SENTENZA N. 147
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Fernanda CONTRI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 2, 2, 3 e 4 della legge della Regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4 (Regolamentazione dell’esercizio dell’attività libero professionale dei medici veterinari dipendenti dal Servizio sanitario nazionale), promossi con n. 2 ordinanze del 23 aprile 2002 dal TAR per il Piemonte sui ricorsi proposti da Zucca Giuseppe conto ASL n. 8 di Chieri ed altra e da Bisio Luca ed altri contro ASL n. 16 di Mondovì-Ceva ed altra, iscritte ai nn. 358 e 359 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti gli atti di costituzione di Zucca Giuseppe e Bisio Luca ed altri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 febbraio 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
udito l’avvocato Sebastiano Zuccarello per Zucca Giuseppe e per Bisio Luca ed altri.
Ritenuto in fatto
1.1 – Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con ordinanza del 23 aprile 2002 (r.o. n. 358 del 2002), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4 (Regolamentazione dell’esercizio dell’attività libero professionale dei medici veterinari dipendenti dal Servizio sanitario nazionale), in relazione agli articoli 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione.
1.2 – Il rimettente premette che un medico veterinario, dipendente della USL n. 8 di Chieri, ha proposto ricorso avverso l’Azienda e contro la Regione Piemonte, per l’annullamento, previa sospensione, dell’atto emanato in data 7 aprile 1997 con cui la detta USL aveva intimato al ricorrente di chiudere la struttura ambulatoriale di cui egli era titolare, ubicata nel territorio dell’azienda sanitaria, in conformità dell’art. 2 della legge regionale n. 4 del 1997, il quale vieta l’attività professionale nell’ambito territoriale dell’azienda sanitaria di appartenenza e impedisce al veterinario di essere titolare di uno studio privato.
Il ricorrente, impugnando l’atto suddetto, aveva eccepito la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge regionale in questione, in quanto essa avrebbe introdotto limitazioni all’attività professionale dei veterinari titolari del rapporto di pubblico impiego tali da precluderne in concreto l’esercizio, in violazione degli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 Cost.
Sia la Regione Piemonte, sia la Azienda regionale USL n. 8 si erano costituite in giudizio opponendosi all’accoglimento del ricorso.
Il TAR, con ordinanza n. 518 del 16 giugno 1997, dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del solo art. 2 della legge regionale n. 4 del 1997 e sollevava la relativa questione avanti a questa Corte, sospendendo contestualmente l’atto impugnato, fino alla camera di consiglio immediatamente successiva alla comunicazione dell’esito del giudizio di costituzionalità.
1.3 – Questa Corte, con ordinanza n. 231 del 1998, disponeva la restituzione degli atti al TAR, invitandolo a riesaminare la rilevanza della questione alla luce delle norme sopravvenute in materia.
1.4 – Con successiva ordinanza n. 537 del 25 luglio 1998, il Tribunale deferiva nuovamente la questione alla Corte, con contestuale sospensione dell’atto impugnato, avendo ritenuto che le sopravvenienze legislative non avessero mutato il quadro legislativo rilevante.
1.5 – Con ordinanza n. 84 del 2000, questa Corte disponeva nuovamente la restituzione degli atti al rimettente in considerazione di ulteriori modifiche normative nel frattempo intervenute.
1.6 – Ancora il TAR, sentite le parti, con ordinanza n. 3 del 26 maggio 2000, ritenendo non significative le ulteriori sopravvenienze legislative, sollevava nuovamente questione di legittimità costituzionale della normativa regionale.
1.7 – Con ordinanza n. 80 del 2002, questa Corte restituiva nuovamente gli atti al rimettente, in conseguenza della sopravvenuta modifica di due delle disposizioni costituzionali assunte come parametro dal rimettente.
1.8 – All’esito di un nuovo esame, il TAR ha ritenuto di riproporre la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge regionale piemontese, in considerazione del fatto che essa continuerebbe ad essere rilevante e non manifestamente infondata.
Quanto al primo profilo, il rimettente osserva come il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato in diretta applicazione della legge regionale, cosicché l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma comporterebbe l’accoglimento del ricorso.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale rileva che dal quadro normativo di riferimento – costituito dall’art. 47 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), dall’art. 36, comma 1, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), e dall’art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica) – emergerebbe per i medici dipendenti del servizio sanitario pubblico un indirizzo favorevole all’esercizio di attività libero-professionali al di fuori dell’orario di lavoro. E ciò a differenza di quanto previsto in generale per il rapporto di pubblico impiego, caratterizzato dal principio di esclusività.
Secondo il TAR rimettente, il diritto all’esercizio della libera professione «in quanto voluto espressamente dall’ordinamento come uno dei contenuti del rapporto di impiego del personale medico», sarebbe «riconducibile al diritto al lavoro costituzionalmente protetto (artt. 4 e 35 Cost.)», di talché ogni limitazione si giustificherebbe «solo per la tutela di valori costituzionali concorrenti». Conseguentemente, il divieto – posto dalla norma censurata – di svolgere attività professionale per gli “animali d’affezione” nel territorio dell’USL di pertinenza, con il contestuale divieto di essere titolare di una struttura ambulatoriale privata, determinerebbe la lesione di tale diritto, senza che ciò sia giustificato da specifiche esigenze del servizio pubblico.
I limiti a tale diritto dovrebbero essere individuati in base all’esigenza di evitare concrete situazioni di conflitto e dovrebbero quindi essere selezionate situazioni pregiudizievoli per il conseguimento dei fini istituzionali del servizio sanitario nazionale; conseguentemente il criterio territoriale utilizzato dalla norma censurata non sarebbe idoneo a soddisfare tali esigenze.
Neppure decisivo sarebbe il richiamo alle competenze in materia di controllo e vigilanza che fanno capo ai servizi veterinari delle USL, al fine di evitare il rischio che i medici veterinari siano controllori di se stessi. Tale possibilità infatti non potrebbe determinare la totale inammissibilità dell’attività libero-professionale, ma soltanto l’individuazione di misure utili ad evitare la sovrapposizione di ruoli nella medesima persona.
L’art. 2 della legge regionale n. 4 del 1997 violerebbe inoltre l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza, in quanto prima ammetterebbe i veterinari all’esercizio dell’attività libero-professionale (art. 1, comma 1), e poi restringerebbe «contraddittoriamente le possibilità di esplicazione del diritto, fino a vanificarlo».
Non manifestamente infondata sarebbe, inoltre, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 in relazione all’art. 120, terzo comma, Cost. (l’ordinanza, in questo passaggio, si riferisce evidentemente al testo precedentemente vigente dell’art. 120, mentre la disciplina vigente è contenuta nel primo comma dell’art. 120), in quanto la norma impugnata determinerebbe un indebito limite territoriale allo svolgimento di un’attività professionale.
Infine, la norma censurata contrasterebbe con l’art. 117 Cost., in quanto la disciplina da essa dettata si discosterebbe dai principî fondamentali della materia desumibili dalla normativa statale, i quali consentono l’esercizio della libera professione, salvo solo regolamentarne le modalità onde evitare un pregiudizio per il servizio pubblico.
Le modifiche apportate all’art. 117 della Costituzione dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, ad avviso del TAR rimettente, non modificherebbero il merito delle censure sollevate. Infatti la disposizione regionale sarebbe riconducibile alla materia della tutela della salute o, «quanto meno – in via subordinata – alla materia delle professioni» che l’art. 117, terzo comma, inquadra nella legislazione concorrente. Pertanto, spetterebbe allo Stato la determinazione dei principî fondamentali e dovrebbero ritenersi tuttora rilevanti quelli già fissati nella legislazione statale previgente.
Non verrebbe meno, infine, neppure il contrasto con l’art. 120 Cost., il quale, al primo comma, nel precludere alle Regioni la possibilità di limitare l’esercizio del diritto al lavoro, sarebbe riferito a qualsiasi attività lavorativa, compresa quella libero-professionale.
2. – E’ intervenuta la parte privata ricorrente nel giudizio a quo, la quale ha chiesto che la Corte costituzionale dichiari la illegittimità «degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge della Regione Piemonte n. 4 del 1997 per violazione degli articoli 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione».
3.1. – Con altra ordinanza del 23 aprile 2002 (r.o. n. 359 del 2002) il medesimo Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, nonché degli artt. 2, 3 e 4 della legge della Regione Piemonte n. 4 del 1997, in relazione agli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione.
3.2. – Premette il Tribunale che quattro medici veterinari in servizio presso la Azienda regionale USL n. 16 di Mondovì-Ceva hanno impugnato il provvedimento con cui la USL, in dichiarato adempimento dell’art. 1, comma 2, della legge regionale n. 4 del 1997, invitava i medici veterinari dipendenti a segnalare, nel termine di 15 giorni, se intendessero esercitare attività libero-professionale e, in caso positivo, quali fossero «i programmi ed i tempi di massima del proprio impegno al fine di accertare e valutare le condizioni di incompatibilità». I ricorrenti, impugnando tale provvedimento e chiedendone la sospensione, eccepivano la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, nonché degli artt. 2, 3 e 4 della legge della Regione Piemonte n. 4 del 1997.
La Regione Piemonte, costituitasi in giudizio, eccepiva l’inammissibilità del ricorso, in quanto l’atto impugnato, di carattere endoprocedimentale, non avrebbe avuto carattere immediatamente lesivo. Nel merito, la resistente contestava la fondatezza dell’impugnazione.
Il TAR preliminarmente respingeva l’eccezione di inammissibilità, ritenendo che l’atto impugnato, ponendo a carico dei ricorrenti l’obbligo di comunicazione posto direttamente dalla legge regionale, renderebbe attuali i vincoli posti dalla legge alla libera professione dei veterinari, sia in relazione al dovere di comunicazione, sia al connesso divieto di svolgere l’attività professionale oltre i limiti fissati dalla legge (dal che discenderebbe la diretta lesività dello stesso, e la sussistenza dell’interesse a ricorrere nel giudizio a quo).
Nel merito, il TAR, con ordinanza n. 517 del 16 giugno 1997, dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, nonché degli artt. 2, 3 e 4 della legge regionale del Piemonte n. 4 del 1997, in relazione agli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione e sollevava la relativa questione avanti a questa Corte, sospendendo contestualmente l’atto impugnato, fino alla camera di consiglio immediatamente successiva alla comunicazione dell’esito del giudizio di costituzionalità.
3.3. – La Corte costituzionale, con ordinanza n. 231 del 1998 disponeva la restituzione degli atti al TAR, invitandolo a riesaminare la rilevanza della questione alla luce delle norme sopravvenute in materia.
3.4. – Con successiva ordinanza n. 536 del 25 luglio 1998, il Tribunale deferiva nuovamente la questione a questa Corte, con contestuale sospensione dell’atto impugnato, avendo ritenuto che le sopravvenienze legislative non avessero mutato il quadro legislativo.
3.5. – Con ordinanza n. 84 del 2000, la Corte disponeva nuovamente la restituzione degli atti al rimettente, in considerazione di ulteriori sopravvenienze normative nel frattempo intervenute.
3.6. – Ancora il TAR, sentite le parti, con ordinanza n. 2 del 26 maggio 2000, riteneva non significative le ulteriori sopravvenienze legislative e sollevava questione di legittimità costituzionale della normativa regionale.
3.7. – Con ordinanza n. 80 del 2002 la Corte restituiva nuovamente gli atti al rimettente in conseguenza della sopravvenuta modifica di due delle disposizioni costituzionali assunte come parametro dal rimettente.
3.8. – All’esito di un nuovo esame, il TAR ha ritenuto di riproporre – con argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle svolte nell’ordinanza n. 358 del 2002 – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Piemonte, in considerazione del fatto che essa continuerebbe ad essere rilevante e non manifestamente infondata.
4. – Sono intervenuti tre dei quattro ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo che la Corte costituzionale dichiari la illegittimità «degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge della Regione Piemonte n. 4 del 1997 per violazione degli articoli 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione».
5. – In prossimità della pubblica udienza i medesimi intervenienti hanno presentato memorie, ribadendo le loro richieste.
Considerato in dirittol. – Il TAR per il Piemonte, con ordinanza iscritta al n. 358 del registro ordinanze del 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4 (Regolamentazione dell’esercizio dell’attività libero professionale dei medici veterinari dipendenti dal Servizio sanitario nazionale), in relazione agli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione. Il medesimo Tribunale, con ordinanza iscritta al n. 359 del registro ordinanze del 2002 e sulla base di argomentazioni sostanzialmente identiche, ha altresì sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, nonché degli artt. 2, 3 e 4 della medesima legge regionale in relazione agli stessi parametri.
La disciplina legislativa censurata violerebbe, innanzitutto, gli artt. 4 e 35 della Costituzione, in quanto sarebbe ingiustificatamente preclusiva delle concrete possibilità di esercizio della libera professione da parte dei veterinari dipendenti pubblici e quindi lesiva del diritto al lavoro.
L’art. 3 Cost. sarebbe violato sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto la normativa regionale prima ammetterebbe i veterinari all’esercizio dell’attività libero-professionale (art. 1, comma 1), ma poi restringerebbe in modo contraddittorio «le possibilità di esplicazione del diritto fino a vanificarlo».
Le disposizioni regionali, inoltre, contrasterebbero con l’art. 120 della Costituzione in quanto determinerebbero un indebito limite spaziale allo svolgimento dell’attività professionale. Infine, risulterebbe violato l’art. 117 Cost., in quanto la disciplina regionale si discosterebbe dai principî fondamentali della materia desumibili dalla normativa statale, i quali consentirebbero ai medici dipendenti pubblici l’esercizio della libera professione, facendo salva la possibilità di regolamentarne le modalità, onde evitare un concreto pregiudizio per il servizio pubblico.2. – I giudizi hanno ad oggetto le medesime questioni di costituzionalità e vanno quindi riuniti per essere decisi con unica sentenza.
3. – Preliminarmente, devono essere dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale prospettate con l’ordinanza 23 aprile 2002 (r.o. n. 359 del 2002) aventi ad oggetto gli artt. 1, comma 2, 3 e 4 della legge regionale n. 4 del 1997.
Infatti, il TAR rimettente, mentre nel dispositivo dell’ordinanza dichiara di sollevare questione di costituzionalità degli artt. 1, comma 2, 2, 3 e 4 della legge regionale in questione, nella parte motiva sviluppa le proprie censure esclusivamente con riguardo all’art. 2 di tale legge, senza svolgere alcuna argomentazione in relazione alle altre disposizioni, non apparendo peraltro implausibile la motivazione fornita dal rimettente circa l’applicabilità nel giudizio a quo della normativa censurata.
Il presente giudizio deve essere pertanto circoscritto all’esame delle questioni concernenti l’art. 2 della legge regionale n. 4 del 1997, quali prospettate con entrambe le ordinanze richiamate.
4. – Le questioni non sono fondate.
5. – La legge regionale della cui legittimità costituzionale si dubita opera in una materia – la tutela della salute – di competenza legislativa concorrente, sia considerando il precedente che l’attuale contenuto del Titolo V della seconda parte della Costituzione, e quindi sicuramente spetta al legislatore statale la determinazione dei principî fondamentali in materia.
Questi principî sono tuttora deducibili dalla specifica ed analitica disposizione contenuta nell’art. 36, comma 1, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), secondo la quale «il personale veterinario ha la facoltà di esercitare l’attività libero-professionale, fuori dei servizi e delle strutture dell’unità sanitaria locale, purché tale attività non sia prestata con rapporto di lavoro subordinato, non sia in contrasto con gli interessi ed i fini istituzionali dell’unità sanitaria locale stessa, né incompatibile con gli orari di lavoro, secondo modalità e limiti previsti dalla legge regionale». D’altra parte, questo potere della legge regionale era esplicitamente previsto anche nella disposizione di delega legislativa, di cui il decreto n. 761 del 1979 è attuazione, e cioè nell’art. 47, comma 3, numero 4, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale).
Come riconosciuto anche dal giudice rimettente, le modificazioni successive al d.P.R. n. 761 del 1979 relativamente allo status dei medici veterinari dipendenti dal Servizio sanitario nazionale non sono andate oltre la generica affermazione della compatibilità dell’attività libero-professionale «col rapporto unico di impiego, purché espletato fuori dell’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse» (art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, recante “Disposizioni in materia di finanza pubblica”) e quindi è da ritenere tuttora vigente per il personale veterinario l’art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 761 del 1979.
La legge della Regione Piemonte n. 4 del 1997 dà esplicita attuazione a quanto previsto da tale norma in termini che non appaiono irragionevoli o confliggenti con specifiche disposizioni costituzionali, né eccedenti la discrezionalità attribuita al legislatore regionale, diversamente da quanto asserisce (peraltro apoditticamente) il giudice rimettente.
In particolare, la previsione della legge statale, secondo la quale l’attività professionale del veterinario non debba porsi «in contrasto con gli interessi ed i fini istituzionali dell’unità sanitaria locale», titolare nel proprio territorio di importanti poteri pubblici di assistenza e di vigilanza zooiatrica che potrebbero entrare in varia misura in conflitto con un indiscriminato esercizio di attività professionali, è all’origine delle limitazioni poste dalla legge regionale in questione allo svolgimento dell’attività libero-professionale dei veterinari, nonché di una differenziata disciplina nei diversi settori di attività libero-professionale.
Peraltro, tali limitazioni non determinano alcuna illegittima preclusione allo svolgimento dell’attività lavorativa, con conseguente violazione degli artt. 4 e 35 della Costituzione, dal momento che – come questa Corte ha già più volte affermato proprio in relazione alla disciplina del pubblico impiego nell’ambito dell’organizzazione sanitaria pubblica – «dal riconoscimento dell'importanza costituzionale del lavoro non deriva l'impossibilità di prevedere condizioni e limiti per l’esercizio del relativo diritto, purché essi siano preordinati alla tutela di altri interessi e di altre esigenze sociali parimenti fatti oggetto, come nella fattispecie, di protezione costituzionale» (sentenza n. 330 del 1999; si veda, altresì, sentenza n. 457 del 1993). Con riguardo alla norma in questione, le limitazioni all’attività libero-professionale dei veterinari, oltre a non essere assolute, perché operanti solo nel territorio della USL presso la quale il veterinario svolge il proprio servizio come pubblico dipendente e, inoltre, perché riferite alle sole strutture ambulatoriali private per la cura degli animali d’affezione, appaiono connesse all’esigenza di garantire che non siano compromesse le finalità istituzionali nel settore della assistenza e della vigilanza zooiatrica che la USL svolge nell’ambito del territorio di propria competenza. A tale ente, infatti, sono affidati, tra l’altro, compiti di sanità pubblica veterinaria, comprensivi della sorveglianza epidemiologica degli animali e della profilassi delle malattie infettive e parassitarie, nonché compiti di polizia veterinaria e in generale di sanità animale (art. 14, comma 3, lettera p, della legge n. 833 del 1978 e artt. 7-ter e 7-quater del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, recante “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”).
Non è dunque affatto contraddittorio – come ipotizzato dal giudice rimettente in relazione all’art. 3 Cost. – rispetto all’affermazione della generale libertà dei medici veterinari dipendenti dal Servizio sanitario nazionale di svolgere attività libero-professionale al di fuori delle strutture pubbliche, al di fuori dell’orario di servizio, al di fuori del “plus orario” e al di fuori del lavoro straordinario (art. 1, comma 1, della legge regionale censurata), che il legislatore regionale abbia ritenuto di porre limitazioni allo svolgimento di tale attività a tutela delle esigenze delle finalità istituzionali delle strutture pubbliche, in misura tale da non svuotare del tutto il contenuto del diritto e proprio in ossequio ai principî fondamentali stabiliti dal legislatore statale.
6. – Del pari infondata è la censura mossa con riguardo all’art. 120 della Costituzione.
Il limite territoriale posto dall’art. 2 della legge piemontese con riguardo all’attività sugli animali d’affezione si riferisce unicamente al «territorio di competenza della A.S.R. presso la quale il medico veterinario svolge il proprio servizio di pubblico dipendente».
Il divieto posto dall’art. 120, primo comma, Cost. è stato sempre interpretato come riferito esclusivamente al divieto per la legge regionale di porre limiti alla possibilità per i cittadini di svolgere attività di lavoro nel territorio della Regione (cfr. sentenze n. 207 del 2001, n. 168 del 1987, n. 13 del 1961 e n. 6 del 1956) e non invece di individuare limitazioni all’interno di esso sulla base di specifiche esigenze.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, e degli artt. 3 e 4 della legge della Regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4 (Regolamentazione dell’esercizio dell’attività libero professionale dei medici veterinari dipendenti dal Servizio sanitario nazionale) sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, in relazione agli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione, con l’ordinanza iscritta al n. 359 del 2002 indicata in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della predetta legge della Regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4 sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, in relazione agli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2005.
Fernanda CONTRI, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2005.