ORDINANZA N. 301
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI “
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfonso QUARANTA “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 58, all. A), del regio decreto dell’8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), promosso con ordinanza del 19 dicembre 2002 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Pattarini Sergio e l’Auto Guidovie Italiane s.p.a., iscritta al n. 112 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti di costituzione di Pattarini Sergio e dell’Auto Guidovie Italiane s.p.a. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 luglio 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella;
uditi gli avvocati Valfredo Nicoletti per Pattarini Sergio, Giuseppe Catalano per l’Auto Guidovie Italiane s.p.a. e l’Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto che, nel corso di un giudizio civile promosso da Sergio Pattarini al fine di sentir dichiarare l’illegittimità della destituzione irrogatagli, quale sanzione disciplinare, dalla società A.G.I. (Auto Guidovie italiane s.p.a.), con i conseguenti effetti reintegratori e risarcitori, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 58 allegato A) del regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), «in relazione alla successiva normativa richiamata in motivazione», nella parte in cui devolve al giudice amministrativo la cognizione delle controversie in materia di sanzioni disciplinari degli autoferrotranvieri;
che, in punto di rilevanza, il giudice a quo, evidenziato il carattere pregiudiziale delle questioni di giurisdizione, ripetutamente affermato, del resto, dalla stessa Corte costituzionale, esplicita di ritenere fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito, opposta dalla parte convenuta, alla luce del dettato dell’art. 58, allegato A) del r.d. n. 148 del 1931;
che, quanto alla non manifesta infondatezza del dubbio prospettato, rileva che, a suo giudizio, l’evoluzione del quadro normativo di riferimento avrebbe intaccato il carattere unitario ed omogeneo della disciplina del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, per come assestatasi negli ultimi anni, sì da rendere dubbia la tenuta costituzionale della norma censurata, in relazione all’art. 3 – sotto il duplice profilo dell’eguaglianza di trattamento e della ragionevolezza – e all’art. 24 della Costituzione, e non implausibile un ripensamento del giudizio negativo, già formulato dal giudice delle leggi, sulla questione ora riproposta al suo esame;
che il rimettente richiama segnatamente la delegificazione dei rapporti dei dipendenti delle aziende esercenti il servizio di trasporto, operata dalla legge n. 270 del 1988 e la soppressione delle funzioni «amministrative relative alla nomina dei consigli di disciplina» sancita, con riferimento alle «gestioni governative», dall’art. 102 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi allo Stato, alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997 n. 59), e, in attuazione dello stesso – e con riguardo alle aziende di trasporto pubblico locale –, dalla legge della Regione Lombardia 5 gennaio 2000, n. 1 (Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazione del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 112);
che da tale disciplina emergerebbe il superamento della «specialità residuale» della normativa relativa agli autoferrotranvieri, in sintonia con la trasparente volontà legislativa di disancorare dalle rigidità proprie dei «criteri pubblicistici» la tutela dell’interesse collettivo al buon funzionamento del servizio di trasporto;
che, peraltro, non a caso i rapporti di lavoro «nel più ampio settore ferroviario e anzi nel generale settore del pubblico impiego», con la sola eccezione di pochissime, elevate figure professionali di dipendenti statali, sono stati sottratti al giudice amministrativo e attribuiti a quello civile del lavoro;
che, in tale contesto, la permanenza della giurisdizione del giudice amministrativo per le sole controversie disciplinari degli autoferrotranvieri – e in tale limitato ambito, «neppure unitaria per tutte le aziende del settore» – si presta ad essere letta, a giudizio del tribunale, come frutto di un silenzio normativo dovuto alla convinzione della implicita attrazione della materia nella giurisdizione del giudice ordinario, o come semplice svista, non tempestivamente rimediata dal legislatore ordinario, anche per i comprensibili «tempi di assestamento» dei nuovi sistemi di riparto della giurisdizione;
che l’anomalia – della quale si chiede la correzione al giudice delle leggi con una pronuncia che attui «un razionale, unitario ed egualitario sistema di relazioni e regole applicabili, in materie ormai analoghe» – incide, secondo il rimettente, anche sulla garanzia del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione, posto che rende inapplicabile alle controversie disciplinari degli autoferrotranvieri lo speciale processo previsto dalla legge n. 533 del 1973, improntato ad oralità, celerità, immediatezza nonché caratterizzato da un regime di favore sul piano probatorio e in punto di esecuzione delle decisioni;
che, in definitiva, lo scostamento dai canoni di equità, ragionevolezza ed eguaglianza insito nella scelta legislativa di rendere giustiziabili davanti al giudice amministrativo questo solo tipo di controversie, legittima il sospetto di lesione degli artt. 3 e 24 della Costituzione;
che, costituendosi in giudizio, l’attore nel giudizio a quo, ricapitolati i fatti che avevano determinato il suo licenziamento nonché i momenti essenziali dello svolgimento del processo innanzi al Tribunale di Milano, rileva come nella disciplina del rapporto di lavoro degli autoferrotranviari e del relativo sistema disciplinare fosse centrale l’istituto del consiglio di disciplina;
che, in particolare – ricorda il deducente –, in base al sistema originariamente delineato negli artt. 54 e 58, allegato A del r.d. n. 148 del 1931, le sanzioni di minore gravità erano soggette ad impugnazione, esclusivamente interna, davanti «al consiglio di amministrazione dell’azienda o al direttore», a seconda che la loro decisione fosse di competenza, rispettivamente, del direttore o del capo servizio, laddove per le misure più gravi, fino alla destituzione, era previsto l’intervento costitutivo di un apposito organo della p.a., il consiglio di disciplina, le cui decisioni erano ricorribili innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale;
che la Corte costituzionale, nel ritenere infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di cassazione, partì dall’affermazione, «oltremodo priva di consistenza», che, in base alla giurisprudenza costante della stessa Corte di cassazione, il ricorso innanzi al giudice amministrativo dovesse ritenersi consentito «avverso tutte indistintamente le sanzioni disciplinari inflitte al personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione, quale che (fosse) l’organo che le (aveva) irrogate» (sentenza n. 240 del 1984);
che nella sentenza n. 2719 del 1985 (emessa a conclusione del giudizio interrotto con la rimessione) la Corte di cassazione a sezioni unite constatò che, non già per un preesistente “diritto vivente”, ma a seguito della pronuncia del Giudice delle leggi, il sistema doveva ormai ritenersi stabilizzato nel senso che, da un lato, tutte le sanzioni fossero impugnabili davanti al consiglio di disciplina, prima, e davanti al giudice amministrativo poi, e, dall’altro, al fine di non rompere l’unitarietà del sistema, che anche le sanzioni non contestate davanti al consiglio di disciplina, potessero essere sindacate dal giudice amministrativo;
che, in tale contesto, l’effetto abrogativo dell’art. 102 del d.lgs. n. 112 del 1998 e della legge della Regione Lombardia n. 1 del 2000 non può ritenersi limitato alla sola caducazione delle norme procedimentali relative alla nomina e alla composizione dei consigli di disciplina, ma deve ritenersi esteso a tutte le disposizioni del r.d. n. 148 del 1931 che postulino l’operatività di tali organi, in conformità, del resto, all’opinione espressa dal Consiglio di Stato in sede consultiva (sezione seconda, 19 aprile 2000);
che tale conclusione è coerente con la centralità del consiglio di disciplina, ai fini del riparto di giurisdizione nella materia disciplinare, a suo tempo sottolineata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 208 del 1984 e posta dalla Corte di cassazione a fondamento dell’esclusione dalla giurisdizione del giudice amministrativo delle sanzioni disciplinari inflitte al personale dei servizi di linea extraurbani (privi del consiglio di disciplina in ragione del numero minimo di dipendenti);
che avendo il consiglio di disciplina una composizione di tipo arbitrale, in quanto costituito da esponenti rappresentativi delle due parti in conflitto, esso si poneva a mezzo tra il sistema pubblico e il sistema privato di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970, sicché la Corte costituzionale dovrebbe emettere, tenuto conto della complessiva evoluzione del quadro normativo di riferimento, una sentenza interpretativa di rigetto che, confermando la costituzionalità dell’art. 58, allegato A del r.d. n. 148 del 1931, dia tuttavia atto dell’impugnabilità dei provvedimenti disciplinari degli autoferrotranvieri non più davanti al consiglio di disciplina e al giudice amministrativo, ma davanti al collegio di conciliazione e arbitrato di cui all’art. 7 della legge 20 marzo 1970, n. 300, e al giudice ordinario;
che la società convenuta nel giudizio a quo deduce la manifesta infondatezza della questione proposta, ricordando preliminarmente che la stessa, già più volte esaminata dal giudice delle leggi con riferimento ai medesimi parametri e per motivi non diversi da quelli enunciati nell’ordinanza di rimessione, è stata ritenuta, con le sentenze n. 208 del 1984 e n. 62 del 1996 e con le ordinanze n. 161 e n. 439 del 2002, infondata o manifestamente infondata;
che queste ultime pronunce hanno tenuto conto dell’intero contesto normativo richiamato dal rimettente, e quindi anche di quelle «disposizioni nuove» (come l’art. 3, comma 126, della legge della Regione Lombardia n. 1 del 2000), che a giudizio del rimettente avrebbero inciso sul sistema in modo tale da fare apparire irragionevole la scelta del legislatore di rendere giustiziabili innanzi al giudice amministrativo le controversie relative agli addebiti disciplinari degli addetti ai pubblici servizi di trasporto in concessione;
che, in realtà, la norma regionale, dichiaratamente introdotta nel convincimento che il disposto dell’art. 102 del d.lgs. n. 112 del 1998 riguardasse la nomina dei consigli di disciplina in via generale, sarebbe, per un verso, inutile – stante la già avvenuta soppressione, con effetto su tutto il territorio nazionale, delle funzioni amministrative da essa prese in considerazione – e, sotto altro aspetto, illegittima, in quanto volta a interferire, sia pure attraverso una norma meramente riproduttiva di quella statale, nella disciplina della giurisdizione e del processo, materia sicuramente riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato;
che, poiché l’impianto del r.d. n. 148 del 1931 è rimasto sostanzialmente integro, non v’è motivo per negare la perdurante specialità del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri e del relativo sistema disciplinare, la quale rende non manifestamente irragionevole né arbitraria l’opzione, insita nella normativa censurata, in favore della giurisdizione amministrativa;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio con la rappresentanza dell’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto dichiararsi inammissibile o comunque infondata la questione sollevata, già scrutinata negativamente dalla Corte, con riferimento agli stessi parametri ora evocati, nelle ordinanze n. 161 e n. 439 del 2002 e nelle sentenze n. 190 del 2000, n. 162 del 1996 e n. 208 del 1984;
che, in particolare, l’interveniente rileva come il giudice a quo, richiamato quale ulteriore indice ermeneutico l’art. 102, comma 1, lettera b), del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (e la conseguente normativa regionale lombarda), abbia incongruamente rappresentato di trovarsi in presenza di un “mero silenzio normativo”, senza avvedersi che in tal modo egli è venuto a prospettare non già un dubbio di legittimità costituzionale, ma una mera questione interpretativa, risolvibile dal giudice ordinario e sindacabile da parte delle sezioni unite della Cassazione, e senza considerare che in ogni caso la Corte costituzionale, fin dalla sentenza n. 208 del 1984, ha chiarito che nessuna incompatibilità con gli artt. 3 e 24 della Costituzione può essere radicata sulla sola specialità di una disciplina, come quella censurata;
che nell’imminenza dell’udienza, entrambe le parti private hanno depositato memorie;
che la società convenuta nel giudizio a quo osserva, in particolare, che la delegificazione operata dall’art. 1 della legge n. 270 del 1988 mirava a realizzare l’unificazione a livello nazionale della disciplina contrattuale dei rapporti di lavoro degli autoferrotranviari (in modo da superare le notevoli disparità esistenti tra le aziende di trasporto) ed a stabilire una nuova gerarchia delle fonti, in cui la contrattazione nazionale non fosse più derogabile in sede aziendale: sicché la disciplina delle qualifiche del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto fu rimessa alla contrattazione nazionale di categoria, alla quale soltanto venne riconosciuta la possibilità di derogare alle disposizioni contenute nel regolamento allegato al r.d. n. 148 del 1931, ferma l’inefficacia di tutti i regolamenti e i contratti aziendali e/o individuali al momento in vigore;
che, in definitiva, la delegificazione disposta con la legge n. 270 del 1988 non avrebbe ridotto, ma consolidato la omogeneità normativa del trattamento degli autoferrotranvieri e nel contempo lo avrebbe ulteriormente diversificato da quello degli altri lavoratori con i quali si è soliti abbinarlo;
che l’affermazione secondo la quale la specialità del rapporto di lavoro degli autoferrotranviari sarebbe ormai circoscritta alla materia disciplinare è smentita, a tacer d’altro, dal mantenimento in vita dell’intero impianto del r.d. n. 148 del 1931 (derogabile solo ad opera della contrattazione collettiva e di fatto derogata entro ambiti assai ristretti), sicché essa investe anche il patto di prova, lo ius variandi, il sistema di promozioni, l’esonero dal servizio e l’orario di lavoro;
che, nella sua memoria, l’attore nel giudizio a quo ribadisce che, in un contesto ordinamentale già profondamente mutato, a seguito dell’attrazione dell’intero settore del pubblico impiego nonché del rapporto di lavoro dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario, sono intervenute delle novità normative – quali il decreto legislativo n. 422 del 1997 che, relativamente al trasporto pubblico locale ha sostituito il regime delle concessioni con quello dei contratti di servizi; il d.lgs. n. 80 del 1998 che, riscrivendo e ampliando la sfera della giurisdizione del giudice amministrativo relativamente ai pubblici servizi, non menziona affatto le controversie originate dall’esercizio del potere disciplinare nel rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri; il d.lgs. n. 112 del 1998, che ha soppresso le funzioni amministrative statali in materia di nomina dei consigli di disciplina – con le quali il legislatore ha in pratica posto termine al sistema delineato nell’art. 58 del r.d. n. 148 del 1931, come ricostruito dal giudice delle leggi nella sentenza n. 240 del 1984: in particolare, venuto meno il Consiglio di disciplina, è venuta meno ogni possibilità di funzionamento di quel sistema, dovendosi per contro far luogo all’applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, operativo per l’intero settore del rapporto di lavoro subordinato;
che, in un contesto in cui il datore di lavoro è un mero contraente e non più un concessionario di pubblico servizio (in quanto tale sostituto della pubblica amministrazione, rispetto ai terzi) e in cui, conseguentemente, non è possibile continuare a sostenere la natura di atti amministrativi dei relativi provvedimenti, non può immaginarsi la perdurante vigenza di una giurisdizione ormai priva del suo principale presupposto;
che sarebbero pertanto maturi i tempi per un intervento chiarificatore della Corte che, pur nel rigetto dell’eccezione di incostituzionalità, affermi la giurisdizione del giudice del lavoro per tutti i provvedimenti disciplinari assunti nei confronti degli autoferrotranvieri.
Considerato in diritto che il Tribunale di Milano dubita, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 58, allegato A del regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), «in relazione alla successiva normativa richiamata in motivazione», nella parte in cui riserva al giudice amministrativo la cognizione delle controversie relative agli addebiti disciplinari degli autoferrotranvieri;
che il giudice rimettente auspica che questa Corte riveda, in considerazione dell’evoluzione del quadro normativo di riferimento che avrebbe intaccato il carattere unitario ed omogeneo della disciplina del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, il giudizio, già più volte formulato, sulla infondatezza della questione sollevata;
che in proposito occorre osservare che, proprio in presenza del medesimo quadro normativo sul quale fa leva il rimettente, questa Corte ha rilevato che la permanente «specialità, sia pure residuale» del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri fa sì che «la scelta discrezionale del legislatore di non intervenire (modificandola) sulla speciale regolamentazione delle sanzioni disciplinari dei dipendenti delle aziende (in mano pubblica o privata) di trasporto non è censurabile sul piano costituzionale, non essendo manifestamente irragionevole o palesemente arbitraria, né potendo configurarsi un obbligo, per lo stesso legislatore, di procedere ad una contemporanea revisione dell’intero riparto della giurisdizione, anche per i settori particolari caratterizzati da specialità di rapporti, di esigenze e di disciplina», e ciò anche perché, come ripetutamente statuito da questa Corte, «non si può affermare, in linea di principio, che dinanzi al giudice amministrativo sia offerta una tutela meno vantaggiosa o appagante di quella che si avrebbe davanti al giudice ordinario» (ordinanza n. 439 del 2002, che richiama, tra le altre, l’ordinanza n. 161 del 2002);
che questa Corte non può che ribadire la pronuncia di manifesta infondatezza della questione, non potendo certo costituire ragione di ripensamento la circostanza che il rimettente, dopo aver premesso di condividere «la valutazione in ordine all’attuale permanenza della giurisdizione amministrativa in base alle previsioni dell’art. 58, anche a fronte delle modificazioni legislative intervenute in materia», successivamente (e contraddittoriamente) osservi – «letto anche, a fini valutativi il parere espresso in sede consultiva dal Consiglio di Stato» – che «la mancata espressa devoluzione delle controversie disciplinari degli autoferrotranvieri al giudice ordinario del lavoro non deve essere letta come specifica scelta del legislatore di mantenere la giurisdizione amministrativa, bensì come mero silenzio normativo»;
che tale perplessa ed oscura argomentazione non vale a rendere condivisibile l’affermazione secondo la quale «il silenzio e/o l’omissione del legislatore ordinario sarebbe emendabile e rimediabile dal giudice costituzionale … anche con pronuncia di tipo additivo», potendo essa, al più, deporre per l’assenza di consistenza costituzionale di una questione sostanzialmente prospettata come meramente interpretativa (circa l’abrogazione implicita della norma censurata).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, allegato A) del regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 settembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29 settembre 2004.