Sentenza n. 244 del 1996

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SENTENZA N. 244

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promossi con ordinanze emesse:

1) il 16 gennaio 1996 dal Pretore di Latina nel procedimento civile vertente tra F.L.A.I.C.A. Uniti C.U.B. e CO.AL. S.p.a., iscritta al n. 243 del registro ordinanze del 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1996;

2) il 27 novembre 1995 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti di Milano e Provincia (F.L.M.U.) e FIAT AUTO S.p.a., iscritta al n. 332 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di costituzione della Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti di Milano e Provincia (F.L.M.U.) e della FIAT AUTO S.p.a. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1996 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Roberto Muggia per la Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti di Milano e Provincia (F.L.M.U.), Giacinto Favalli, Paolo Tosi, Raffaele De Luca Tamajo e Roberto Nania per la FIAT AUTO S.p.a. e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1.-- Nel corso di un procedimento promosso ai sensi dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, dalla Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti di Milano e provincia - FLMU, affiliata alla Confederazione Unitaria di Base (C.U.B.), contro la S.p.a. FIAT Auto per denunciare come antisindacale il rifiuto di riconoscimento delle rappresentanze sindacali aziendali costituite dalla ricorrente, il Pretore di Milano, con ordinanza del 27 novembre 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 della legge citata n. 300 del 1970, "nella parte (primo comma) in cui limita il riconoscimento delle rappresentanze aziendali alle sole organizzazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi".

In conformità dei risultati del referendum indetto con d.P.R. 5 aprile 1995, il d.P.R. 28 luglio 1995, n. 312, ha parzialmente abrogato il primo comma dell'art. 19, il cui testo è ora del seguente tenore: "Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva".

La rilevanza della questione è motivata sul riflesso che "all'eventuale pronuncia dichiarativa della Corte nel senso indicato dalla FLMU corrisponderà la qualificazione antisindacale della condotta denunciata".

Nel merito il giudice rimettente osserva che con le sentenze nn. 54 del 1974, 334 del 1988 e 30 del 1990 questa Corte aveva riconosciuto l'aderenza ai richiamati principi costituzionali dell'art. 19 nella formulazione originaria che prevedeva, con ponderato equilibrio, due indici alternativi di rappresentatività, l'affiliazione alle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale oppure, trattandosi di sindacati autonomi, l'avere stipulato contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell'unità produttiva. Col nuovo testo questo modello ritenuto conforme alla Costituzione è venuto meno, restando come unico requisito per il riconoscimento della rappresentatività lo strumento negoziale, allargato alla contrattazione aziendale, così che il riconoscimento della rappresentanza sindacale aziendale dipenderebbe esclusivamente dal c.d. potere di accreditamento del datore di lavoro.

Oltre al principio dell'autonomia sindacale sancito dall'art. 39 Cost., sarebbe violato anche l'art. 3 Cost. perché si sarebbe introdotta la possibilità di costituire rappresentanze a favore di organizzazioni sindacali prive di effettiva rappresentatività, sol che siano firmatarie di contratti collettivi, e di negarla ad organizzazioni che, pur rappresentative sia esternamente che nell'ambito aziendale, non abbiano sottoscritto alcun accordo.

1.2.-- Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituita l'associazione sindacale ricorrente chiedendo in via principale la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 19 della legge n. 300 del 1970, in via subordinata una sentenza interpretativa di rigetto nel senso che "la stipulazione di contratti collettivi di lavoro costituisce una presunzione di rappresentatività, che non preclude, al sindacato che sia per altra via maggiormente rappresentativo, la prova in ordine alla ricorrenza di tale requisito al fine di legittimamente costituire una rappresentanza sindacale aziendale".

Sviluppando la motivazione dell'ordinanza di rimessione, la FLMU sostiene che la parziale abrogazione referendaria ha sovvertito il precedente equilibrio, minando alle radici le ragioni delle precedenti decisioni di questa Corte nel senso della legittimità costituzionale dell'art. 19: la norma di risulta, infatti, finisce col rimettere il riconoscimento di rappresentatività del sindacato e della rappresentanza aziendale costituita nel suo ambito al potere di accreditamento del datore di lavoro, con violazione non solo dell'art. 39, ma anche dell'art. 3 Cost. Si aggiunge che l'art. 17 della legge n. 300, il quale reprime i sindacati di comodo, non è un rimedio sufficiente contro il pericolo di arbitrarie discriminazioni a danno di sindacati muniti di effettiva rappresentatività desumibile da altri indici.

A sostegno della domanda subordinata di una sentenza interpretativa di rigetto è richiamata la sentenza n. 492 del 1995, nella quale si legge che dal referendum è stata "valorizzata l'effettività dell'azione sindacale - desumibile dalla partecipazione alla formazione della normativa contrattuale collettiva - quale presunzione di maggiore rappresentatività". Questo carattere presuntivo non escluderebbe, a detta del ricorrente, la rilevanza di altri indici, ove sia fornita una prova adeguata, considerata anche la rilevanza del concetto di "maggiore rappresentatività" a fini istituzionali sovra-aziendali.

In prossimità dell'udienza di discussione la FLMU ha depositato una memoria aggiuntiva.

1.3.-- Si è costituita la Società convenuta chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.

L'inammissibilità è dedotta sotto il profilo della rilevanza, osservando anzitutto che il denunciato comportamento della FIAT Auto, pienamente lecito secondo il vigente art. 19 dello statuto dei lavoratori, come riconosce la stessa controparte, non potrebbe qualificarsi retroattivamente illecito, con le conseguenze previste dall'art. 28, per effetto di una eventuale dichiarazione di illegittimità della norma che finora lo autorizza.

Sotto il medesimo profilo un secondo motivo di inammissibilità è ravvisato nella mancata prefigurazione, sia nel dispositivo, sia nella motivazione dell'ordinanza, del sollecitato intervento della Corte. Comunque la questione sarebbe in ogni caso inammissibile: se diretta a una sentenza caducatoria, perché, sopprimendo ogni criterio di selezione, renderebbe inapplicabile l'intero titolo III dello statuto; se diretta a una sentenza additiva, perché la Corte non ha il potere di aggiungere alla legge criteri alternativi a quello da essa esclusivamente previsto. D'altra parte, il tenore tassativo della disposizione esclude che l'aggiunta possa essere introdotta in via interpretativa, come chiede in linea subordinata il sindacato ricorrente.

Nel merito, la società obietta che il c.d. "potere di accreditamento", che il nuovo art. 19 attribuirebbe all'imprenditore, è immaginato in base a una impropria lettura della sentenza n. 30 del 1990 di questa Corte. In tale sentenza l'ipotesi dell'"accreditamento" non si riferiva minimamente alla contrattazione collettiva, ma soltanto ad eventuali decisioni unilaterali del datore di lavoro di estendere tutti o parte dei diritti e delle agevolazioni previste dal titolo III dello statuto a rappresentanze aziendali costituite da associazioni sindacali sprovviste dei requisiti legali dell'art. 19. Postulare che, per definizione, il criterio legale di selezione dei sindacati rappresentativi in ragione della partecipazione alla stipulazione dei contratti collettivi applicati in azienda comporti interferenze estranee alla spontanea dinamica sindacale significa mettere in discussione le basi del nostro sistema di relazioni industriali. Soltanto una valutazione astratta della realtà di questo sistema, conclude la società resistente, può affermare che la decisione dell'imprenditore di contrattare con una piuttosto che con un'altra organizzazione sindacale dei lavoratori sarebbe un atto arbitrario, anziché determinato dalla considerazione della rispettiva capacità di produrre consenso.

1.4.-- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Ad avviso dell'Avvocatura, poiché i requisiti richiesti dalle lett. a) e b) dell'originario art. 19 erano configurati dal legislatore con carattere di alternatività, il venir meno di uno di essi non può comportare automaticamente la contrarietà alla Costituzione di quello residuo, rovesciando il giudizio espresso da questa Corte. D'altra parte non si vede come la norma, nel suo funzionamento fisiologico, possa consentire al datore di lavoro di favorire un'associazione sindacale, alterando così la libera e fedele espressione della volontà dei lavoratori nella dialettica con il datore di lavoro.

2.1.-- Analoga questione, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, è stata sollevata dal Pretore di Latina, con ordinanza del 16 gennaio 1996, nel procedimento promosso, sempre ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970, dalla F.L.A.I.C.A. Uniti (Federazione Lavoratori Agro-Industria Commercio e Affini Uniti), aderente alla Confederazione Unitaria di Base (C.U.B.), contro la S.p.a. CO.AL., lamentando di essere esclusa, in quanto non firmataria del contratto collettivo applicato in azienda, dalle misure di sostegno del sindacato previste nel titolo III della legge n. 300 del 1970.

La rilevanza della questione è motivata dal giudice rimettente sul riflesso che, se il comportamento della società, legittimo allo stato attuale della legislazione, dovesse continuare anche dopo l'accoglimento della questione di incostituzionalità, nel senso di persistere nel rifiuto di riconoscimento del sindacato ricorrente ai fini della fruizione dei diritti di cui al titolo III dello statuto dei lavoratori, "prenderebbe sostanza il profilo dell'antisindacabilità del comportamento".

Nel merito la motivazione è analoga, in termini più concisi, a quella del Pretore di Milano.

2.2.-- Non si sono costituite le parti private, mentre è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione con argomentazione simile a quella svolta nell'atto di intervento nel primo giudizio.

Considerato in diritto

1.-- I Pretori di Milano e di Latina hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo risultante dall'abrogazione parziale disposta dal d.P.R. 28 luglio 1995, n. 312, in esito al referendum indetto con d.P.R. 5 aprile 1995, in quanto limita il riconoscimento delle rappresentanze aziendali alle sole organizzazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell'unità produttiva.

I giudizi promossi dalle due ordinanze, avendo il medesimo oggetto, vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2.-- Devono essere preliminarmente esaminate due eccezioni di inammissibilità sollevate nel primo giudizio dalla S.p.a. FIAT Auto.

Il rifiuto di applicazione alle associazioni sindacali ricorrenti, prive della qualità richiesta dall'art. 19, delle norme di sostegno del sindacato nei luoghi di lavoro contenute nel titolo III dello statuto dei lavoratori è stato denunciato come antisindacale sul presupposto dell'illegittimità costituzionale della limitazione di tali norme ai sindacati firmatari di contratti collettivi applicati nell'unità produttiva. La FIAT eccepisce che, proposta come incidente di costituzionalità in un procedimento promosso ai sensi dell'art. 28 della legge citata, la questione è irrilevante perché il comportamento del datore di lavoro, pienamente lecito alla stregua del vigente art. 19, non potrebbe diventare retroattivamente illecito per effetto di una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che attualmente lo permette.

La premessa non giustifica l'argomento di inammissibilità che si vorrebbe trarne. Poiché l'azione ex art. 28 non è diretta a una tutela di condanna, ma a una tutela inibitoria di un comportamento continuato con effetti permanenti, la prospettazione - ritenuta non manifestamente infondata dal giudice a quo - di illegittimità costituzionale della norma permissiva della condotta denunciata è idonea a fondare la domanda di pronuncia dell'ordine giudiziale di cessazione del comportamento e di rimozione degli effetti, subordinatamente alla condizione della sopravvenienza di una sentenza costituzionale che ne determini l'illegittimità. Né varrebbe replicare che l'ipotizzata dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 19 indurrebbe presumibilmente il datore di lavoro a desistere spontaneamente, perché anche in questa prospettiva l'incidente di costituzionalità conserverebbe rilevanza per la definizione del giudizio principale, il quale si chiuderebbe con un provvedimento di merito motivato dalla cessazione della materia del contendere.

In secondo luogo la società costituita nel primo giudizio eccepisce l'inammissibilità sul riflesso che, comunque intesa, la questione mira a un risultato eccedente i poteri della Corte, alla quale è precluso sia di caducare l'art. 19 sopprimendo ogni criterio selettivo e così rendendo inapplicabile l'intero titolo III dello statuto, sia di aggiungere criteri alternativi a quello previsto dalla legge. La finalità caducatoria è implicitamente esclusa dalla stessa ordinanza di rimessione: la questione è sollevata "secondo la prospettazione del sindacato ricorrente", chiaramente orientata, in linea principale, a una sentenza additiva di principio che promuova il ripristino di uno stato di diritto analogo a quello anteriore al referendum. Certamente la Corte non ha il potere di ristabilire in termini specifici una pluralità di criteri selettivi, ma non le sarebbe inibita una pronuncia di illegittimità costituzionale che rimetta al legislatore l'individuazione di altri indici alternativi di rappresentatività.

3.1.-- Nel merito la questione non è fondata.

I giudici rimettenti muovono da due premesse interpretative che non possono essere condivise: a) l'art. 19 priverebbe il sindacato dell'"autonomia del proprio riconoscimento", assoggettandolo a un potere di accreditamento del datore di lavoro; b) l'art. 19 conserverebbe tuttavia la funzione di referente generale per la definizione, anche ai livelli extra-aziendali, della nozione di maggiore rappresentatività.

Asse portante dell'interpretazione sub a) è la sentenza n. 30 del 1990 di questa Corte, che ha ritenuto non consona alla garanzia costituzionale dell'autonomia sindacale l'ipotesi di "espansione, attraverso lo strumento negoziale, del potere di accreditamento della controparte imprenditoriale". Questo concetto, estrapolato dalla motivazione, viene impropriamente applicato all'art. 19 per sostenere che il riconoscimento di rappresentatività del sindacato, nel cui ambito è stata costituita una rappresentanza sindacale aziendale, sarebbe rimesso all'accreditamento discrezionale dell'imprenditore.

In senso proprio il concetto di "potere di accreditamento" designa il caso in cui il datore di lavoro, nullo iure cogente, concede pattiziamente una o più agevolazioni previste dal titolo III della legge n. 300 del 1970 alla rappresentanza aziendale di una associazione sindacale priva dei requisiti legali per averne diritto. E' appunto il caso oggetto del giudizio che ha dato luogo alla citata sentenza (interpretativa di rigetto), la quale, in adesione alla giurisprudenza della Corte di cassazione, ha reputato inderogabili detti requisiti. La sentenza non mette in discussione l'idoneità della contrattazione collettiva quale criterio di accertamento della rappresentatività dei sindacati stipulanti, ma, tutt'al contrario, esclude che, per concessione del datore di lavoro, possano accedere ai benefici del titolo III associazioni sindacali, prive di rappresentatività presuntiva ai sensi della lettera a) dell'art. 19 (ora abrogata), le quali non siano qualificate, ai sensi della lettera b), dalla partecipazione alla contrattazione collettiva vigente in azienda.

Secondo l'art. 19, pur nella versione risultante dalla prova referendaria, la rappresentatività del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro, espresso in forma pattizia, ma è una qualità giuridica attribuita dalla legge alle associazioni sindacali che abbiano stipulato contratti collettivi (nazionali, locali o aziendali) applicati nell'unità produttiva. L'esigenza di oggettività del criterio legale di selezione comporta un'interpretazione rigorosa della fattispecie dell'art. 19, tale da far coincidere il criterio con la capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro, direttamente o attraverso la sua associazione, come controparte contrattuale. Non è perciò sufficiente la mera adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto; nemmeno è sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa unità produttiva.

L'art. 19 "valorizza l'effettività dell'azione sindacale, desumibile dalla partecipazione alla formazione della normativa contrattuale collettiva" (sentenza n. 492 del 1995) quale indicatore di rappresentatività già apprezzato dalla sentenza n. 54 del 1974 come "non attribuibile arbitrariamente o artificialmente, ma sempre direttamente conseguibile e realizzabile da ogni associazione sindacale in base a propri atti concreti e oggettivamente accertabili dal giudice". Respinto dalla volontà popolare il principio della rappresentatività presunta sotteso all'abrogata lettera a), l'avere tenuto fermo, come unico indice giuridicamente rilevante di rappresentatività effettiva, il criterio della lettera b), esteso però all'intera gamma della contrattazione collettiva, si giustifica, in linea storico-sociologica e quindi di razionalità pratica, per la corrispondenza di tale criterio allo strumento di misurazione della forza di un sindacato, e di riflesso della sua rappresentatività, tipicamente proprio dell'ordinamento sindacale.

3.2.-- Così interpretata, in conformità della sua ratio, la norma impugnata non contrasta con nessuno dei parametri costituzionali richiamati. Non viola l'art. 39 Cost. perché le norme di sostegno dell'azione sindacale nelle unità produttive, in quanto sopravanzano la garanzia costituzionale della libertà sindacale, ben possono essere riservate a certi sindacati identificati mediante criteri scelti discrezionalmente nei limiti della razionalità; non viola l'art. 3 Cost. perché, una volta riconosciuto il potere discrezionale del legislatore di selezionare i beneficiari di quelle norme, le associazioni sindacali rappresentate nelle aziende vengono differenziate in base a (ragionevoli) criteri prestabiliti dalla legge, di guisa che la possibilità di dimostrare la propria rappresentatività per altre vie diventa irrilevante ai fini del principio di eguaglianza.

Del resto, si tratta di una possibilità astratta, non concretabile se non con un intervento legislativo. Escluso, perché condannato dal responso referendario, l'indicatore presuntivo collegato all'affiliazione a una confederazione maggiormente rappresentativa sul piano nazionale, in alternativa a quello adottato dall'art. 19 sono proponibili o l'indicatore previsto dall'art. 39, quarto comma, Cost., collegato al numero degli iscritti al sindacato, oppure l'indicatore collegato al numero di voti ottenuti in elezioni a suffragio universale indette nelle unità produttive: il primo non è certo agibile mediante semplice autocertificazione del sindacato interessato (la difficoltà di organizzare una sorta di anagrafe sindacale è una delle ragioni che hanno ostacolato l'attuazione della seconda parte dell'art. 39 Cost.); il secondo presuppone l'introduzione di una normativa che preveda elezioni aperte a tutti i sindacati (senza i limiti previsti dall'accordo interconfederale 20 dicembre 1993 sulla costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie), e inoltre fissi una soglia di voti il cui superamento conferisce al sindacato la qualità rappresentativa.

4.-- L'interpretazione sopra riferita sub b), essa pure mirante a screditare la razionalità della legge, è palesemente inattendibile.

Caduta la lettera a) dell'art. 19, il concetto di "maggiore rappresentatività" ha perduto la rilevanza di fonte di rappresentatività presunta ai fini endoaziendali. Né è possibile trasferire alla norma residua (ex lettera b), tanto meno dopo l'allargamento alla contrattazione aziendale, la funzione di modello di riferimento per la determinazione del concetto a fini extra-aziendali: le associazioni sindacali maggiormente rappresentative sono qualificate essenzialmente, oltre che dall'effettività dell'azione sindacale, dalla loro articolazione a livello nazionale e dai caratteri di intercategorialità e pluricategorialità.

Il criterio selettivo stabilito dall'art. 19 vale esclusivamente per l'individuazione dei sindacati le cui rappresentanze nelle unità produttive sono destinatarie dei diritti e delle tutele previsti nel titolo III della legge n. 300 del 1970: era questo l'obiettivo del referendum approvato dal corpo elettorale e in esso si esauriscono gli effetti della modificazione apportata alla legge.

Agli effetti delle norme che, ai livelli sovra-aziendali, attribuiscono alle associazioni sindacali più rappresentative la legittimazione a stipulare determinati contratti collettivi (per es. artt. 1, comma 1, 2, comma 1, 3, comma 3, del d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito in legge 19 dicembre 1984, n. 863; art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56; art. 8 del d.P.R. 23 agosto 1988, n. 395; artt. 45 e 46 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) oppure diritti di informazione o di consultazione (per es. art. 5 della legge 20 maggio 1975, n. 164; art. 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428; artt. 1, comma 2, 4, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223), la nozione di maggiore rappresentatività si definisce autonomamente dall'art. 19, in base alle singole disposizioni che la utilizzano e alla stregua dei requisiti di fondo, testé rammentati, messi in evidenza dall'analisi giurisprudenziale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nel testo risultante dall'abrogazione parziale disposta dal d.P.R. 28 luglio 1995, n. 312 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, della lettera a) e parzialmente della lettera b) dell'art. 19, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, sulla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, nonché differimento dell'entrata in vigore dell'abrogazione medesima), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione, dai Pretori di Milano e di Latina con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 luglio 1996.