ORDINANZA N.280
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, con ordinanza emessa il 20 luglio 2000, iscritta al n. 646 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha sollevato, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis [comma 1, primo periodo] della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante <<Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà>> [come modificato dall'art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356], nella parte in cui prevede che il permesso premio non può essere concesso ai soggetti condannati per i reati ivi indicati che non collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordinamento penitenziario, anche nell'ipotesi in cui la sentenza di condanna é precedente all'entrata in vigore della legge di modifica;
che il Tribunale di sorveglianza di Sassari - investito del reclamo avverso il decreto di diniego di permesso premio, proposto da persona, detenuta in espiazione pena dal luglio 1991, condannata con sentenza del maggio 1990 a venti anni di reclusione per sequestro di persona a scopo di estorsione e altri reati commessi nel 1983 - aveva già sollevato la questione con ordinanza del 25 febbraio 1999, sul presupposto che il principio di irretroattività della legge penale si riferisce <<non soltanto alle norme che disciplinano le fattispecie astratte di reato e le conseguenze sanzionatorie [...] ma anche a quelle che formano il diritto dell'esecuzione della pena e che incidono sulla quantità e sulla qualità della pena da espiare in concreto>>;
che con ordinanza n. 180 del 2000 questa Corte aveva disposto la restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione della rilevanza della questione alla luce della sentenza n. 137 del 1999, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario <<nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso nei confronti dei condannati che prima dell'entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata>>;
che con ordinanza del 20 luglio 2000, introduttiva del presente giudizio, il rimettente ripropone la stessa questione affermandone la perdurante rilevanza in quanto al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina non era ancora decorso il termine previsto per l'accesso al beneficio richiesto, non avendo il detenuto espiato un quarto della pena inflittagli;
che, quanto al grado di rieducazione raggiunto dal detenuto, il rimettente osserva che l'esecuzione della pena é iniziata il 3 luglio 1991 e che, stante la brevità del periodo di osservazione scientifica della personalità del condannato, <<non si può ragionevolmente affermare che quest'ultimo abbia raggiunto prima dell'entrata in vigore della disciplina restrittiva un grado di rieducazione adeguato al permesso premio>>;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
che, in particolare, l'Avvocatura rileva che l'art. 25, secondo comma, Cost. si riferisce alle sole disposizioni strettamente incriminatrici, mentre le regole relative al trattamento penitenziario sfuggono alla previsione costituzionale, che <<non potrebbe essere applicata alla materia de qua senza il robusto contributo di una lettura per così dire "adeguatrice" del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole>>;
che, infatti, lo stesso rimettente esclude <<la possibilità di individuare nella commissione del "fatto" il momento al quale fare riferimento per determinare "non solo l'entità della pena che da questo può conseguire ma anche il tipo di trattamento penitenziario">>, indicando quale momento di riferimento il passaggio in giudicato della sentenza.
Considerato che il Tribunale di sorveglianza di Sassari solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, dell'ordinamento penitenziario, come modificato dall'art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui preclude l'accesso ai permessi premio ai soggetti condannati per i reati ivi indicati che non collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordinamento penitenziario, anche nell'ipotesi in cui la sentenza di condanna é precedente all'entrata in vigore della legge di modifica, assumendo il contrasto di tale disciplina con il principio di irretroattività della legge penale di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.;
che il giudice a quo, rinviando alle argomentazioni svolte nella precedente ordinanza del 25 febbraio 1999, ritiene che il principio di irretroattività della legge penale vada riferito non soltanto alle norme che disciplinano le fattispecie astratte di reato e le conseguenze sanzionatorie, ma anche a quelle che formano il diritto dell'esecuzione e che incidono sulla qualità e quantità della pena da espiare in concreto;
che sarebbe pertanto violato l'art. 25, secondo comma, Cost., in quanto la disciplina censurata ha operato un innegabile peggioramento del trattamento sanzionatorio del condannato, che, ove non fosse intervenuta la nuova e più restrittiva disciplina, potrebbe ora usufruire del permesso premio;
che con sentenza n. 273 del 2001 questa Corte ha dichiarato non fondata analoga questione di legittimità costituzionale della disciplina che preclude ai soggetti che non collaborino con la giustizia di essere ammessi alla liberazione condizionale (artt. 4-bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario e 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203), sollevata, sempre in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., dallo stesso Tribunale con ordinanza del 15 giugno 2000;
che nella menzionata sentenza la Corte ha rilevato che, <<in relazione all'esecuzione delle pene detentive per i delitti indicati dal comma 1, primo periodo, dell'art. 4-bis, la collaborazione con la giustizia - già rilevante nell'ordinamento sul terreno del diritto penale sostanziale (...) - assume, non irragionevolmente, la diversa valenza di criterio di accertamento della rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata, che a sua volta é condizione necessaria, sia pure non sufficiente, per valutare il venir meno della pericolosità sociale ed i risultati del percorso di rieducazione e di recupero del condannato, a cui la legge subordina, ricorrendo a varie formulazioni sostanzialmente analoghe, l'ammissione alle misure alternative alla detenzione e agli altri benefici previsti dall'ordinamento penitenziario>>;
che tale conclusione riposa sulla constatazione che nei confronti degli autori dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'art. 4-bis, che sono espressione di forme di criminalità organizzata connotate da livelli di pericolosità particolarmente elevati, <<la collaborazione con la giustizia é un comportamento che deve necessariamente concorrere ai fini della prova che il condannato ha reciso i legami con l'organizzazione criminale di provenienza>>;
che pertanto, per effetto delle modifiche apportate nel 1992 alla disposizione censurata, <<l'atteggiamento di chi non si adoperi "per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori" o per aiutare "concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati" (art. 58-ter dell'ordinamento penitenziario) é valutato come indice legale della persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata>>;
che la persistenza di tali collegamenti esclude che possano ritenersi sussistenti le condizioni a cui la legge subordina l'ammissione alle misure alternative alla detenzione e ai vari benefici dell'ordinamento penitenziario considerati dall'art. 4-bis;
che analoghe considerazioni possono essere svolte nei confronti della disciplina che preclude di concedere i permessi premio ai condannati che non collaborano con la giustizia, atteso che l'accesso a tale beneficio implica l'assenza di pericolosità sociale, che ne costituisce un presupposto sostanziale, mentre la norma censurata individua un criterio legale di valutazione di un comportamento che deve necessariamente concorrere al fine di accertare che il condannato abbia reciso i collegamenti con la criminalità organizzata e, quindi, non risulti socialmente pericoloso;
che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata, in quanto la disciplina impugnata, non comportando una modificazione dei presupposti sostanziali dei permessi premio, rimane estranea alla sfera di applicazione del principio di irretroattività della legge penale di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2001.