SENTENZA N. 161
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Fernanda CONTRI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge della Regione Basilicata 31 agosto 1995, n. 59 (Normativa sullo smaltimento dei rifiuti), promosso con ordinanza del 3 giugno 2002 dal T.A.R. della Basilicata sui ricorsi riuniti proposti da Fenice s.p.a. nei confronti della Regione Basilicata ed altri, iscritta al n. 351 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti l’atto di costituzione della Fenice s.p.a. nonché l’atto di intervento della Regione Basilicata;
udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2005 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi gli avvocati Giuseppe Minieri per Fenice s.p.a. e Franco Giampietro per la Regione Basilicata.
Ritenuto in fatto1. – Con ordinanza del 3 giugno 2002, il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Basilicata 31 agosto 1995, n. 59 (Normativa sullo smaltimento dei rifiuti), per violazione degli artt. 3, 11, 32, 41, 117 e 120 della Costituzione, con riferimento a due procedimenti pendenti e poi riuniti, con i quali la Fenice s.p.a. aveva impugnato i provvedimenti del Consiglio regionale della Basilicata, prima, e della Giunta regionale, poi, che avevano escluso la possibilità che – nell’ambito delle tipologie e quantità di rifiuti da smaltire nell’impianto di termodistruzione di rifiuti con recupero di energia, di proprietà della società ed approvato, sia pure con riserva, dalla Regione - potessero essere compresi pure rifiuti di provenienza extraregionale.
Secondo il rimettente, i predetti provvedimenti, lesivi della sfera giuridica della ricorrente, erano stati adottati nel vigore della legge regionale 31 agosto 1995, n. 59, il cui articolo 1 disponeva: «In attuazione del principio di prossimità di cui alla direttiva 91/156 CEE nonché dei poteri di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti attribuiti alla Regione dal decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1983, dalla legge n. 441/1987 e dalla legge n. 475/1988 è fatto divieto a chiunque conduca sul territorio della Regione Basilicata impianti di smaltimento e/o di stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli impianti medesimi rifiuti provenienti da altre regioni o nazioni».
Ciò precisato, il collegio ritiene che la questione di costituzionalità dell’art. 1 della legge regionale n. 59 del 1995 sia rilevante in ambedue i giudizi, dato che l’unico fondamento giuridico del divieto di importazione di rifiuti extraregionali sancito negli atti impugnati è costituito appunto da detta norma regionale, la cui eliminazione dall’ordinamento avrebbe come conseguenza l’accoglimento del gravame.
Secondo il remittente la norma regionale si presta a più censure, sia con riferimento al periodo precedente il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), sia dopo l’entrata in vigore di quest’ultima legislazione statale.
In primo luogo, è ipotizzabile il contrasto con il nuovo testo dell’art. 117 della Costituzione, che riserva la “tutela dell’ambiente” e “dell’ecosistema” alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, con definitiva impossibilità per le regioni di poter legiferare in materia di tutela dell’ambiente dal rischio di inquinamento.
Afferma poi il giudice a quo che il principio dell’autosmaltimento locale, col connesso divieto di conferimento di rifiuti extraregionali, non può valere né per quelli “pericolosi” (ivi inclusi quelli che già il decreto del Presidente della Repubblica del 1982 definiva “tossici e nocivi”) né per quelli “speciali” non pericolosi (che nella fattispecie oggetto dei giudizi in epigrafe hanno natura industriale).
Può inoltre, secondo il remittente, dubitarsi della legittimità costituzionale della norma regionale de qua anche in relazione alla lesione del diritto alla salute, da intendersi come diritto alla salubrità dell’ambiente, di cui all’art. 32 della Costituzione, dato che la chiusura dei confini regionali favorisce la possibilità che rifiuti pericolosi di altre regioni trovino forme di smaltimento non ambientalmente compatibili ovvero vengano accumulati o depositati in aree inidonee.
Poiché né le norme statali né quelle comunitarie hanno un ambito territoriale ottimale preordinato ad un obiettivo di autosmaltimento, il divieto regionale in esame appare illogico, potendo limitare il conferimento di detti rifiuti agli impianti appropriati più vicini come richiesto dall’art. 5, comma 3, lettera b), del d.lgs. n. 22 del 1997, e dall’art. 5 della direttiva n. 91/156/CEE. Infine, sempre in riferimento alla violazione dell’art. 117 della Costituzione, non può trascurarsi – rileva il collegio a quo – che il divieto colpisce pure impianti, come quello di cui si tratta, che, attraverso la termodistruzione dei rifiuti, recuperano energia, e ciò in contrasto col diffuso favor rinvenibile, nelle norme statali di principio sopra indicate, proprio per la produzione energetica così conseguita.
Ulteriori profili di illegittimità costituzionale, secondo il giudice a quo, devono poi essere sollevati in riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 41 e 120 della Costituzione, atteso che la norma regionale censurata, rispettivamente: introduce un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti l’attività di smaltimento dei rifiuti nella Regione Basilicata rispetto a quelle operanti sul restante territorio nazionale; restringe la libertà di iniziativa economica in assenza di concrete possibilità di danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana che dall’attività di smaltimento controllato e ambientalmente compatibile dei rifiuti può scaturire; introduce un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici, neppure di ordine sanitario o ambientale (cfr. sentenza n. 335 del 2001).
2. – Si è costituita la Fenice S.p.a., la quale, preliminarmente, rileva che la norma impugnata deve ritenersi implicitamente abrogata con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997, e cioè dalla generale riforma intervenuta in materia di trattamento dei rifiuti.
L’art. 1 del suddetto decreto stabilisce infatti che le Regioni a statuto ordinario regolano la materia disciplinata dal medesimo decreto nel rispetto delle disposizioni in esso contenute, che costituiscono principî fondamentali della legislazione statale ai sensi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, e il potere di limitare lo smaltimento dei rifiuti industriali in ambito regionale non è previsto dal d.lgs. n. 22 del 1997.
Nel merito la norma impugnata contrasterebbe con gli artt. 41 e 120 Cost., in quanto limiterebbe la libertà di iniziativa economica privata. L’intera legge regionale n. 59 del 1995 risulta in contrasto con i principî fondamentali della legislazione statale, fissati, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione e, in attuazione della normativa comunitaria, dagli artt. 5, 11, 18 e 26 del d.lgs. n. 22 del 1997, i quali prescrivono che lo smaltimento dei rifiuti deve avvenire in uno degli impianti appropriati più vicini.
In tal senso la legge regionale contrasterebbe anche con l’art. 11 della Costituzione, in quanto la violazione dei principî fondamentali della legislazione statale attuativa della normativa comunitaria si risolverebbe anche in una lesione di quest’ultima.
La limitazione imposta alle sole imprese che esercitano attività di smaltimento nella Regione Basilicata determinerebbe anche una violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Il divieto di smaltimento dei rifiuti extraregionali violerebbe l’art. 32 della Costituzione per il danno alla salute derivante dalle difficoltà dello smaltimento.
La norma impugnata contrasterebbe altresì con l’art. 97 della Costituzione per l’illogicità di una limitazione territoriale regionale di rifiuti che proprio in ambito regionale sono reperibili in misura scarsa, cosicché il “forno rotante”, opera di pubblica utilità destinata allo smaltimento dei rifiuti speciali, risulterebbe utilizzato solo al 30-35% delle sue potenzialità e l’intera iniziativa imprenditoriale sarebbe destinata al fallimento.
Osserva ancora la parte costituita che il principio dell’autosufficienza nello smaltimento vale solo per i rifiuti urbani non pericolosi (art. 5, comma 3, lettera a, del d.lgs. n. 22 del 1997), e che il rifiuto è pur sempre un prodotto, che gode, all’interno dell’Unione europea, della libertà di circolazione delle merci (cfr. art. 29 Trattato UE e Corte giustizia CE, sentenza 23 maggio 2000, causa C-209/98).
Infine, la possibilità di deroga al divieto di smaltimento di rifiuti di provenienza extraregionale, prevista dagli art. 3 e 4 della legge regionale n. 59 del 1995, non varrebbe a salvare la norma impugnata dall’illegittimità costituzionale, perché la deroga è rimessa alla discrezionalità amministrativa.
3. – Si è costituita anche la Regione Basilicata, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile, rinviata al giudice a quo o comunque dichiarata infondata.
Preliminarmente, la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza perché non è stata impugnata la legge regionale n. 6 del 2001, che ha fatto salva, con modifiche, la legge regionale n. 59 del 1995, in quanto l’eventuale pronuncia di accoglimento della Corte non investirebbe la fonte legislativa che tuttora disciplina la fattispecie e che la regolava prima della data di adozione dell’ordinanza di rimessione.
Inoltre, sarebbe incompleto il thema decidendum: il TAR non ha impugnato l’art. 4 della legge regionale n. 59 del 1995, mentre la difesa della Regione, nel giudizio a quo, ha sempre sostenuto che il divieto regionale dovesse essere interpretato in modo integrato con il suddetto art. 4.
Secondo la difesa regionale, inoltre, il rimettente, nel citare l’art. 117 della Costituzione, ha omesso di considerare le competenze regionali concorrenti in materia di salute, di governo del territorio e di tutte quelle che hanno interferenza con il settore “ambiente”. La questione non è stata pertanto proposta in modo rituale, e va perciò ordinata la restituzione degli atti al giudice a quo.
Infine, il TAR non ha motivato in merito all’interesse della società Fenice S.p.a. all’accertamento della pretesa illegittimità costituzionale della disciplina regionale, a fronte delle argomentazioni difensive addotte dalla Regione Basilicata sulla concreta possibilità che i rifiuti anche speciali e tossici potessero saturare la pur rilevante capacità di termodistruzione dell’impianto di causa. Andrebbero pertanto restituiti gli atti al giudice a quo perché motivi sul punto.
Nel merito, solo il dato testuale dell’art. 117 della Costituzione attribuisce la competenza in materia di ambiente allo Stato, mentre lo stesso attribuisce alle Regioni altre materie riconducibili trasversalmente all’ambiente.
Quanto all’art. 120 della Costituzione, il potere sostitutivo del Governo presuppone che nella norma regionale impugnata possa ravvisarsi un’inosservanza della normativa comunitaria.
Inoltre, la giurisprudenza della Corte costituzionale non potrebbe essere utilmente invocata nel caso di specie. L’art. 1 impugnato infatti si integra con l’art. 4 della stessa legge, che elenca sia l’attuazione di specifici accordi tra la Regione e altre pubbliche amministrazioni, enti ed imprese, sia le determinazioni di Autorità statali a ciò competenti nei casi previsti dalla legge. Ne consegue che tale disciplina unitaria non è comparabile con i limiti rigidi fissati dalle leggi regionali del Piemonte e del Friuli-Venezia Giulia dichiarate costituzionalmente illegittime (rispettivamente sentenze n. 281 del 2000 e n. 335 del 2001).
Nelle sentenze da ultimo citate il d.lgs. n. 22 del 1997 è interpretato nel senso che il principio di autosufficienza vale pienamente solo per i rifiuti non pericolosi, mentre per i rifiuti speciali il legislatore non individua ambiti territoriali di riferimento, ma indica la necessità che detti rifiuti possano giungere ad un impianto specializzato più vicino al fine di ridurre i movimenti degli stessi. E questo orientamento è conforme alle più recenti sentenze della Corte di giustizia, secondo cui devono essere accertati i motivi di interesse pubblico ambientale per la movimentazione dei rifiuti (Corte Giustizia CE, sentenza 23 maggio 2000, causa C-209/98).
Si tratta dunque – prosegue la difesa regionale – di verificare a chi spetti effettuare il giudizio di ponderazione tra il principio di specializzazione e quello di prossimità degli impianti di smaltimento. Tale giudizio appare innanzitutto regolato dall’art. 18 del d.lgs. n. 22 del 1997 che assegna allo Stato la definizione dei criteri generali per la gestione integrata dei rifiuti, nonché la determinazione dei criteri generali per l’elaborazione dei piani regionali. Esso è quindi assegnato alle Regioni nell’ambito del piano di gestione dei rifiuti di cui all’art. 22. Tuttora mancano i criteri statali cui doveva adeguarsi la pianificazione regionale. In tale contesto la Regione Basilicata non poteva non adottare la legge regionale in esame, dovendo provvedere alla ponderazione dei due principî di specializzazione e di prossimità degli impianti, e la norma impugnata, se letta unitamente agli artt. 3 e 4 della stessa legge, non si pone in contrasto con il d.lgs. n. 22 del 1997 che, all’art. 2, comma 4, afferma la necessità di una cooperazione fra Stato, Regione ed enti locali in materia di gestione dei rifiuti.
Ne consegue che nessun contrasto della normativa impugnata è ravvisabile con gli artt. 3, 32, 41, della Costituzione, perché i previsti limiti all’attività d’impresa sono giustificati dalla descritta attività amministrativa diretta alla salvaguardia di interessi pubblici quali l’ambiente e la salute pubblica, con la conseguenza che non né è dato ravvisare alcun contrasto tra la norma impugnata e l’art. 120 della Costituzione, allorquando si tratta di ponderare i due principî tendenzialmente conflittuali nel singolo contesto geografico. Infatti la Regione Basilicata, nell’inerzia del legislatore statale, applicando il principio di sussidiarietà, ha evitato la totale disapplicazione delle direttive comunitarie. In difetto della normativa impugnata la Basilicata non avrebbe potuto in alcun modo governare l’ingresso nel proprio territorio dei rifiuti provenienti dall’esterno e avrebbe dovuto abdicare alle proprie competenze in materia di ambiente, tutela della salute e governo del territorio.
Considerato in diritto1. – Il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata – nel corso di due giudizi riuniti promossi dalla Fenice s.p.a. nei confronti della Regione Basilicata – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge Regione Basilicata 31 agosto 1995, n. 59 (Normativa sullo smaltimento dei rifiuti), nella parte in cui stabilisce che «è fatto divieto a chiunque conduca sul territorio della Regione Basilicata impianti di smaltimento e/o stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli impianti medesimi rifiuti provenienti da altre regioni o nazioni», per violazione: a) dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di ambiente, e delle norme interposte di cui agli artt. 1, 5, 11, 18, 19 e 26 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio); b) dell’art. 11 della Costituzione, che impone il rispetto delle direttive comunitarie; c) dell’art. 32 della Costituzione, che attribuisce un diritto alla salubrità dell’ambiente, che sarebbe compromesso dalla chiusura dei confini regionali, perché verrebbe favorita la possibilità che rifiuti pericolosi di altre Regioni trovino forme di smaltimento non ambientalmente compatibili; d) dell’art. 3 della Costituzione per la introduzione di un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti l’attività di smaltimento dei rifiuti nella Regione Basilicata rispetto a quelle operanti sul restante territorio nazionale; e) dell’art. 41 della Costituzione, per la restrizione della libertà di iniziativa economica «in assenza di concrete possibilità di danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana che dall’attività di smaltimento controllato e ambientalmente compatibile dei rifiuti può scaturire»; f) dell’art. 120 della Costituzione, perché la norma impugnata introdurrebbe un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le Regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici, neppure di ordine sanitario e ambientale, e ciò in contrasto pure con la normativa comunitaria.
2. – Preliminarmente, va osservato che non assume rilievo la circostanza che il giudice rimettente abbia citato la norma impugnata in un testo diverso da quello vigente al momento dell’emanazione dell’ordinanza.
Il Tribunale ha infatti denunciato l’illegittimità costituzionale della norma regionale richiamandone una formulazione («In attuazione del principio di prossimità di cui alla direttiva 91/156 CEE nonché dei poteri di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti attribuiti alla Regione dal d.P.R. n. 915/83, dalla legge n. 441/87 e dalla legge n. 475/88 è fatto divieto a chiunque conduca sul territorio della Regione Basilicata impianti di smaltimento e/o di stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli impianti medesimi rifiuti provenienti da altre regioni o nazioni») non più in vigore già al momento dell’emanazione dell’ordinanza di rimessione, per essere stato l’art. 1 della legge impugnata così modificato dall’art. 46 della legge regionale 2 febbraio 2001, n. 6: «In attuazione del principio di prossimità di cui alla direttiva 91/156 CEE è fatto divieto a chiunque conduca sul territorio della Regione Basilicata impianti di smaltimento e/o di stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli impianti medesimi rifiuti provenienti da altre regioni o nazioni».
Ciò però non determina l’inammissibilità della questione, dal momento che le modifiche subite dalla norma non incidono sulla sostanza del precetto normativo (sentenza n. 18 del 2004), e la questione può pertanto essere sottoposta a scrutinio di costituzionalità in riferimento agli evocati parametri (sentenza n. 277 del 2004).
Né l’inammissibilità deriva dal fatto che, successivamente all’ordinanza, all’articolo impugnato è stato aggiunto, dalla legge regionale 21 novembre 2003, n. 31, un comma 1-bis – disposizione peraltro poi dichiarata costituzionalmente illegittima, con sentenza n. 62 del 2005 – perché quest’ultima norma ha un oggetto diverso da quello della disposizione della cui legittimità il remittente dubita.
3. – Parimenti infondata è la censura di inammissibilità sollevata dalla Regione Basilicata per non avere il remittente impugnato anche gli artt. 3 e 4 della legge regionale, che disciplinano le deroghe al divieto.
Nella specie infatti la deroga non è stata richiesta, con la conseguenza che gli artt. 3 e 4 della legge regionale, non trovando applicazione, non sono rilevanti al fine della soluzione della controversia. Inoltre, le norme da ultimo citate attribuiscono l’Autorità amministrativa una valutazione discrezionale circa il rilascio dell’autorizzazione in deroga, mentre secondo il rimettente la norma impugnata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima perché sussisterebbe un pieno diritto – a prescindere dunque da una valutazione discrezionale della pubblica amministrazione – di chiunque conduca nel territorio della Regione Basilicata impianti di smaltimento e/o stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli impianti medesimi rifiuti provenienti da altre regioni o nazioni.
4. – Passando all’esame del merito, la questione è fondata, nei termini di seguito indicati.
4.1. – Questa Corte è già intervenuta in tema di limiti imposti dalla legislazione regionale allo smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale, precisando che il principio dell’autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti in ambiti territoriali ottimali vale, ai sensi dell’art. 5, comma 3, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, solo per i rifiuti urbani non pericolosi (ai quali fa riferimento l’articolo 7, commi 1 e 4, del d.lgs. da ultimo citato) e non anche per altri tipi di rifiuti, per i quali vige invece il diverso criterio della vicinanza di impianti di smaltimento appropriati, per ridurre il movimento dei rifiuti stessi, correlato a quello della necessità di impianti specializzati per il loro smaltimento, ai sensi della lettera b) del medesimo comma 3; ed a siffatto criterio sono stati ritenuti soggetti i rifiuti speciali, definiti dall’articolo 7, commi 3 e 4 (sentenza n. 505 del 2002), sia pericolosi (sentenza n. 281 del 2000) che non pericolosi (sentenza n. 335 del 2001).
4.2. – L’impugnata legge regionale pone un generale divieto per chiunque conduca nel territorio della Regione Basilicata impianti di smaltimento e/o stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli impianti medesimi rifiuti provenienti da altre regioni o nazioni.
Tale divieto, se è legittimo per quanto in precedenza rilevato con riferimento ai rifiuti urbani non pericolosi, si pone, invece, in contrasto con la Costituzione nella parte in cui si applica a tutti gli altri tipi di rifiuti di provenienza extraregionale, perché invade la competenza esclusiva attribuita allo Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema dall’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in contrasto con i principî fondamentali della legislazione statale contenuti nel decreto legislativo n. 22 del 1997; ed inoltre perché viola il vincolo generale imposto alle Regioni dall’art. 120, primo comma, della Costituzione, che vieta ogni misura atta ad ostacolare la libera circolazione delle cose e delle persone fra le Regioni (sentenze n. 62 del 2005 e n. 505 del 2002).
L’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sotto questi profili assorbe gli ulteriori profili di censura (sentenza n. 281 del 2000).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge della Regione Basilicata 31 agosto 1995, n. 59 (Normativa sullo smaltimento dei rifiuti), come modificata dall’art. 46 della legge regionale 2 febbraio 2001, n. 6 (Disciplina delle attività di gestione dei rifiuti ed approvazione del relativo piano), nella parte in cui fa divieto a chiunque conduca nel territorio della Regione Basilicata impianti di smaltimento e/o stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli impianti medesimi rifiuti, diversi da quelli urbani non pericolosi, provenienti da altre regioni o nazioni.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2005.
F.to:
Fernanda CONTRI, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2005.