ORDINANZA N. 162
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 344 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 3 febbraio 1995 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da La Sala Rocco, iscritta al n. 735 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Udito nella camera di consiglio del 17 aprile 1996 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
RITENUTO che la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dell'art. 344 del codice penale "nella parte concernente il minimo edittale della pena";
che a parere del giudice a quo la sentenza n. 341 del 1994, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 341 cod. pen. nella parte in cui prevedeva come minimo edittale la reclusione per mesi sei, non estenderebbe i suoi effetti alla fattispecie prevista dall'art. 344 dello stesso codice;
che per effetto della citata sentenza di questa Corte si sarebbe dunque venuta a creare a parere della Corte rimettente una ingiustificata disparità di trattamento tra i due reati, nel senso che alla meno grave ipotesi di oltraggio a pubblico impiegato sarebbe riservato un trattamento più grave nel minimo rispetto a quello ora previsto per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, con conseguente compromissione degli indicati parametri, attesa la palese sproporzione del sacrificio della libertà personale fra le due ipotesi poste a raffronto, tale da vanificare anche il fine rieducativo della pena; una sproporzione, conclude il giudice a quo, neppure componibile in via ermeneutica, sia perché non è consentito estendere interpretativamente la citata sentenza di questa Corte a reati diversi da quello ivi considerato, sia perché si perverrebbe comunque alla conclusione di una ingiustificata equiparazione, quoad poenam, nel limite minimo di reati di diversa gravità.
CONSIDERATO che l'art. 344 cod.pen., nel richiamare le disposizioni dettate dall'art. 341 dello stesso codice, individua sul piano sanzionatorio un regime di mera proporzionalità fra le pene, con l'ovvia conseguenza di far sì che qualsiasi modifica apportata alla sanzione edittalmente prevista dalla norma richiamata automaticamente si riverberi sulla disposizione richiamante;
che l'ordinanza del giudice a quo si fonda, dunque, su un presupposto interpretativo erroneo, mentre nessun rilievo assume la circostanza che le ipotesi in comparazione risultino ora equiparate nel limite minimo della pena, giacché - anche a voler prescindere dalla inammissibilità di quesiti manipolativi sul punto - l'omologazione del trattamento sanzionatorio al minimo fissato in via generale dall'art. 23 cod. pen. è proprio di tutte le fattispecie delittuose che, senza per questo turbare alcun valore di rango costituzionale, non stabiliscono un minimo edittale autonomo malgrado la diversa gravità dei reati contrassegnata dalla differente pena massima;
che, pertanto, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 344 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 20 maggio 1996.