Ordinanza n. 108 del 2004

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ORDINANZA N. 108

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo                      ZAGREBELSKY             Presidente

- Valerio                        ONIDA                                Giudice

- Carlo                           MEZZANOTTE                         "

- Fernanda                     CONTRI                                     "

- Guido                         NEPPI MODONA                     "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                              "

- Annibale                     MARINI                                     "

- Franco                         BILE                                           "

- Giovanni Maria           FLICK                                        "

- Francesco                    AMIRANTE                              "

- Ugo                             DE SIERVO                              "

- Romano                      VACCARELLA                        "

- Paolo                           MADDALENA                         "

- Alfonso                       QUARANTA                             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 23 dicembre 2002, n. 279 (Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario), promossi, nell’ambito di due diversi procedimenti, dal Tribunale di sorveglianza di Sassari con ordinanze del 17 aprile e del 3 luglio 2003, iscritte al n. 506 e al n. 783 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32 e n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di costituzione della parte privata del procedimento nel cui ambito è stata sollevata la questione iscritta al n. 506 del registro ordinanze 2003, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

uditi l’avvocato Rossella Cicchetti per la parte costituita e l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha sollevato (r.o. n. 506 del 2003), in riferimento all’art. 3 della Costituzione, su eccezione della difesa, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 23 dicembre 2002, n. 279 (Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario), «nella parte in cui non prevede che le disposizioni di cui all’art. 1 della legge citata non si applichino ai condannati per i reati già compresi nel testo previgente dell’art. 4-bis, comma 1, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e commessi prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306»;

che la norma censurata prevede che le disposizioni di cui all’art. 1 - che modifica l’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario (introdotto dall’art. 1 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito dall’art. 1 della legge 12 luglio 1991, n. 203, modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 7 agosto 1992, n. 356), sostituendo l’intero comma 1 e parzialmente il comma 2-bis - «non si applicano nei confronti delle persone detenute per i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale ovvero per delitti posti in essere per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico commessi precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge»; 

che il rimettente premette di essere investito del reclamo avverso il decreto con cui il Magistrato di sorveglianza di Nuoro aveva rigettato la richiesta di permesso premio di un detenuto, condannato con sentenza divenuta esecutiva nel 1991 a ventisei anni di reclusione per sequestro di persona a scopo di estorsione;

che alla luce dell’attuale quadro normativo il detenuto non potrebbe essere ammesso al beneficio richiesto, essendo stato condannato per un delitto per il quale è preclusa l’ammissione alle misure alternative in assenza del requisito della collaborazione con la giustizia;

che il giudice a quo precisa inoltre che non ricorrono le ipotesi di utile collaborazione o di collaborazione impossibile elaborate dalla Corte costituzionale, ora espressamente contemplate dall’art. 4-bis come modificato dalla legge n. 279 del 2002, e che il Tribunale ha già escluso che il condannato al momento dell’entrata in vigore del decreto-legge del 1992 avesse raggiunto un grado di rieducazione tale da poter beneficiare del permesso premio;

che sussistono le altre condizioni richieste dalla legge per l’ammissione al beneficio e che non risultano accertati collegamenti attuali con la criminalità organizzata o eversiva;

che, quanto ai profili di non manifesta infondatezza, il rimettente ricorda che con la sentenza n. 273 del 2001 e con l’ordinanza n. 280 del 2003 la Corte ha escluso che l’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, in quanto «applicabile anche ai detenuti già condannati con sentenza passata in giudicato» prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 306 del 1992, si ponga in contrasto con il principio di irretroattività sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost., posto che tale norma individua esclusivamente un criterio legale di valutazione di un comportamento che deve concorrere al fine di escludere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata e, quindi, la pericolosità sociale del condannato;

che tuttavia l’art. 4, comma 1, della legge n. 279 del 2002 prevede che la disciplina del citato art. 4-bis, come modificato dall’art. 1 della stessa legge, non si applica retroattivamente ai soggetti condannati per i nuovi delitti ostativi alla concessione di benefici in assenza di collaborazione individuati dal novellato art. 4-bis;

che la norma censurata determinerebbe perciò una ingiustificata disparità di trattamento fra coloro che hanno riportato condanna per reati commessi anteriormente all’entrata in vigore del decreto-legge n. 306 del 1992, per i quali opera il divieto di concessione di benefici in assenza del requisito della collaborazione, e coloro che sono stati condannati per reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 279 del 2002, ma originariamente non compresi nell’elenco di quelli ostativi, in quanto solo per questi ultimi è previsto il principio di irretroattività;

che il giudice a quo ritiene che «il legislatore, reputando la modifica legislativa una sorta di "reformatio in peius" del trattamento penitenziario dei condannati per i nuovi reati ostativi contemplati dall’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, abbia voluto espressamente escluderne l’applicazione ai fatti commessi in epoca precedente alla sua entrata in vigore», in base al principio per il quale il condannato non può veder aggravata la punizione prevista dall’ordinamento per effetto di una legge successiva «alla sua condotta criminale»;

che ad avviso del rimettente non vi è ragione per cui  analogo principio non debba valere anche per i delitti ostativi già previsti nel testo previgente dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario consumati prima dell’entrata in vigore della riforma del 1992;

che «solo una situazione più tranquillizzante sotto il profilo dell’ordine pubblico e della lotta alla criminalità organizzata ha consentito attualmente una opzione diversa rispetto a quella adottata dal legislatore del 1992», ma questo dato storicamente contingente non può giustificare la disparità di trattamento introdotta con la norma censurata, che non trova ragione neppure nella diversità dei reati presi in considerazione, atteso che «non vi è alcun dato obiettivo su cui fondare una presunta maggiore pericolosità degli autori dei delitti già compresi nel testo dell’art. 4-bis» rispetto ai soggetti condannati per i nuovi reati inseriti nel 2002, puniti con pene addirittura più severe degli altri;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, infondata;

che, ad avviso dell’Avvocatura, la questione di legittimità costituzionale riguarda una norma della quale il rimettente non è chiamato a fare applicazione nel giudizio a quo, perché il caso al suo esame si riferisce a un condannato per sequestro di persona a scopo di estorsione, delitto non interessato dalle modifiche introdotte dalla nuova normativa;

che, nel merito, il rimettente non avrebbe fornito una adeguata motivazione in ordine all’asserito carattere peggiorativo della disciplina introdotta con la legge n. 279 del 2002, in quanto la limitazione dell’efficacia temporale di cui all’art. 4, comma 1, è prevista anche per i delitti commessi con finalità d’eversione dell’ordine democratico, già presenti nel testo precedente, e in realtà la nuova disciplina presenta «elementi migliorativi per gli interessati» (come, per esempio, l’ampliamento della così detta collaborazione irrilevante e l’attenuazione della rigidità della prova della cessazione dei collegamenti con le organizzazioni criminali);

che, infine, l’Avvocatura osserva che il Tribunale di sorveglianza di Sassari aveva già censurato, in riferimento all’art. 25 Cost., l’applicabilità della disciplina più restrittiva introdotta dal decreto-legge n. 306 del 1992 ai reati commessi prima dell’entrata in vigore di tale decreto e che la Corte con la sentenza n. 273 del 2001 e con l’ordinanza n. 280 del 2001 ha escluso l’illegittimità dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario;

che si è costituita in giudizio la parte privata, sottolineando, in particolare, come l’art. 1 della legge n. 279 del 2002 abbia sostituito integralmente il comma 1 dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario e come tale sostituzione, ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, abbia lo stesso valore di una abrogazione, con la conseguenza che la nuova disciplina potrebbe esplicare i suoi effetti solo a decorrere dal giorno della sua entrata in vigore;

che in questa prospettiva l’art. 4, comma 1, sarebbe addirittura «superfluo, proprio (sulla base della) considerazione che tutte le norme restrittive non possono che essere applicabili ai condannati per reati commessi successivamente alla data del 24 dicembre 2002»;

che la parte privata osserva inoltre che il legislatore, modificando con l’art. 1 la disciplina contenuta nell’art. 4-bis, «non ha voluto certo stravolgerne la sua concezione originaria, ma ha decisamente voluto aggiustarne il contenuto, uniformandolo all’esigenza trattamentale della pena»: al riguardo i lavori parlamentari dimostrerebbero soprattutto la volontà del legislatore di recepire i principi espressi dalla Corte costituzionale, «senza operare alcuna differenziazione tra coloro che subirono una sentenza di condanna prima dell’originario varo delle norme restrittive e coloro che invece la subirono dopo»;

che nell’ambito di altro procedimento il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha sollevato, su eccezione della difesa, identica questione di legittimità costituzionale (r.o. n. 783 del 2003);

che in fatto il rimettente premette di essere investito di una richiesta di affidamento in prova al servizio sociale e di ammissione alla semilibertà formulata da un detenuto condannato alla pena complessiva di trenta anni e cinque mesi di reclusione per sequestro di persona a scopo di estorsione, furto aggravato, detenzione e porto abusivo di armi, con decorrenza dal febbraio 1980;

che allo stato attuale della normativa la richiesta dovrebbe essere dichiarata inammissibile per mancanza del requisito della collaborazione, sebbene sussistano tutte le altre condizioni imposte dalla legge;

che nel merito il rimettente svolge argomentazioni in tutto analoghe a quelle contenute nella precedente ordinanza;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con atto di intervento identico a quello depositato in relazione all’ordinanza n. 506 del r. o. del 2003, che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, infondata.

Considerato che il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha sollevato in due distinti procedimenti questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 23 dicembre 2002, n. 279 (Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario), in riferimento all’art. 3 della Costituzione;

che, avendo le due ordinanze sollevato la medesima questione con argomentazioni in tutto analoghe, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che l’art. 1 della legge in esame ha sostituito il comma 1 dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, tra l’altro inserendo nel novero dei reati per i quali opera il divieto di concessione delle misure alternative in assenza del requisito della collaborazione con la giustizia i delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602 del codice penale, nonché i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;

che la norma censurata stabilisce che le disposizioni dell’art. 1 non si applicano alle persone detenute per i nuovi reati ostativi commessi precedentemente alla data di entrata in vigore della legge, prevedendo quindi per tali reati l’irretroattività del divieto di concessione delle misure alternative in mancanza di collaborazione con la giustizia;

che in entrambi i giudizi il rimettente – investito, rispettivamente, del reclamo avverso un decreto di rigetto della richiesta di permesso premio (r.o. n. 506 del 2003) e della richiesta di affidamento in prova al servizio sociale e di ammissione alla semilibertà (r.o. n. 783 del 2003), da parte di detenuti condannati per delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione commessi prima del 1991 – censura appunto la “disposizione transitoria” dell’art. 4, comma 1, della legge n. 279 del 2002, in quanto non “estende” l’irretroattività prevista in relazione ai nuovi reati ostativi ai «reati già compresi nel testo previgente dell’art. 4-bis, comma 1, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e commessi prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306», che aveva introdotto il divieto di concessione delle misure alternative in assenza di collaborazione con la giustizia;  

che il giudice a quo, preso atto che questa Corte, con la sentenza n. 273 del 2001 e con l’ordinanza n. 280 del 2001, ha escluso che l’applicabilità di tale divieto ai detenuti che non collaborano con la giustizia, già in espiazione pena al momento dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 306 del 1992, si ponga in contrasto con il principio di irretroattività della legge penale, solleva ora la questione solo con riferimento all’art. 3 Cost.;

che, ad avviso del rimettente, la norma censurata determina una ingiustificata disparità di trattamento fra coloro che hanno riportato condanna per reati commessi anteriormente all’entrata in vigore del decreto-legge n. 306 del 1992, per i quali opera il divieto di concessione di benefici in assenza del requisito della collaborazione, e coloro che sono stati condannati per reati, commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 279 del 2002, precedentemente non compresi nell’elenco di quelli ostativi, in relazione ai quali è invece prevista la irretroattività della nuova disciplina;

che, al fine di dare attuazione uniforme al “principio” che il condannato non può vedere aggravata la sua punizione per effetto di una legge successiva «alla sua condotta criminale», secondo il rimettente l’irretroattività dovrebbe quindi essere “estesa” ai condannati per i delitti ostativi già previsti nel testo originario dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, posto che non vi sarebbe alcun dato obiettivo su cui fondare una presunta maggiore pericolosità degli autori di tali reati rispetto ai soggetti condannati per i nuovi reati ostativi;

che il giudice a quo sembra dunque evocare anche il principio di irretroattività della legge penale, malgrado questa Corte, come sopra ricordato, abbia affermato che la collaborazione con la giustizia, prevista nel decreto-legge n. 306 del 1992 in funzione di presupposto per la concessione dei benefici penitenziari, «rimane estranea alla sfera di applicazione del principio di irretroattività della legge penale di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.», in quanto si risolve in un criterio legale di valutazione di un comportamento che deve necessariamente concorrere al fine di accertare la rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata, la cui sussistenza deve essere verificata all’atto della richiesta di ammissione alla misura alternativa;

che, quanto al parametro di cui all’art. 3 Cost., il rimettente non tiene conto che, nel modificare l’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, la legge n. 279 del 2002, a differenza del decreto-legge n. 306 del 1992, per quanto rileva ai fini della presente questione individua alcuni nuovi reati ostativi, in aggiunta a quelli elencati nel testo previgente dell’art. 4-bis;

che la non omogeneità degli interventi legislativi del 2002 e del 1992 rende non comparabili i due testi normativi sotto il profilo dell’art. 3 Cost., e rivela l’incongruità della pretesa del rimettente di estendere la disciplina intertemporale introdotta dalla norma censurata a un decreto-legge risalente ad oltre un decennio, che non aveva ampliato il novero dei reati ostativi alla concessione dei benefici penitenziari;

che, sulla base di queste concorrenti argomentazioni, le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 23 dicembre 2002, n. 279 (Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,  il 24 marzo 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2004.