SENTENZA N. 7
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasportatori di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada), modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82 (Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di terzi), convertito nella legge 27 maggio 1993, n. 162, e dell’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256 (Interventi urgenti nel settore dei trasporti), convertito in legge 20 agosto 2001, n. 334, promosso con ordinanza del 17 dicembre 2003 dal Tribunale di Latina nel procedimento civile vertente tra Italcalce s.r.l. e Autotrasporti Anxur di Francesca Pio & C. s.n.c., iscritta al n. 253 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 17 novembre 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale di Latina – adito dalla committente Italcalce s.r.l. in sede di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dal vettore Autotrasporti Anxur s.n.c., ricorrente in via monitoria per conseguire il pagamento, con gli interessi, del corrispettivo pari alla differenza tra quanto dovuto in applicazione delle c.d. «tariffe a forcella» e quanto effettivamente corrisposto per attività di trasporto di cose effettuata nel periodo dal 1° aprile 1993 al gennaio 2000 – con ordinanza del 17 dicembre 2003, solleva d’ufficio questione di legittimità costituzionale, per asserito contrasto con l’art. 3 della Costituzione, dell’ultimo comma dell’art. 26 della legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasportatori di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada), come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82 (Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di terzi), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, e della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256 (Interventi urgenti nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 334.
1.1. – In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che la opponente, Italcalce s.r.l., aveva lamentato, tra le altre cose, la insufficienza della documentazione posta a base della pronuncia monitoria, nonché la derogabilità, alla luce della sua natura proibitiva e non imperativa, del sistema tariffario c.d. a forcella, regolato dalla legge n. 298 del 1974, di per sé comunque confliggente con il regolamento CE n. 4058 del 1989; che l’opposta, Autotrasporti Anxur s.n.c., aveva respinto le deduzioni avverse, ribadendo, tra l’altro, il carattere obbligatorio del sistema tariffario «a forcella», comportante la sostituzione di diritto delle clausole difformi, nonché la sua conformità alla normativa europea, verificata positivamente sia dalla Corte di giustizia che dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 386 del 1996; che il giudizio era già stato sospeso in attesa della definizione della questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Torino con ordinanza del 10 novembre 2001 e poi decisa dalla Corte costituzionale, nel senso della manifesta inammissibilità, con ordinanza n. 492 del 2002.
1.2.– In ordine alla rilevanza, il rimettente ritiene di sicura applicazione al caso in esame l’ultimo comma dell’art. 26 della legge n. 298 del 1974 (modificato dall’art. 1 del decreto-legge n. 82 del 1993, convertito dalla legge n. 162 del 1993), il quale dispone che «ai fini del presente articolo, al momento della conclusione del contratto di autotrasporto di cose per conto terzi a cura di chi effettua il trasporto sono annotati nella copia del contratto di trasporto da consegnare al committente, pena la nullità del contratto stesso, i dati relativi agli estremi dell’attestazione di iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi rilasciati dai competenti comitati provinciali dell’Albo nazionale degli autotrasportatori di cui alla presente legge», come interpretato autenticamente dall’art. 3 del decreto-legge n. 256 del 2001 (convertito dalla legge n. 334 del 2001) «nel senso che la prevista annotazione sulla copia del contratto di trasporto dei dati relativi agli estremi dell’iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto terzi possedute dal vettore, nonché la conseguente nullità del contratto privo di tali annotazioni, non comportano l’obbligatorietà della forma scritta del contratto di trasporto previsto dall’art. 1678 del codice civile, ma rilevano soltanto nel caso in cui per la stipula di tale contratto le parti abbiano scelto la forma scritta».
Infatti, il giudice a quo riferisce che l’Autotrasporti Anxur s.n.c., benché iscritta all’Albo nazionale degli autotrasportatori e debitamente autorizzata, ha prodotto in giudizio la copia in suo possesso del contratto di trasporto del 24 maggio 1993 priva delle annotazioni prescritte dalla legge a pena di nullità; ciò che le impedirebbe di conseguire giudizialmente le differenze tariffarie per le prestazioni effettuate dopo quella data e fermo restando, invece, per il periodo dal 1° aprile 1993 alla stipula, la validità del contratto concluso oralmente.
Né, ad avviso del rimettente, viene meno la rilevanza della questione di costituzionalità in conseguenza del fatto che nel giudizio a quo è stata prodotta la sola copia in possesso del trasportatore in luogo di quella, indicata dalla legge, «da consegnare al committente», tenuto conto che, comunque, incombe sul trasportatore, attore sostanziale nel processo monitorio, l’onere probatorio circa la validità del contratto posto a base della domanda giudiziale.
1.3.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza il rimettente, ribadita l’obbligatorietà del sistema tariffario «a forcella», nonché la sua conformità alla normativa europea, accertata sia dalla Corte di giustizia (sentenze 5 ottobre 1995, C 96/94 e 1° ottobre 1998, C 38/97) che dalla Corte costituzionale (sentenza n. 386 del 1996), deduce la irragionevolezza della disparità di trattamento realizzata dalle disposizioni impugnate, in relazione alla sanzione della nullità contrattuale, tra contraenti che abbiano scelto la forma orale e contraenti che siano invece ricorsi alla forma scritta senza effettuare le annotazioni di legge.
In particolare, il contrasto con l’art. 3 della Costituzione risulterebbe evidente laddove le norme censurate ricollegano la nullità del contratto all’adempimento di obblighi meramente formali, con la previsione di quello che la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 26 del 2003) ha rilevato essere un eccesso del mezzo rispetto al fine dichiarato della repressione dell’abusivismo, di per sé già adeguatamente assicurato dalla previsione, proprio ad opera dell’art. 26 cit., dell’illecito amministrativo dell’affidamento del trasporto ad un vettore abusivo; e ciò senza contare che il contratto così concluso sarebbe già di per sé nullo per contrarietà a norme imperative.
La discriminazione in parola, ad avviso del rimettente, sarebbe inoltre tanto più macroscopica nel giudizio a quo, dove il contratto risulterebbe validamente regolare i soli trasporti effettuati tra il 1° aprile ed il 23 maggio 1993, nel periodo cioè in cui esso aveva rivestito la forma orale.
2.– E’ intervenuto, con la rappresentanza dell’Avvocatura dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri il quale ha eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione sulla considerazione che «la limitazione degli effetti della disposizione ai soli contratti di trasporto stipulati nella forma scritta […] sia del tutto conforme alla ratio ed allo spirito dell'originaria previsione di legge». Osserva in proposito la difesa erariale che «il problema affrontato non era, infatti, quello di stabilire quando fosse stato stipulato dalle parti un valido contratto di trasporto, ai sensi del codice civile, quanto piuttosto di valutare quando il trasporto per conto terzi, ancorché stipulato nella forma scritta e da un soggetto iscritto all’albo, potesse considerarsi conforme alle regole dirette a reprimere le esistenti forme di abusivismo».
3.– In prossimità della camera di consiglio, la difesa erariale ha ribadito con una memoria le proprie richieste osservando, in primo luogo, che l’ordinanza di rimessione non conterrebbe una sufficiente motivazione sulla rilevanza, tenuto conto che il giudice a quo, una volta riconosciuto che il rapporto contrattuale è validamente sorto il 1° aprile 1993 in forma orale, avrebbe omesso di dar conto della valenza novativa della successiva pattuizione, intervenuta per iscritto tra le parti il 24 maggio 1993, di modo che non potrebbe escludersi che la nullità della fonte scritta risulti ininfluente nella regolamentazione del rapporto, ove retta dall'originario contratto verbale.
Proprio questo percorso argomentativo offrirebbe l’ulteriore spunto, a detta della difesa erariale, per cogliere l’infondatezza della questione sotto il profilo che il negozio nullo per difetto di forma, derivante dalle mancate annotazioni prescritte dalla legge, si convertirebbe ai sensi dell’art. 1424 cod. civ. in un valido contratto di trasporto concluso in forma orale, soprattutto se la prestazione richiesta sia stata concretamente effettuata.
Ad ogni buon conto, soggiunge la difesa erariale che, ove pure fosse riscontrabile la disparità di trattamento lamentata dal giudice rimettente, questa non potrebbe che essere l’effetto, meramente fattuale, di una scelta dei contraenti cui è incondizionatamente offerta, proprio dalla normativa impugnata, la possibilità di sottrarsi al «rischio della nullità» stipulando il contratto in forma orale.
Da ultimo, osserva l’Avvocatura dello Stato come la circostanza che il divieto di corrispondere competenze inferiori a quelle fissate nelle «tariffe a forcella» inerisce alla prestazione «trasporto» e non anche al contratto nella sua interezza (così Cassazione, 6 dicembre 1996, n. 10894) «contribuisca al realizzarsi di un effettivo gioco concorrenziale nel settore», dirigendosi essenzialmente la sanzione di nullità a colpire quei «patti in deroga» che talune imprese, comunque tenute a documentare per iscritto il rapporto, utilizzano per l’affidamento di trasporti a vettori non autorizzati o a prezzi fuori tariffa.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Latina dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298, come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, in combinato disposto con l’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 334, nella parte in cui dette norme realizzano una irragionevole disparità di trattamento, in relazione alla sanzione della nullità del contratto, tra contraenti che abbiano scelto la forma orale e contraenti che, pur essendo regolarmente iscritti all’albo degli autotrasportatori e debitamente autorizzati, abbiano invece fatto ricorso alla forma scritta senza effettuare, sulla copia del contratto da consegnare al committente, le annotazioni di legge.
2.– Le eccezioni di inammissibilità della questione, per carente motivazione della sua rilevanza nel giudizio a quo, sono infondate.
Nell’ordinanza di rimessione il Tribunale di Latina riferisce che le parti, dopo aver governato i loro rapporti con un contratto stipulato oralmente, avevano successivamente affidato alla forma scritta le loro intese contrattuali: sicché, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, il Tribunale avrebbe dovuto esplicitamente escludere che si fosse trattato, nella specie, d’un unico rapporto contrattuale avente la sua fonte esclusiva nel contratto orale (“ripetuto” successivamente per iscritto) ovvero anche escludere che il contratto scritto, viziato, si fosse convertito in un valido contratto concluso oralmente.
Osserva la Corte che correttamente il Tribunale rimettente si è astenuto dall’esplorare la praticabilità di entrambe le soluzioni appena ricordate, dal momento che la norma, nella parte in cui prevede che l’adozione della forma scritta impone, a pena di nullità del contratto, l’osservanza di certi requisiti formali, è certamente – secondo l’interpretazione dominante – di natura imperativa: sicché il ritenere che il giudice – nonostante il rapporto fosse regolato, da un certo momento in poi, da un contratto scritto privo dei requisiti formali prescritti a pena di nullità – potesse far riferimento, come regolatore del rapporto, al preesistente contratto orale ovvero ad un valido contratto in forma libera (nel quale si sarebbe convertito quello scritto) equivale a privare la norma (della cui costituzionalità si dubita) di qualsiasi efficacia: la irrilevanza del contratto scritto – o perché “riproduttivo” di quello orale precedente o perché convertito in un diverso e valido contratto scritto ma in forma libera – postula l’abrogazione della norma sospettata di incostituzionalità.
3.– La questione è fondata.
3.1.– La norma sospettata di illegittimità costituzionale è frutto di ripetuti interventi legislativi che si sono innestati sulla disciplina originaria del 1974 e, in particolare, sull’art. 26 della legge 6 giugno 1974, n. 298, istitutiva dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi.
3.1.1.– Il fine perseguito da tale legge – oltre quello, indiretto, di rendere più sicuri i trasporti e la circolazione stradale – era, trasparentemente, quello di impedire situazioni di concorrenza sleale in un settore vitale dell’economia nel contempo evitando che la differente forza contrattuale delle parti si traducesse, nei singoli rapporti, in una “svendita” delle prestazioni offerte dagli autotrasportatori: di qui la previsione che “l’iscrizione nell’albo è condizione necessaria per l’esercizio dell’autotrasporto di cose per conto di terzi” (art. 1, comma terzo), la necessità di “apposita autorizzazione” per ciascun autoveicolo (art. 41), l’istituzione di un sistema di tariffe obbligatorie c.d. a forcella (art. 50 segg).
L’efficacia di tale disciplina era affidata, oltre che ad una nutrita serie di norme che prevedevano sanzioni di vario genere (articoli 21, 27, 47, 48, 58), soprattutto all’art. 26 – a tenore del quale «chiunque esercita l’attività di cui all’articolo 1 senza essere iscritto nell’albo, ovvero continua ad esercitare l’attività durante il periodo di sospensione o dopo la radiazione o la cancellazione dall’albo, è punito a norma dell’art. 348 del codice penale. In caso di flagranza di reato, si procede al sequestro del veicolo» – ed all’art. 46, a norma del quale, «fermo quanto previsto dall’articolo 26, chiunque disponga l’esecuzione di trasporto di cose con autoveicoli o motoveicoli, senza licenza o senza autorizzazione oppure violando le condizioni o i limiti stabiliti nella licenza o nell’autorizzazione, è punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da lire 100.000 a lire 300.000».
Nonostante l’autotrasportatore non iscritto fosse soggetto al regime penalistico dell’esercente abusivo di «una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato», la giurisprudenza, di merito e di legittimità, ritenne che l’inosservanza del precetto per cui «l’iscrizione nell’albo è condizione necessaria per l’esercizio dell’autotrasporto di cose per conto di terzi» incidesse sul contratto esclusivamente nel senso di rendere inapplicabili le (altrimenti obbligatorie) tariffe a forcella, potendo queste essere invocate esclusivamente dal trasportatore iscritto nell’albo nazionale e munito della prescritta autorizzazione.
3.1.2.– Con decreto-legge 27 novembre 1992, n. 463, all’art. 26 fu aggiunto un terzo comma che puniva con la reclusione fino a quattro mesi o con la multa da 100.000 a 800.000 lire «chiunque affida l’effettuazione di un autotrasporto di cose per conto di terzi a chi eserciti abusivamente l’attività di cui all’art. 1» e prevedeva, inoltre, il sequestro e la successiva confisca della merce trasportata.
Tale decreto non fu convertito in legge, e così pure l’identico decreto-legge 26 gennaio 1993, n. 19.
3.1.3.– Alla scadenza del periodo utile per la conversione del decreto-legge n. 19 del 1993, fu emanato il decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82, il cui art. 1 aggiunse al testo originario dell’art. 26 i seguenti, due commi:
«Chiunque affida l’effettuazione di un autotrasporto di cose per conto di terzi a chi esercita abusivamente l’attività di cui all’articolo 1 o ai soggetti di cui all’articolo 46 della presente legge, è punito con l’ammenda da lire cinquantamila a lire un milione. Si procede altresì al sequestro della merce trasportata, di cui può essere disposta la confisca con la sentenza di condanna.
«Ai fini di cui al presente articolo, al momento della conclusione del contratto di autotrasporto di cose per conto di terzi, a cura di chi effettua il trasporto, sono annotati nella copia del contratto di trasporto da consegnare al committente, pena la nullità del contratto stesso, i dati relativi agli estremi dell’attestazione di iscrizione all’Albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi rilasciati dai competenti comitati provinciali dell’Albo nazionale degli autotrasportatori di cui alla presente legge, da cui risulti il possesso dei prescritti requisiti di legge».
La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione (27 maggio 1993, n. 162) – con la quale si facevano salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge n. 463 del 1992 e n. 19 del 1993 – esponeva che «l’articolo 1 è necessitato dalla circostanza che nel settore vi sono numerosissimi operatori abusivi, e ciò nonostante i controlli sull’iscrizione all’albo e sul sistema autorizzativo messi in opera dalle amministrazioni deputate allo scopo. Prevedere il coinvolgimento dei committenti nelle responsabilità connesse a tali trasporti abusivi è l’unico deterrente per scongiurare il lamentato fenomeno».
3.1.4.– Nell’iter parlamentare del disegno di legge governativo n. 2935, comunicato alla Presidenza del Senato il 10 dicembre 1997, la VIII Commissione permanente del Senato approvò una norma (art. 30) a tenore della quale «l’ultimo comma dell’art. 26 della legge 6 giugno 1974, n. 298, come modificato dall’articolo 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, si interpreta nel senso che la prevista annotazione sulla copia del contratto di trasporto dei dati relativi agli estremi dell’iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi possedute dal vettore, nonché la conseguente nullità del contratto privo di tali annotazioni, non comportano l’obbligatorietà della forma scritta del contratto di trasporto previsto dall’art. 1678 del codice civile ma rilevano soltanto nel caso in cui per la stipula di tale contratto le parti abbiano scelto la forma scritta».
La Camera dei deputati stralciò, insieme con altre, la norma da quella che sarebbe divenuta la legge 7 dicembre 1999, n. 472 (Interventi nel settore dei trasporti).
3.1.5.– Il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 – attuativo della legge-delega 25 giugno 1999, n. 205, sulla depenalizzazione dei reati minori – provvide a:
a) sostituire il primo comma dell’art. 26 prevedendo per il trasportatore abusivo, in luogo di quella penale, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire quattro milioni a lire ventiquattro milioni, aumentata in caso di recidiva infraquinquennale;
b) sopprimere il secondo comma, relativo al sequestro del veicolo;
c) portare ad una somma da lire tre milioni a lire diciotto milioni la sanzione per chi affida l’effettuazione dell’autotrasporto ad un abusivo, sopprimendo la previsione del sequestro e della successiva confisca della merce trasportata;
d) inserire un comma (terzo) per cui «alle violazioni di cui al primo comma consegue la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo per un periodo di tre mesi ovvero, in caso di reiterazione delle violazioni, la sanzione accessoria della confisca amministrativa del veicolo, con l’osservanza delle norme di cui al capo I, sezione II, del titolo VI del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285».
3.1.6.– L’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256, riproduce esattamente la norma che, inserita dal Senato, fu poi espunta dalla Camera nell’iter di approvazione della legge n. 472 del 1999 (v. sub 3.1.4.); norma recepita integralmente dalla legge (n. 256 del 2001) di conversione e giustificata, nella relazione illustrativa, come «una necessaria precisazione, in linea con lo spirito del legislatore della legge n. 162 del 1993, che aveva come obiettivo la lotta all’abusivismo e che ha invece fatto sorgere situazioni di non omogenea applicazione sul territorio nazionale, provocando un contenzioso di notevolissima portata».
E’ il caso di rilevare che i numerosi interventi critici svolti in sede parlamentare investivano l’idoneità dello strumento a tal fine individuato (decreto-legge di interpretazione autentica), ma riconoscevano tutti l’esigenza di superare la giurisprudenza prevalente formatasi sull’art. 26, come modificato dal decreto-legge n. 82 del 1993: sicché gli emendamenti sostitutivi dell’art. 3 erano nel senso di consentire in futuro la forma orale del contratto e di prevedere anche, per il passato, che la violazione del requisito formale dell’annotazione dei dati non potesse mai giustificare l’azione di ripetizione di indebito oggettivo di cui all’art. 2033 cod. civ. e che fossero dovuti i compensi pattuiti tra le parti a condizione che l’autotrasportatore fosse iscritto nell’albo nazionale e fosse munito della prescritta autorizzazione.
4.– La lunga e complessa vicenda legislativa appena ricordata mostra chiaramente come il legislatore abbia tentato, attraverso un progressivo aggiustamento degli strumenti utilizzati, di conseguire il duplice obiettivo di contrastare il fenomeno dell’abusivismo e di realizzare, in tal modo, una situazione di leale concorrenza nel settore dei trasporti di merci per conto terzi.
4.1.– Il ricorso alla sanzione penale nei confronti del solo autotrasportatore abusivo (e dell’intermediario che “dispone l’esecuzione del trasporto … senza licenza o senza autorizzazione”) si rivelò del tutto inefficace, non soltanto perché nessuna sanzione era prevista a carico del committente, ma anche perché il contratto concluso con l’autotrasportatore abusivo veniva – secondo la giurisprudenza pacifica – “sanzionato” esclusivamente con l’esclusione dell’applicabilità delle tariffe a forcella, e quindi, ancora una volta, a carico del solo autotrasportatore e, per giunta, con vantaggio per il committente.
In sostanza, il committente che si valeva dell’autotrasportatore abusivo non soltanto era esente da qualsiasi sanzione, ma era “premiato” dalla possibilità di concordare compensi ben inferiori a quelli, altrimenti, obbligatoriamente previsti dalla legge: sicché si pervenne al risultato di incoraggiare, con il ricorso all’abusivismo, anche pratiche di concorrenza sleale da parte di taluni committenti a danno di altri.
4.2.– I decreti-legge emanati tra la fine del 1992 e l’inizio del 1993 miravano a porre termine al singolare effetto prodotto dalla legge del 1974 ma utilizzavano, a tal fine, esclusivamente l’estensione al committente della sanzione penale; non a caso del successivo decreto-legge n. 82 del 1993 la relazione al disegno di legge di conversione sottolineava esclusivamente (come si è ricordato sub 3.1.3.) il profilo del «coinvolgimento dei committenti nelle responsabilità connesse a tali rapporti abusivi» nonostante, contestualmente, il legislatore fosse altresì intervenuto sulla disciplina del contratto “ai fini di cui al presente articolo”.
Ed infatti, la disciplina “formale” introdotta poneva a carico del solo trasportatore l’onere di fornire al committente “i dati … da cui risulti il possesso dei prescritti requisiti di legge” (implicitamente escludendo che il committente dovesse in qualsiasi modo attivarsi per verificare che la controparte fosse iscritta all’albo) e sanzionava con la nullità del contratto l’inosservanza non solo dell’onere, ma anche della forma (annotazione nella copia del contratto da consegnare al committente) prescritta per l’osservanza dell’onere stesso.
Se, infatti, numerosi giudici di merito esclusero che la norma in questione comportasse la nullità del contratto privo della forma scritta, attribuendo all’annotazione dei dati in questione la natura di mero adempimento di tipo amministrativo (in quanto certificativi della affidabilità del vettore), la giurisprudenza di gran lunga prevalente ritenne che la norma sanzionasse con la nullità sia l’assenza della forma scritta sia quella delle prescritte annotazioni, con la conseguente sottrazione del committente all’obbligo di rispettare le tariffe a forcella, pur quando l’autotrasportatore era in possesso dei requisiti di legge.
4.3.– La paradossale situazione in tal modo creatasi spiega perché, già in occasione dell’approvazione del disegno di legge governativo poi sfociato nella legge n. 472 del 1999, il Senato approvò una norma di interpretazione autentica del comma introdotto dall’art. 1 del decreto-legge n. 82 del 1993 che escludeva la nullità del contratto stipulato in forma libera; così come spiega perché, reintrodotta tale norma con il decreto-legge n. 256 del 2001, in sede di conversione fu contestato soltanto il ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza (e l’antinomia che in tal modo si creava tra norma interpretativa e norma interpretata), ma fu proposto di escludere in ogni caso l’azione di ripetizione ex art. 2033 cod. civ. (ammessa da alcune pronunce in danno dell’autotrasportatore) e di consentire, per il futuro, la forma libera per il contratto.
Peraltro già in precedenza (d.lgs. n. 507 del 1999) il legislatore aveva provveduto a sostituire alla sanzione penale un sistema di sanzioni amministrative che continuava ad essere più gravoso per l’autotrasportatore che per il committente.
5.– Questa Corte, investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto-legge n. 256 del 2001 sotto il (solo) profilo della efficacia retroattiva di tale norma, ha rilevato l’infondatezza in fatto della premessa – essere assolutamente univoca l’interpretazione consentita dalla lettera e dalla ratio dell’art. 26, ultimo comma, della legge n. 298 del 1974 (come modificato dall’art. 1 del decreto-legge n. 82 del 1993) – dalla quale muovevano i rimettenti per contestare la legittimità del ricorso ad una norma di interpretazione autentica: ed ha rilevato che non soltanto una minoritaria ma consistente giurisprudenza di merito aveva escluso la nullità del contratto non concluso in forma scritta (e, quindi, senza l’osservanza dei requisiti formali previsti dalla norma interpretata) in aderenza ad una ratio per la quale «la sanzione della nullità avrebbe abnormemente colpito il contratto, anche se stipulato con vettore iscritto all’albo, per un vizio di forma non correlato ad una reale esigenza di tutela (neanche) della controparte contrattuale», ma anche che, in ragione della medesima ratio, la giurisprudenza (sia di merito che di legittimità) aveva ex postea ritenuto giustificata l’interpretazione autentica fornita dal legislatore (sentenza n. 26 del 2003).
Con la medesima sentenza questa Corte ha escluso che la norma censurata recasse vulnus di sorta al principio dell’affidamento sulla certezza dei rapporti giuridici, essendo «improponibile un tale argomento a tutela di chi, pur avendo concluso il contratto con vettore iscritto all’albo, pretende di sottrarsi alle conseguenti obbligazioni assumendo di aver fatto affidamento (e cioè scientemente) su un difetto di forma del contratto stesso».
Nel ribadire tali considerazioni con la sentenza n. 341 del 2003, questa Corte ha dichiarato non fondata la censura che investiva lo strumento (non nuovo in questa materia: cfr. 3.1.2. e 3.1.3.) del decreto-legge adottato per introdurre una norma di interpretazione autentica ed ha osservato – dichiarando infondata la questione sollevata in riferimento all’art. 41 Cost. – che «la circostanza che la mancata annotazione dei dati relativi all’iscrizione all’albo consentirebbe, grazie alla nullità del contratto, la facile elusione delle tariffe obbligatorie deporrebbe, semmai, per l’illegittimità costituzionale di quella parte della norma che, attesa la forma orale del contratto stipulato nel caso di specie, non è applicabile nel giudizio a quo».
6.– La questione ora sottoposta all’esame della Corte investe, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, quella parte della norma – introdotta dall’art. 1 del decreto-legge n. 82 del 1993 – che, in combinato disposto con quanto previsto dall’art. 3 del decreto-legge n. 256 del 2001, prescrive, ove gli stipulanti abbiano scelto la forma scritta del contratto, l’annotazione, a pena di nullità del contratto stesso, dei dati relativi al possesso dei requisiti di legge da parte dell’autotrasportatore sulla copia da consegnare al committente.
L’irragionevolezza della norma è di tutta evidenza ove si consideri non soltanto che – a seguito del decreto-legge n. 256 del 2001, ed anche a prescindere dalla sua efficacia retroattiva – è privo di senso consentire alle parti di stipulare oralmente un contratto che, se stipulato in forma scritta, incorre in una radicale nullità per l’assenza (per giunta, in una copia) di certe, estrinseche annotazioni, ma anche che la sanzione della nullità prevista per l’assenza di quelle estrinseche annotazioni non è correlata ad alcun apprezzabile fine, ma costituisce «un eccesso del mezzo utilizzato rispetto al fine dichiarato della repressione dell’abusivismo» (sentenza n. 26 del 2003).
In altri termini, l’intento – dichiaratamente posto alla base dell’intervento legislativo del 1993 – di combattere l’abusivismo, e con esso gravi distorsioni della concorrenza in un vitale settore dell’economia nazionale attraverso il “coinvolgimento” del committente, era vanificato da una disciplina che, di fatto, esentava sostanzialmente il committente da responsabilità e, anzi, gli consentiva, anche quando contraeva con un autotrasportatore in possesso dei requisiti di legge, di sottrarsi agevolmente all’applicazione di quella tariffa a forcella che, viceversa, costituiva l’unico strumento idoneo ad assicurare, contestualmente, una adeguata remunerazione all’autotrasportatore e uniformi condizioni di mercato.
La libertà di forma contrattuale introdotta nel 2001, in sintesi, ha soltanto reso ancor più evidente l’originaria, manifesta irragionevolezza della norma del 1993, e la conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione: è chiaro, infatti, che il legislatore ben può, nella sua discrezionalità, prevedere requisiti formali del contratto se reputati idonei a contribuire al raggiungimento del fine perseguito, ma è altresì chiaro che il limite della non irragionevolezza è valicato quando viene dettata una disciplina che non solo non contribuisce a combattere il fenomeno dell’abusivismo, ma favorisce pratiche distorsive della concorrenza consentendo agevoli elusioni delle tariffe obbligatorie.
La sanzione della nullità è certamente adeguata quando si tratta di colpire il contratto concluso con un autotrasportatore non iscritto all’albo e privo della prevista autorizzazione, ma essa è priva di qualsiasi ragionevole presupposto se applicata al contratto concluso con l’autotrasportatore in regola (con la certa esclusione delle tariffe obbligatorie e il dubbio, addirittura, sull’applicabilità dell’art. 2033 cod. civ.) solo perché una copia del contratto è carente di talune indicazioni.
L’intrinseca, manifesta irragionevolezza della norma determina altresì, come ovvia conseguenza, l’irragionevolezza della disparità di trattamento tra autotrasportatore che stipuli oralmente il contratto ed autotrasportatore che adotti la forma scritta, pur essendo entrambi in possesso dei requisiti abilitanti all’esercizio di attività di autotrasporto di cose per conto di terzi.
7.– Conclusivamente, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298, come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, in combinato disposto con l’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 334, nella parte in cui prevede la nullità del contratto di autotrasporto, concluso per iscritto, per ciò solo che nella copia del contratto da consegnare al committente non siano stati annotati gli estremi dell’iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi possedute dal vettore.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasportatori di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada), come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82 (Misure urgenti per il settore dell’autotrasporto di cose per conto di terzi), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162, in combinato disposto con l’art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256 (Interventi urgenti nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 334, nella parte in cui prevede, ove le parti abbiano scelto per la stipula la forma scritta, la nullità del contratto di autotrasporto per la mancata annotazione sulla copia del contratto dei dati relativi agli estremi dell’iscrizione all’albo e dell’autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi possedute dal vettore.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 2005.
Valerio ONIDA, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2005.