ORDINANZA N. 122
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Fernanda CONTRI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), promosso con ordinanza emessa il 31 marzo 2004 dal TAR per la Sicilia – sezione staccata di Catania sul ricorso proposto da Anzà Santi Antonino contro il Comune di Patti, iscritta al n. 615 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2005 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania, con ordinanza del 31 marzo 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111 e 113 della Costituzione;
che, in punto di fatto, il giudice remittente riferisce di essere stato chiamato a decidere sull’esecuzione del giudicato della sentenza provvisoriamente esecutiva emessa dal giudice onorario aggregato (Goa) del Tribunale civile di Patti – sezione stralcio, con la quale il Comune di Patti era stato condannato, oltre che alla restituzione agli attori del fondo illegittimamente occupato e adibito a discarica, anche al relativo risarcimento dei danni;
che detta sentenza, esecutiva ex lege, era stata appellata dal Comune debitore, il quale, pur avendo restituito le aree, non aveva provveduto al pagamento del dovuto;
che il giudice di appello, al quale era stata chiesta la sospensione della esecuzione, ha rigettato la relativa istanza proposta dal Comune, confermando la esecutività della sentenza di primo grado;
che il ricorrente, sul presupposto della confermata esecutività della sentenza, ne ha chiesto l’ottemperanza al giudice a quo dopo avere notificato al Comune rituale atto di costituzione in mora;
che il Comune di Patti, costituitosi in giudizio, ha, in via preliminare, sollevato l’eccezione di inammissibilità del giudizio introdotto avverso una sentenza solo provvisoriamente esecutiva e non coperta da giudicato;
che, tanto premesso, il remittente censura l’art. 37 della legge n. 1034 del 1971, nella parte in cui indica nel passaggio in giudicato il presupposto insuperabile per agire in via di ottemperanza per l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alle decisioni dei tribunali;
che in ordine alla rilevanza della questione sollevata, il remittente ritiene che il giudizio non può essere definito prescindendo dall’esame della questione di legittimità costituzionale sottoposta al proprio esame;
che quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che la norma censurata sia in contrasto con l’art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento rispetto all’ipotesi dell’esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo di primo grado, le quali, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 1034 del 1971, nel testo aggiunto dall’art. 10 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), possono essere oggetto del giudizio di ottemperanza, purché non sospese dal giudice di appello;
che la disposizione denunciata violerebbe altresì il principio di effettività della tutela giurisdizionale previsto dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, in base ai quali tutti i cittadini possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, anche nei confronti della pubblica amministrazione, senza limiti di sorta;
che l’art. 37 della legge n. 1034 del 1971 violerebbe anche il principio di ragionevole durata del processo previsto dall’art. 111 della Costituzione, in quanto le lungaggini del processo civile, articolato normalmente in tre gradi di giudizio, costituirebbero un insormontabile ostacolo al soddisfacimento degli interessi e dei diritti di cui il soggetto è titolare;
che la disposizione in questione sarebbe infine lesiva del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione, in quanto l’ulteriore rinvio dell’esecuzione della sentenza del giudice ordinario potrebbe provocare un aggravio di spesa per la pubblica amministrazione;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata;
che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, nel caso di specie, il creditore è pienamente tutelato con l’ordinario procedimento espropriativo;
che, per tali ragioni, la difesa erariale, richiamando la sentenza n. 406 del 1998 di questa Corte, ritiene che nel caso in questione non siano violati gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione e che la medesima conclusione valga in relazione agli artt. 97 e 111 della Costituzione.
Considerato che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111 e 113 della Costituzione, investe l’art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non consente l’utilizzazione del giudizio di ottemperanza con riguardo alle sentenze del giudice ordinario esecutive, ancorché non passate in giudicato;
che, secondo il giudice a quo, la norma censurata sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento rispetto all’ipotesi dell’esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo di primo grado, le quali, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 1034 del 1971, nel testo aggiunto dall’art. 10 della legge n. 205 del 2000, possono essere oggetto del giudizio di ottemperanza, purché non sospese dal giudice di appello;
che sarebbe altresì violato il principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.), perché l’interessato potrebbe far valere il proprio diritto soltanto mediante azione di esecuzione civile e non mediante giudizio di ottemperanza relativamente alle sentenze di primo grado esecutive del giudice ordinario, non sospese in appello, ma non coperte da giudicato;
che, inoltre, l’art. 37 della legge n. 1034 del 1971 violerebbe il principio di ragionevole durata del processo previsto dall’art. 111 della Costituzione, in quanto le lungaggini del processo civile, articolato normalmente in tre gradi di giudizio, costituirebbero un ostacolo al soddisfacimento degli interessi e dei diritti di cui il soggetto è titolare;
che, infine, la disposizione in questione sarebbe lesiva del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione, giacché l’ulteriore rinvio al momento del passaggio in giudicato dell’esecuzione della sentenza del giudice ordinario, già esecutiva e non sospesa dal giudice di appello, può determinare un aggravio di spesa a carico della pubblica amministrazione;
che il giudizio di ottemperanza concerne, di norma, sentenze passate in giudicato e che questa scelta del legislatore non appare irragionevole, in quanto la procedura di ottemperanza nei confronti della pubblica amministrazione comporta l’esercizio di una giurisdizione estesa al merito (cfr. sentenza n. 406 del 1998);
che la previsione di cui all’art. 33 della legge n. 1034 del 1971, secondo la quale il giudizio di ottemperanza può esercitarsi nei confronti delle sentenze del TAR non sospese dal Consiglio di Stato, rientra nella discrezionalità del legislatore, il quale ha voluto dare concretezza al principio di esecutività delle sentenze di primo grado, evitando che l’amministrazione possa arbitrariamente sottrarsi alle pronunce giurisdizionali;
che sono differenti e quindi non comparabili le azioni esecutive esperibili davanti al giudice ordinario secondo le norme di procedura civile, trattandosi di sentenze o di provvedimenti esecutivi che non richiedono l’esame di merito proprio del giudizio di ottemperanza (cfr. sentenza n. 406 del 1998);
che, pertanto, non può parlarsi di disparità di trattamento fra l’ipotesi di esecuzione di sentenza amministrativa di primo grado, perseguita attraverso il giudizio di ottemperanza, e l’ipotesi di esecuzione delle sentenze di primo grado del giudice ordinario;
che, stante la diversità degli istituti, non può conseguentemente parlarsi, in relazione all’esecuzione delle sentenze del giudice ordinario, né di pregiudizio per la tutela dei diritti del creditore, né di pregiudizio per la ragionevole durata del processo, la quale è garantita peraltro dai tempi processuali disposti dal codice di procedura civile;
che, infine, in relazione all’asserita violazione del principio di buon andamento, questa Corte ha più volte affermato (v., ex plurimis, ordinanze n. 94 del 2004 e n. 458 del 2002) che detto principio si riferisce agli organi dell’amministrazione della giustizia unicamente per profili concernenti l’ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l’aspetto amministrativo, ma non riguarda l’esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso e i provvedimenti che ne costituiscono espressione;
che la questione è pertanto manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania con l’ordinanza in epigrafe.Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2005.
Fernanda CONTRI, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2005.