ORDINANZA N.361
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI “
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, numero 3, secondo comma, quarto e quinto periodo, della legge della Regione siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (Elezione dei Consigli delle Province regionali), come sostituiti dall’art. 14 della legge della Regione siciliana 1° settembre 1993, n. 26 (Nuove norme per l’elezione con suffragio popolare del presidente della provincia regionale. Norme per l’elezione dei consigli delle province regionali, per la composizione ed il funzionamento degli organi di amministrazione di detti enti. Norme modificative ed integrative al T.U. approvato con D.Lgs.P.Reg. 20 agosto 1960, n. 3, ed alla legge regionale 26 agosto 1992, n. 7), promosso con ordinanza del 14 novembre 2003 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, sul ricorso proposto da Lucchese Giuseppe contro la Provincia regionale di Messina ed altri, iscritta al n. 328 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di costituzione di Lucchese Giuseppe, di Calanna Francesco Concetto ed altri, di Faraci Antonino Orazio Michele, nonché l’atto di intervento della Regione siciliana;
udito nell’udienza pubblica del 26 ottobre 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella;
uditi l’avvocato Arturo Merlo per Lucchese Giuseppe, l’avvocato Giovanni Monforte per Faraci Antonino Orazio Michele e l’avvocato dello Stato Gaetano Zotta per la Regione siciliana.
Ritenuto che, nel corso del giudizio elettorale promosso da Giuseppe Lucchese davanti al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, per ottenere l’annullamento delle operazioni elettorali per il rinnovo del Consiglio della Provincia regionale di Messina, svoltesi nei giorni 25 e 26 maggio 2003 e conclusesi con la proclamazione degli eletti di cui al verbale dell’ufficio elettorale provinciale in data 11 giugno 2003, l’adito Tribunale, con ordinanza del 14 novembre 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 51, primo comma, della Costituzione, dell’art. 18, numero 3, secondo comma, quarto e quinto periodo, della legge della Regione siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (Elezione dei Consigli delle Province regionali), e successive modificazioni, introdotte dall’articolo 14, secondo comma, della legge regionale 1° settembre 1993, n. 26 (Nuove norme per l’elezione con suffragio popolare del presidente della provincia regionale. Norme per l’elezione dei consigli delle province regionali, per la composizione ed il funzionamento degli organi di amministrazione di detti enti. Norme modificative ed integrative al T.U. approvato con D.Lgs.P.Reg. 20 agosto 1960, n. 3, ed alla legge regionale 26 agosto 1992, n. 7), nella parte in cui “dispone l’assegnazione dei seggi residuati non secondo la graduatoria delle liste in funzione del miglior quoziente ed in ragione della disponibilità dei seggi per collegio, ma partendo dai collegi «con popolazione legale meno numerosa» e passando via via agli altri in «ordine crescente di popolazione»”;
che il giudice rimettente premette, in fatto, che il ricorrente ha partecipato alla competizione elettorale quale candidato della lista “Democratici di sinistra” nel collegio n. 1 (Messina Sud) e che tale lista – alla quale sono stati attribuiti, in sede provinciale, tre seggi, non avendo conseguito quozienti interi – ha partecipato alla distribuzione dei seggi residui, a norma dell’art. 18, numero 3, della legge regionale n. 14 del 1969;
che la lista medesima, pur avendo raggiunto nel collegio di Messina Sud il suo più alto quoziente, non ha conquistato alcun seggio in tale collegio, ma ha ottenuto i tre seggi in altri collegi, ove ha riportato quozienti di gran lunga inferiori, per effetto del criterio introdotto dall’art. 14, secondo comma, della legge regionale n. 26 del 1993, il quale, sostituendo il quarto e il quinto periodo del secondo comma dell’art. 18, numero 3, della legge regionale n. 14 del 1969, dispone che «gli eventuali seggi residui verranno attribuiti a partire dal collegio con popolazione legale meno numerosa, seguendo la graduatoria decrescente delle parti centesimali fino all’attribuzione di tutti i seggi spettanti al collegio. Quindi si passa alla attribuzione degli altri seggi residui a quei collegi che seguono il primo secondo l’ordine crescente di popolazione, fino all’esaurimento dei seggi attribuiti a ciascuna lista in sede provinciale»;
che, poiché il ricorrente sostiene che uno dei tre seggi attribuiti, in sede provinciale, alla lista “Democratici di sinistra” avrebbe dovuto essere assegnato al collegio n. 1, con conseguente sua elezione, per avere la medesima lista riportato in tale collegio un quoziente più elevato, è evidente la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della citata norma di legge;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che la norma in questione favorisce i candidati delle circoscrizioni minori, mentre il resto della disciplina (art. 18 della legge regionale n. 14 del 1969) – prevedendo formule matematiche intese a omogeneizzare in un’unica graduatoria i risultati conseguiti da ciascuna lista nei vari collegi («si moltiplica per cento il numero dei voti riportati in sede collegiale da ciascuna lista alla quale, in sede provinciale, sono stati assegnati uno o più seggi e il risultato si divide per il totale dei voti conseguiti nell’ambito della circoscrizione collegiale dalle liste ammesse al riparto dei seggi. Quindi si moltiplica tale risultato per il numero dei seggi assegnato al collegio diviso cento») – salvaguarderebbe gli interessi di tutti i candidati attraverso la formazione di “una graduatoria rapportata alla medesima base percentuale (100), con la determinazione di un quoziente che rappresenta, per un verso, il valore proporzionale dell’apporto arrecato dai candidati di una lista in ambito collegiale per il conseguimento dei seggi conquistati dalla medesima lista su base provinciale, per altro verso il valore elettorale di ciascuna lista in ciascun collegio «relativizzato» con l’analogo «valore» collegiale delle altre liste”;
che il “correttivo”, per il quale i seggi residui vengono attribuiti partendo dal collegio con popolazione legale meno numerosa, potrebbe togliere ogni significato alla “omogeneizzazione” dei risultati di ciascuna lista nei vari collegi, penalizzando un migliore risultato elettorale e premiando, invece, un risultato deteriore, per cui viene ad essere irragionevolmente depotenziato il principio di maggiore rappresentatività (relativa), che deve presiedere all’assegnazione dei seggi;
che risulterebbe violato, da tale “correttivo”, il principio di uguaglianza, inteso come canone di coerenza e ragionevolezza, che l’art. 3 Cost. impone al legislatore, nonché il precetto dell’art. 51, primo comma, Cost., il quale ribadisce il principio di uguaglianza per quanto concerne l’accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive;
che si è ritualmente costituito il ricorrente nel giudizio a quo, il quale, facendo proprie le argomentazioni contenute nell’ordinanza di rimessione, sostiene che la norma censurata determina una iniqua distorsione della reale incidenza proporzionale dei risultati conseguiti dalle varie liste nei collegi in cui è suddiviso il territorio provinciale, in quanto l’assegnazione dei seggi residuali non avviene, come sarebbe logico, in base alla graduatoria delle liste in funzione del miglior quoziente e in ragione della disponibilità dei seggi per ciascun collegio, ma partendo dai collegi con popolazione legale meno numerosa, così stravolgendo oltre il limite della ragionevolezza il principio di maggiore rappresentatività (relativa);
che, quanto all’ammissibilità della questione, il ricorrente osserva che viene chiesta una pronuncia meramente demolitoria, ancorché parziale, rientrante pienamente nei poteri della Corte costituzionale, dal momento che, eliminato il “correttivo” che impone di partire dai collegi con popolazione legale meno numerosa e che distorce irragionevolmente i risultati elettorali, resta all’interno della norma impugnata un criterio ragionevole ed esaustivo, che porta alla formazione di un’unica graduatoria (per tutta la provincia) dei quozienti elettorali riportati da ciascuna lista nei vari collegi, sicché del tutto ragionevolmente si verrebbero ad assegnare i seggi residui scorrendo tale graduatoria, che esprime valori percentuali omogenei, in funzione dell’effettivo valore decrescente del risultato di ciascuna lista in ciascun collegio;
che sono altresì intervenuti Francesco Concetto Calanna e altri sedici componenti del Consiglio della Provincia regionale di Messina, controinteressati nel giudizio a quo, i quali hanno chiesto, in via principale, che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile perché, così come formulata dal giudice rimettente, essa lascerebbe residuare, in caso di accoglimento, una normativa non autosufficiente, che richiederebbe un successivo intervento del legislatore in una materia (quale appunto quella elettorale) in cui l’esistenza di una normativa è costituzionalmente necessaria;
che l’inammissibilità discenderebbe anche da ciò, che l’assegnazione dei seggi residui deve tener conto sia del numero dei seggi residui da assegnare in ogni singolo collegio, sia del numero dei seggi attribuiti, in sede provinciale, a ciascuna lista (e cioè della rappresentatività territoriale dell’eligendo Consiglio provinciale e della rappresentatività politica dei risultati elettorali), cosicché il rispetto di tali fondamentali valori costituzionali comporta necessariamente che le operazioni di assegnazione dei seggi residui non possano che avere inizio da un collegio determinato; l’eliminazione di siffatto criterio non consentirebbe l’applicazione della normativa residua, ragion per cui il giudice rimettente avrebbe dovuto indicare un criterio alternativo, costituzionalmente obbligato;
che, sotto altro profilo, i deducenti sostengono che la questione è inammissibile, dal momento che essa implica il sindacato di una scelta di politica legislativa rimessa alla discrezionalità del legislatore, non deducibile in sede di giudizio di costituzionalità, in quanto, proprio perché le operazioni di attribuzione dei seggi residui debbono necessariamente partire da uno dei collegi sub-provinciali, la individuazione del collegio iniziale non può che essere rimessa alla discrezionalità del legislatore;
che, anteriormente alle modifiche introdotte dall’art. 14 della legge regionale n. 26 del 1993, la normativa della legge regionale n. 14 del 1969 prescriveva che si partisse dal collegio con popolazione più numerosa e che anche tale criterio – capovolto perché faceva sí che le forze politiche minori conseguivano rappresentatività più che proporzionale nei collegi più piccoli e minore rappresentatività nei collegi più grossi – comportava che candidati con quoziente elettorale maggiore fossero postergati a candidati della stessa lista aventi quoziente elettorale minore;
che, nel merito, la questione sarebbe manifestamente infondata perché: a) formulata in termini ipotetici, in quanto il lamentato effetto distorsivo è solo eventuale e fortuito, dipendente non da difetti di struttura normativa, ma da accidenti di mero fatto; b) i quozienti riportati dalle varie liste nei singoli collegi sub-provinciali sono calcolati in base a dati specifici di ciascun collegio, sicché, essendo omogenei e raffrontabili fra loro solo quelli dello stesso collegio, non anche quelli degli altri collegi, la formazione di un’unica graduatoria generale dei quozienti di lista di tutti i collegi non sarebbe logicamente possibile e costituirebbe violazione del principio di eguaglianza, sotto il profilo della ragionevolezza; c) il quoziente ottenuto in un collegio più popoloso è solo apparentemente superiore, in quanto risultato della moltiplicazione della percentuale dei voti riportati dalla lista nel collegio con il numero dei seggi assegnati al medesimo collegio; d) i candidati dei collegi più popolosi hanno maggior facilità a conseguire un quoziente intero, dato il maggior numero di seggi da assegnare, e pertanto il lamentato (preteso) svantaggio in sede di ripartizione dei resti compenserebbe i vantaggi di cui godono per il conseguimento di un quoziente intero;
che, infine, la ragionevolezza della soluzione prescelta dal legislatore regionale è dimostrata anche dalla circostanza che per l’elezione della Camera dei deputati l’art. 83, primo comma, numero 4, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), come modificato dall’art. 5 della legge 4 agosto 1993, n. 277 (Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati), prevede un sistema analogo di attribuzione dei seggi «a partire dalla circoscrizione di minore dimensione demografica»;
che è intervenuto Antonino Orazio Michele Faraci, anch’egli candidato eletto al Consiglio della Provincia regionale di Messina, per chiedere che sia emessa declaratoria di inammissibilità della questione, in quanto la pronuncia chiesta alla Corte costituzionale si risolverebbe in un inammissibile intervento di tipo sostitutivo, che inciderebbe nella sfera di discrezionalità del legislatore, sovrapponendo alla scelta da esso operata fra più possibili soluzioni un diverso assetto di interessi;
che le censure del giudice a quo sembrano muovere dall’idea che il sistema elettorale criticato è irrazionale, perché non è espressione di pura proporzionalità, senza considerare che il principio proporzionalistico non è stato elevato a principio costituzionale e che sono possibili anche all’interno di un sistema elettorale proporzionale discostamenti o attenuazioni in base a valutazioni discrezionali e ragionevoli del legislatore;
che la questione, inoltre, è infondata perché il principio di eguaglianza, sancito dall’art. 51 Cost., non pone un obbligo di trattamento proporzionalistico dei candidati, ma impedisce di incidere sull’elettorato passivo in modo discriminatorio con normative non dotate dei caratteri della generalità e dell’astrattezza, sicché “non si vede come possa ledere tale principio un criterio di ripartizione e di assegnazione dei seggi oggettivamente predeterminato, che opera in modo eguale per tutti i candidati”;
che è intervenuto, altresì, il Presidente della Regione siciliana, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile per mancanza del requisito di incidentalità della stessa, dal momento che l’eventuale pronuncia di accoglimento verrebbe a concretare di per sé la tutela chiesta al giudice a quo;
che, nel merito, la questione è infondata, perché la norma impugnata tende ad assicurare maggiore rappresentatività ai piccoli partiti: infatti, partendo dai collegi con popolazione meno numerosa, i seggi residui vengono attribuiti prima ai partiti più grossi, che hanno maggiori resti, e così via fino ai collegi con popolazione più numerosa, ove ai piccoli partiti, con resti minori, vengono attribuiti i seggi restanti, che sono così assegnati ai candidati che hanno riportato più voti e sono maggiormente rappresentativi del partito;
che il sistema elettorale delineato dalla legge regionale, pur se diverso da quello previsto dalla legge statale 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), porta a risultati non sostanzialmente difformi, sicché non può ritenersi che il legislatore regionale, nell’esercizio della potestà legislativa primaria in materia elettorale, giusta gli artt. 14 e 15 dello statuto della Regione siciliana (approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), abbia dettato norme irrazionali in violazione dell’art. 51 Cost. (Corte costituzionale, sentenza n. 108 del 1969);
che non può ritenersi violato il principio di eguaglianza, atteso che la particolare disciplina in esame è sorretta da motivi adeguati e ragionevoli e comunque correlati a peculiari condizioni locali;
che, nell’imminenza del giudizio, hanno depositato memoria gli intervenienti Calanna e altri, ribadendo quanto dedotto nell’atto di intervento, e sottolineando gli effetti distorsivi che, rispetto al criterio della rappresentatività territoriale, per il quale l’assegnazione dei seggi ai vari collegi avviene in funzione della popolazione ivi residente, verrebbero prodotti dall’attribuzione dei seggi secondo il criterio del più elevato quoziente elettorale conseguito dai candidati delle singole liste;
che ha depositato memoria (tempestivamente consegnata all’ufficio postale) anche il Lucchese, eccependo l’inammissibilità degli avversi interventi, in quanto svolti da soggetti costituitisi nel giudizio a quo dopo la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale e, quindi, dopo la sospensione del giudizio; contestando l’eccezione di inammissibilità della questione per difetto di incidentalità; insistendo perché la questione venga dichiarata fondata.
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 18, numero 3, secondo comma, quarto e quinto periodo, della legge della Regione siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (Elezione dei Consigli delle Province regionali), e successive modificazioni, introdotte dall’art. 14, secondo comma, della legge regionale 1° settembre 1993, n. 26 (Nuove norme per l’elezione con suffragio popolare del presidente della provincia regionale. Norme per l’elezione dei consigli delle province regionali, per la composizione ed il funzionamento degli organi di amministrazione di detti enti. Norme modificative ed integrative al T.U. approvato con D.Lgs.P.Reg. 20 agosto 1960, n. 3, ed alla legge regionale 26 agosto 1992, n. 7), nella parte in cui “dispone l’assegnazione dei seggi residuati non secondo la graduatoria delle liste in funzione del miglior quoziente ed in ragione della disponibilità dei seggi per collegio, ma partendo dai collegi «con popolazione legale meno numerosa» e passando via via agli altri in «ordine crescente di popolazione»;
che deve respingersi l’eccezione di inammissibilità della questione per difetto del carattere incidentale sollevata dalla Regione siciliana, in quanto il petitum dell’azione proposta dal Lucchese è distinto e separato dalla questione di legittimità costituzionale, la quale concorre a formare esclusivamente la causa petendi dell’azione stessa (sentenze n. 263 del 1994 e n. 244 del 1996) ed a consentirne l’accoglimento (sentenza n. 349 del 1985);
che deve, altresì, respingersi l’eccezione di inammissibilità degli interventi spiegati dai controinteressati nel giudizio a quo, essendo costoro parti del giudizio stesso – a prescindere dal momento della (e anche dalla) loro costituzione in quel giudizio – in quanto destinatari, quali controinteressati, della notifica dell’atto introduttivo del giudizio ed essendo, per converso, l’intervento precluso a chi non riveste la qualità di parte nel giudizio a quo;
che la questione di legittimità costituzionale è manifestamente inammissibile, in quanto l’esigenza espressa dallo stesso rimettente, allorché chiede che l’assegnazione dei seggi residui avvenga anche “in ragione della disponibilità dei seggi del collegio”, implica necessariamente che tale assegnazione, per l’esaurimento dei seggi disponibili in un collegio, possa avvenire sacrificando il candidato di una lista che, pure, abbia conseguito un quoziente elettorale migliore (nel collegio “esaurito”) rispetto al candidato della medesima lista che, in altro collegio, abbia conseguito un quoziente elettorale meno elevato e, tuttavia, si veda assegnare un seggio perché il suo quoziente è migliore di quello conseguito dai candidati di altre liste tra quelle che hanno ancora diritto all’attribuzione di seggi;
che, in sintesi, l’esigenza di rispettare la rappresentatività territoriale del Consiglio provinciale – e, pertanto, che i consiglieri eletti provengano dai collegi nel numero a ciascuno di questi assegnato in base alla popolazione ivi residente – comporta inevitabilmente che il sistema proporzionale di ripartizione dei seggi tra le liste si coordini, per l’assegnazione ai candidati dei seggi spettanti a ciascuna lista, con il criterio della ripartizione per collegio dei seggi;
che, conseguentemente, la circostanza che – a prescindere dalla (pretesa) omogeneità (e confrontabilità) dei quozienti conseguiti dai candidati di una medesima lista nei vari collegi (quozienti che si ottengono anche attraverso la moltiplicazione per il numero dei seggi assegnati a ciascun collegio) – il candidato di una lista risulti, nel suo collegio, non eletto (per essere stati i seggi attribuiti a candidati di altre liste o perché aventi quoziente più elevato o perché, negli altri collegi, la lista ha già conseguito tutti i seggi ad essa spettanti) costituisce un (ineliminabile) inconveniente di mero fatto, connesso all’esigenza di rispettare la rappresentatività della popolazione dei singoli collegi;
che, pertanto, è manifestamente inammissibile una questione di legittimità costituzionale che prospetti, da un lato, l’esigenza di rispettare scrupolosamente “la graduatoria delle liste in funzione del miglior quoziente” e, dall’altro lato, l’incompatibile esigenza di assegnare i seggi “in ragione della loro disponibilità per collegio”, senza in alcun modo indicare la soluzione che consentirebbe di soddisfare integralmente entrambe le suddette esigenze.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, numero 3, secondo comma, quarto e quinto periodo, della legge della Regione siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (Elezione dei Consigli delle Province regionali), e successive modificazioni, introdotte dall’art. 14, secondo comma, della legge regionale 1° settembre 1993, n. 26 (Nuove norme per l’elezione con suffragio popolare del presidente della provincia regionale. Norme per l’elezione dei consigli delle province regionali, per la composizione ed il funzionamento degli organi di amministrazione di detti enti. Norme modificative ed integrative al T.U. approvato con D.Lgs.P.Reg. 20 agosto 1960, n. 3, ed alla legge regionale 26 agosto 1992, n. 7), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2004.
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 25 novembre 2004.