legislatore, specie ove si consideri la necessaria attuazione di nuove norme costituzionali relative allo svolgimento di procedimenti elettorali nel territorio di Stati esteri;
che dunque il ricorso proposto deve ritenersi inammissibile;
che di conseguenza deve ritenersi assorbita la istanza di sospensione in ordine alla quale i proponenti hanno chiesto di essere sentiti in camera di consiglio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2003.