Sentenza n. 137/99

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SENTENZA N. 137

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come modificato dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, promosso con ordinanza emessa il 19 maggio 1998 dal Tribunale di sorveglianza di Torino, iscritta al n. 653 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. – Chiamato a pronunciarsi sul reclamo avverso il diniego di permesso premio, reclamo proposto da persona condannata anche per il delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che dopo avere espiato oltre tredici anni di pena detentiva, aveva chiesto che al proprio caso si applicasse la sentenza costituzionale n. 445 del 1997, il Tribunale di sorveglianza di Torino – premesso che il Gruppo di osservazione e trattamento del carcere aveva predisposto un programma di trattamento approvato dal Magistrato di sorveglianza che esplicitamente valutava in modo favorevole l’eventuale concessione di permessi premiali, ma che lo stesso Magistrato di sorveglianza aveva dichiarato inammissibile la richiesta di concessione del permesso, ostandovi il disposto dell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e che l’invocata sentenza della Corte, riferentesi alla semilibertà, non era direttamente estensibile al beneficio richiesto – ha, con ordinanza del 19 maggio 1998, sollevato, in riferimento all’art. 27, primo e terzo comma della Costituzione, questione di legittimità del predetto art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui preclude l’accesso al beneficio del permesso premio ai detenuti che, pur non trovandosi nelle condizioni previste dall’art. 58-ter della stessa legge, abbiano comunque maturato le condizioni per l’accesso a tale beneficio prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.

In particolare il Tribunale rimettente espone che il soggetto in questione, pur "riconosciuto colpevole di gravi reati in materia di traffico di sostanze stupefacenti con un ruolo non marginale" e trovantesi in una posizione tale da "lasciare legittimamente ritenere la presenza di margini di possibile collaborazione persino dopo l’entrata in vigore della legge n. 356/92", risultava tuttavia "aver serbato per tutto il periodo di reclusione ultradecennale una condotta corretta e rispettosa, senza aver riportato alcuna nota disciplinare, ed aver fattivamente partecipato ad una attività lavorativa inframuraria, sino a che ciò era stato compatibile con le sue condizioni di salute, riportando perciò anche un encomio nel carcere", che "aveva coltivato interessi culturali durante la detenzione incrementando le proprie risorse psichiche", che aveva "beneficiato complessivamente di 675 giorni di liberazione anticipata, costituenti evidente riconoscimento della lunga partecipazione all’opera di rieducazione", tanto da aver meritato la sopra menzionata positiva relazione di sintesi del Gruppo di osservazione e trattamento del carcere, seguita da un programma di trattamento approvato dal Magistrato di sorveglianza ed includente, come sopra detto, l’eventuale concessione di permessi premio.

Il Tribunale rimettente sottolinea in particolare che all’epoca dell’entrata in vigore della legge n. 356 del 1992 il detenuto aveva raggiunto le condizioni per essere ammesso ai permessi premio e che nel corso degli anni successivi non risultava essersi mai discostato dalla partecipazione al trattamento penitenziario.

2. – Rileva il giudice a quo che l’esame delle decisioni della Corte sulla norma denunciata (ad iniziare con la sentenza n. 306 del 1993 per terminare con la decisione sopra ricordata) conduce a ravvisare "una chiara linea evolutiva fondata sulla valorizzazione del contenuto dell’art. 27, primo e terzo comma della Costituzione", nel senso di una affermazione di principio della "relativa costituzionalizzazione" delle posizioni giuridiche acquisite nel corso del trattamento penitenziario. Così da profilare come contrastanti con la funzione rieducativa della pena quelle modifiche legislative che, incidendo sul trattamento penitenziario già in via di sviluppo, provochino una regressione di tale trattamento pure in assenza di una condotta deviante del detenuto o dell’effettivo persistere della pericolosità sociale del detenuto stesso.

Il Tribunale aggiunge che, pur dovendosi riconoscere al legislatore, "come materia di discrezionalità politica", la concreta configurazione del rapporto tra le varie funzioni della pena, si deve tuttavia rilevare che quando "il rapporto tra i progressi compiuti dal detenuto sulla via della revisione delle proprie attitudini devianti e la risposta dell’ordinamento in tema di graduale allentamento delle modalità di espiazione della pena abbia già avuto uno sviluppo concreto e sicuramente dimostrabile", si può determinare un grave urto tra la funzione rieducativa e quell’intervento legislativo che "paralizzi ulteriori sviluppi di un percorso già iniziato e consolidato dalla vigenza di determinate regole". Sempre secondo l’ordinanza del giudice rimettente, in questi casi "la modifica della soglia della ammissibilità dei benefici penitenziari in peius contrasta sicuramente con la funzione rieducativa della pena poichè compromette non solo gli sviluppi futuri del trattamento, ma anche i percorsi già compiuti".

A questo punto il Tribunale di sorveglianza si domanda "quale debba considerarsi il momento in cui l’evoluzione del trattamento penitenziario consolida una posizione che il legislatore non può più comprimere senza il sacrificio della funzione rieducativa della pena"; e trova congrua la risposta fornita dalla citata sentenza n. 445 del 1997 di questa Corte, secondo la quale l’intervento legislativo ingiustificatamente ablatorio, perchè contrastante con l’art. 27 della Costituzione, si verifica quando esso incide su soggetti che al momento della nuova legge avevano già maturato le condizioni per essere ammessi al trattamento più favorevole, sussistendo al contempo le condizioni oggettive e soggettive per la concessione.

Senonchè la suddetta sentenza – prosegue il giudice rimettente – si riferisce esplicitamente ad un caso di ammissione alla semilibertà, mentre nel caso esaminato in sede di reclamo si tratta di una richiesta di permesso premio. Di qui la ritenuta permanenza dell’ostacolo frapposto dall’art. 4-bis, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, così come modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e la conseguente necessità di sottoporre all’esame della Corte "il dubbio circa il contrasto con l’art. 27 commi 1 e 3 dell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975 n. 354, come modificato dalla legge 7 agosto 1992 n. 504 (recte: 356), nella parte in cui preclude l’accesso al beneficio di cui all’art. 30-ter Ord. pen. ai detenuti che, pur non trovandosi nelle condizioni di cui all’art. 58-ter Ord. pen., abbiano comunque maturato i termini di ammissibilità della concessione di tale beneficio prima dell’entrata in vigore del d.l. 8 giugno del 1992, ed a tale data risultassero nelle condizioni per l’ottenimento del beneficio stesso".

3. – Quanto alla rilevanza della proposta questione di legittimità costituzionale il Tribunale rimettente osserva che la natura di "giudizio allo stato degli atti" propria del procedimento di sorveglianza ed il carattere preliminare della valutazione in punto di ammissibilità del beneficio non consentono di formulare una sorta di anticipato giudizio di concessione ostacolato unicamente dal disposto della norma denunciata; ma che ciò non basta per escludere la rilevanza dato che fino a quando non venga rimosso il divieto derivante dall’art. 4-bis l’ammissibilità stessa del permesso premio non potrebbe essere discussa.

4. – Nel giudizio non si é costituita la parte privata nè ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di sorveglianza di Torino, giudicando sul reclamo proposto contro il diniego di permesso premio da un detenuto considerato non inseribile tra i soggetti di cui all’art. 58-ter dell’Ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975, come modificata dal decreto-legge n. 306 dell’8 giugno 1992, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356), ma che tuttavia risultava trovarsi al momento dell’entrata in vigore del suddetto decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, nelle condizioni per essere ammesso al beneficio richiesto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 27, primo e terzo comma, della Costituzione, "dell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975 n. 354, come modificato dalla legge 7 agosto 1992, n. 504 (recte: n. 356), nella parte in cui preclude l’accesso al beneficio dell’art. 30-ter Ord. pen., ai detenuti che, pur non trovandosi nelle condizioni di cui all’art. 58-ter Ord. pen., abbiano comunque maturato i termini di ammissibilità della concessione di tale beneficio prima dell’entrata in vigore del d.l. 8 giugno del 1992, ed a tale data risultassero nelle condizioni per l’ottenimento del beneficio stesso".

Il tribunale rimettente si riporta in proposito alla sentenza n. 445 del 1997 di questa Corte, con la quale é stato ritenuto che "quando la condotta penitenziaria del detenuto ha consentito di accertare il raggiungimento di uno stadio del percorso rieducativo adeguato al beneficio da conseguire", "la innovazione legislativa che vieta la concessione di misure alternative alla detenzione finisce per atteggiarsi alla stregua di un meccanismo a connotazioni ablative, riproducendo così quei caratteri di ‘revoca’ non fondata sulla condotta colpevole del condannato che questa Corte ha già censurato" (il riferimento é essenzialmente alla sentenza n. 306 del 1993).

Sennonchè – prosegue il Tribunale – con la suddetta sentenza n. 445 del 1997 questa Corte si era riferita ad un caso nel quale la richiesta del detenuto era rivolta all’ottenimento dell’ammissione al beneficio della semilibertà, mentre nel caso oggi in esame la richiesta del detenuto é rivolta all’ottenimento di un permesso premio. Di qui la sollevata questione di legittimità costituzionale con specifico riferimento all’ammissibilità a fruire di tale beneficio.

2. – La questione é fondata.

Il percorso compiuto dalla giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza n. 306 del 1993, per mantenere il rispetto del principio rieducativo nella fase dell’esecuzione penale anche in presenza di leggi con cui é stato ritenuto – per far fronte ai pericoli creati dalla criminalità organizzata – di restringere gli accessi alle misure alternative alla detenzione o a determinati benefici penitenziari, é rievocato dall’ordinanza del giudice a quo come già lo fu nella sentenza n. 445 del 1997, alla quale l’ordinanza stessa particolarmente si richiama a fondamento della questione sollevata.

Il punto di arrivo di tale percorso é rappresentato dall’affermazione secondo cui non si può ostacolare il raggiungimento della finalità rieducativa, prescritta dalla Costituzione nell’art. 27, con il precludere l’accesso a determinati benefici o a determinate misure alternative in favore di chi, al momento in cui é entrata in vigore una legge restrittiva, abbia già realizzato tutte le condizioni per usufruire di quei benefici o di quelle misure. Fermo restando ovviamente, come rimarca la stessa ordinanza di rimessione, che nella materia in esame il giudizio di meritevolezza é dato sempre "allo stato degli atti" (donde anche le previsioni di sempre possibili revoche o di dinieghi di nuova concessione nel caso di benefici reiterabili nel tempo) e nella più attenta valutazione ad opera del giudice competente di tutti gli elementi sottopostigli nel momento nel quale é chiamato a deliberare. In particolare (e il richiamo é qui doveroso rispetto a taluni passaggi dell’ordinanza di rimessione) non potrebbe bastare per ottenere un ulteriore beneficio il solo fatto di avere meritato, già prima dell’entrata in vigore della legge modificatrice, i benefici consistenti negli sconti di pena che prendono il nome di liberazione anticipata. Occorrono infatti sempre altri requisiti correlati ai caratteri del beneficio o della misura che si tratta di concedere, e tutti nel segno della loro persistente attualità. Occorre inoltre, in conformità con la costante giurisprudenza di questa Corte, risalente alla sentenza n. 306 del 1993, che anche per i soggetti di cui al primo periodo del comma primo dell’art. 4-bis non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata (cfr. anche sentenze nn. 504 del 1995 e 445 del 1997). Ma pur con queste doverose cautele e precisazioni rimane valido quanto affermato nella giurisprudenza di questa Corte, in particolare nella sentenza n. 445 del 1997 sopra ricordata, nelle sue proposizioni conclusive e nel suo contenuto essenziale.

E pertanto così come é stato affermato che non può essere negata l’ammissione alla semilibertà nei confronti dei condannati che, prima dell’entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356), abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata, altrettanto non può non ripetersi, nei confronti degli stessi soggetti e nel ricorrere di tutte le altre condizioni di legge, per la ammissione al beneficio previsto dall’art. 30-ter dell’Ordinamento penitenziario. Ed infatti il permesso premio, pur non potendo essere ricondotto alla categoria delle misure alternative alla detenzione, é, per il chiaro dettato della legge, una parte integrante del programma di trattamento (comma 3 del suddetto art. 30-ter) e, secondo proposizioni più volte ripetute in decisioni di questa Corte, strumento di rieducazione in quanto consente un iniziale reinserimento del condannato nella società (sentenze n. 188 del 1990 e n. 504 del 1995).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore dell’art. 15, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 aprile 1999.