SENTENZA N.325
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
-Riccardo CHIEPPA, Presidente
-Gustavo ZAGREBELSKY
-Valerio ONIDA
-Carlo MEZZANOTTE
-Fernanda CONTRI
-Guido NEPPI MODONA
-Piero Alberto CAPOTOSTI
-Annibale MARINI
-Franco BILE
-Giovanni Maria FLICK
-Ugo DE SIERVO
-Romano VACCARELLA
-Paolo MADDALENA
-Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera a), della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi) promosso con ordinanza del 18 aprile 2002 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Dagnino Paolo Mario e l’INPS, iscritta al n. 297 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti gli atti di costituzione di Dagnino Paolo Mario e dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2003 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio promosso da Paolo Mario Dagnino contro l’INPS, il Tribunale di Genova, sezione lavoro, con ordinanza emessa il 18 aprile 2002, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera a), della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi).
Il giudice a quo sostiene che la norma censurata, nel disporre il cumulo dei contributi versati alle gestioni commercianti ed artigiani ai fini della liquidazione della pensione, determina una riduzione del trattamento pensionistico rispetto a quello che sarebbe spettato, ai sensi dell’art. 5 della stessa legge n. 233 del 1990, qualora tutti i contributi fossero stati versati ad un’unica gestione previdenziale. La suddetta riduzione non sarebbe giustificata, secondo il giudice a quo, dalla misura complessiva della contribuzione versata che nel caso di specie sarebbe sostanzialmente uguale a quella che sarebbe stata richiesta e versata in un’unica gestione speciale.
Assumendo l’art. 5 della legge n. 233 del 1990 quale criterio normativo di comparazione rispetto alla fattispecie sottoposta al giudizio, il rimettente rileva che la parametrazione della misura della pensione in favore dei soggetti rimasti iscritti alla sola gestione artigiani (o commercianti) al reddito d’impresa quale risulta dalla media dei redditi percepiti negli ultimi dieci anni coperti da contribuzione, ovvero in numero inferiore di anni, anteriori alla decorrenza della pensione, produce una rilevante disomogeneità dei due trattamenti previdenziali in comparazione, la quale non risulta giustificata in presenza di una contribuzione sostanzialmente uguale in entrambe le ipotesi normative e di un’attività comunque di lavoro autonomo. Sul punto è richiamata la sentenza n. 264 del 1994 di questa Corte, nella quale si afferma essere contrario al principio di razionalità che all’inserimento di un periodo di contribuzione nella base di calcolo della pensione consegua, in un sistema che prende in considerazione per la determinazione della retribuzione pensionabile solo l’ultimo periodo lavorativo, come unico effetto, un depauperamento del trattamento pensionistico rispetto a quello già ottenibile ove in tal periodo non vi fosse contribuzione alcuna.
La norma di cui all’art. 16, comma 1, lettera a), della legge n. 233 del 1990, attraverso il richiamo alle contribuzioni versate nei periodi di iscrizione alle rispettive gestioni senza alcun limite temporale, determinerebbe, quale suo effetto, un inferiore e quindi irragionevole trattamento pensionistico, a parità di contribuzioni versate ed in presenza di attività entrambe di lavoro autonomo, rispetto a quello riconosciuto dalla normativa favorevole di settore al pensionato rimasto iscritto, ininterrottamente, nel corso della vita lavorativa, ad un’unica gestione speciale.
Aggiunge il rimettente che la norma di cui all’art. 5 della legge n. 233 del 1990 trova generale applicazione, nel settore del lavoro autonomo, per i trattamenti pensionistici aventi decorrenza successiva al 1° luglio 1990, indipendentemente dalla sussistenza o meno di periodi di contribuzione versati in misura fissa, per cui, in caso di accoglimento della questione, anche il ricorrente nel giudizio a quo rientrerebbe nell’area applicativa della suddetta norma.
Il giudice a quo argomenta, infine, sulla rilevanza della questione sollevata, specificando che una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale della norma censurata darebbe luogo alla disapplicazione del provvedimento dell’INPS determinativo dell’importo mensile lordo della pensione, adottato in base all’art. 16, comma 1, della legge n. 233 del 1990, ed al conseguente riconoscimento del diritto dell’assicurato a percepire una pensione di anzianità di ben maggiore importo.
2. - Si è costituita in giudizio la parte ricorrente del giudizio a quo, la quale, nel chiedere l’accoglimento della questione, sottolinea che la disparità di trattamento realizzata dalla norma censurata non sarebbe giustificata sotto alcun profilo, in quanto: a) le attività considerate (commerciale e artigiana) sono entrambe di lavoro autonomo; b) le contribuzioni richieste per le rispettive gestioni sono, a parità di reddito, praticamente coincidenti; c) le prestazioni erogate a chi, rispettivamente, abbia la pensione liquidata nella gestione esercenti attività commerciali o nella gestione artigiani (a parità di contribuzioni e di periodi contributivi) sono sostanzialmente equivalenti.
3. - Si è costituito in giudizio l’INPS, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
A giudizio dell’INPS, l’inammissibilità discenderebbe dal tenore dell’ordinanza di rimessione, che farebbe riferimento alla lettera b) del comma 1 dell’art. 16 della legge n. 233 del 1990, che disciplina l’ipotesi di periodi assicurativi versati nelle gestioni speciali e nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, non applicabile alla fattispecie esaminata dal giudice a quo.
Nel merito, la questione sarebbe infondata. L’interpretazione secondo la quale l’art. 16 della legge n. 233 del 1990 disciplinerebbe soltanto il cumulo tra i periodi assicurativi in una sola gestione autonoma e in quella dei lavoratori dipendenti e non il cumulo dei contributi in diverse gestioni autonome non troverebbe fondamento né nell’interpretazione letterale, né nell’interpretazione sistematica e porterebbe, come affermato nella giurisprudenza della Cassazione, ad una “irragionevole disparità di trattamento tra chi cumula periodi assicurativi in gestioni autonome, che godrebbe del più favorevole sistema di conteggiare la pensione sulla media dei redditi degli ultimi dieci anni con un’unica anzianità complessiva, rispetto a chi, cumulando periodo assicurativo in gestione dei lavoratori dipendenti con periodo in gestione autonoma, sommerebbe solo due quote di pensione e potrebbe godere dell’altro sistema solo versando il riscatto previsto per la ricongiunzione dei periodi dall’art. 2 della legge n. 29 del 1979”.
Secondo l’INPS, una disparità di trattamento si realizzerebbe, quindi, ove fosse accolta la questione sottoposta all’esame di questa Corte, ponendosi le basi per applicare una differente disciplina per i soggetti che possono cumulare periodi assicurativi in più gestioni speciali.
4. - Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione.
La difesa erariale osserva anzitutto che attraverso la norma dell’art. 16 della legge n. 233 del 1990 il legislatore ha voluto introdurre la possibilità, in alternativa alla ricongiunzione onerosa, di utilizzare una diversa modalità di calcolo, fondata sulla somma delle quote di pensione, imputabili alle singole gestioni, ognuna delle quali calcolata secondo i criteri vigenti presso ciascuna di esse. Resta ferma, dunque, la facoltà per i lavoratori autonomi che abbiano contributi in più gestioni di valersi delle disposizioni in tema di ricongiunzione onerosa, che permette il trasferimento dei contributi da una gestione all’altra, accentrando così presso un’unica gestione i vari periodi di assicurazione (art. 16, comma 3, della legge n. 233 del 1990). Il richiamo esplicito alla facoltà di ricongiunzione onerosa porta ad escludere che chi si avvale di essa, sopportandone l’onere, abbia poi un calcolo della prestazione con le stesse modalità previste in base al cumulo gratuito.
D’altra parte, come sottolineato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 1891 del 2000, il meccanismo introdotto dalla legge n. 233 del 1990 è determinato dall’esigenza di non far ricadere su ogni gestione un onere più gravoso rispetto a quello che si sarebbe realizzato in assenza di cumulo.
Secondo la difesa erariale, la legge n. 233 del 1990 ha voluto introdurre un meccanismo che preveda il cumulo dei periodi assicurativi, senza però introdurre alterazioni del meccanismo di calcolo, secondo il sistema retributivo, della quota dovuta da ogni singola gestione, proprio al fine di preservare gli equilibri finanziari delle gestioni speciali.
La difesa erariale richiama, infine, alcuni passaggi della sentenza di questa Corte n. 198 del 2002, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge n. 233 del 1990, con riferimento agli artt. 2, 3, 35 e 38. In particolare, ai fini della richiesta dichiarazione di infondatezza della questione ora all’esame di questa Corte rileverebbero le seguenti affermazioni contenute nella richiamata sentenza: a) la totalizzazione dei periodi contributivi versati in diverse gestioni previdenziali non ha nel nostro ordinamento un carattere generale; b) in contrario non può invocarsi la sentenza n. 61 del 1999 di questa Corte che ha sì enucleato il principio della totalizzazione, ma delimitandone chiaramente l’operatività al caso in cui l’assicurato non abbia maturato il diritto ad un trattamento pensionistico in alcuna delle gestioni nelle quali è, o è stato, iscritto; c) in senso diverso non può nemmeno valere il richiamo all’art. 42, lettera a, del Trattato CE, alla normativa comunitaria di attuazione (regolamento n. 1408 del 1971 e successive modifiche) e alla giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia, 24 settembre 1998, in causa 132/96); d) rientra nella discrezionalità del legislatore la scelta circa l’estensione del principio della totalizzazione al di là dell’ipotesi contemplata nella sentenza n. 61 del 1999; e) questa Corte, per il dovuto rispetto della discrezionalità legislativa, non può introdurre una nuova ipotesi di totalizzazione, ai fini della misurazione della pensione, anche in considerazione del fatto che il principio costituzionale della adeguatezza della prestazione pensionistica è comunque soddisfatto dalla presenza, nella normativa vigente (art. 5 della legge 12 agosto 1962, n. 1338), di uno strumento costituito dalla pensione supplementare, idoneo ad assicurare - all'atto del pensionamento - l'utilizzo di tutti i periodi, anche brevi, coperti da contribuzione.
5. - In prossimità della camera di consiglio la parte ricorrente nel giudizio a quo ha presentato una memoria nella quale insiste per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Genova.
Nella predetta memoria si osserva, anzitutto, in relazione all’intervento dell’Avvocatura generale dello Stato, che la ricongiunzione onerosa di periodi contributivi prevista dalla legge n. 29 del 1979 non sarebbe contemplata per il soggetto “transitato” soltanto in due gestioni INPS del lavoro autonomo (come gestione commercianti e gestione artigiani).
L’art. 1 della legge n. 29 del 1979, come riconosciuto nella circolare del Ministero del lavoro del 20 ottobre 1979, n. 77, riguarderebbe, infatti, la diversa ipotesi di ricongiunzione di periodi di lavoro autonomo nel fondo pensioni lavoratori dipendenti, mentre l’art. 2 della medesima legge riguarderebbe la ricongiunzione di periodi di lavoro autonomo in gestioni diverse dal fondo pensioni lavoratori dipendenti. Essa sarebbe tuttavia possibile non nell’ambito delle gestioni speciali per i lavoratori autonomi curate dall’INPS ma solo riguardo a gestioni di lavoro dipendente alternative rispetto al fondo pensioni lavoratori dipendenti.
La difesa del ricorrente nel giudizio a quo sottolinea inoltre che la sentenza n. 198 del 2002 di questa Corte, richiamata dalla Avvocatura generale dello Stato, riguarderebbe fattispecie completamente diversa da quella oggetto del presente esame, avendo ad oggetto l’istanza di “totalizzazione” dei contributi versati all’ENPALS con quelli versati alla gestione speciale commercianti dell’INPS. Nel caso ora all’esame di questa Corte, riguardante le gestioni commercianti e artigiani, vi sarebbe, diversamente dall’ipotesi considerata nella sentenza n. 198 del 2002, identità di settore (autonomo), contribuzioni sostanzialmente identiche per le due gestioni, prestazioni pensionistiche anch’esse sostanzialmente identiche a parità di contribuzioni per artigiani e commercianti salvo nel solo caso di iscrizione in tempi successivi alle due gestioni.
Nel caso de quo si avrebbe una decurtazione di pensione superiore al 100%, conseguente all’applicazione della norma censurata, che appare irrazionale e ingiustificata in quanto creatrice di macroscopica sperequazione nel trattamento pensionistico rispetto ai soggetti sempre iscritti alla medesima gestione.
Con riferimento alla memoria di costituzione in giudizio dell’INPS, la difesa del ricorrente nel giudizio a quo osserva anzitutto che l’eccezione di inammissibilità sarebbe del tutto pretestuosa, in quanto il riferimento contenuto nel testo dell’ordinanza pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale alla lettera b) dell’art. 16, comma 1, della legge n. 233 del 1990 sarebbe frutto di un mero errore materiale, che non osta all’individuazione della norma viziata. Nel merito, non sarebbe conferente il riferimento alla sentenza della Cassazione, sezione lavoro, 18 febbraio 2000, n. 1891 e ad altre due decisioni conformi del Supremo Collegio che forniscono una interpretazione della disposizione censurata pacifica in causa secondo le parti e il giudice rimettente ma viziata d’incostituzionalità in rapporto all’art. 3 della Costituzione.
6. - In prossimità della camera di consiglio ha depositato una memoria anche l’INPS, nella quale si sottolinea anzitutto che non sarebbe conferente il richiamo operato dal rimettente alla sentenza di questa Corte n. 264 del 1994. La predetta sentenza (che conferma principi già fissati nelle precedenti decisioni n. 307 del 1989 e n. 428 del 1992) si riferisce a soggetti che avevano già acquisito il diritto alla pensione di vecchiaia, mentre nella fattispecie portata dinanzi al Tribunale di Genova l’interessato è stato collocato in pensione di anzianità contributiva con il calcolo della pensione a “quote” per la presenza di contribuzione versata in gestioni speciali diverse (artigiani e commercianti), indipendentemente dal versamento dei contributi volontari non determinanti per il diritto a pensione.
Il legislatore avrebbe inteso garantire con la norma censurata l’equilibrio finanziario delle singole gestioni, consentendo soltanto che la liquidazione della pensione avvenisse con imputazione delle rispettive quote alle singole gestioni assicurative, con una soluzione in seguito adottata anche con la disciplina introdotta con l’art. 71 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
Secondo l’INPS la norma censurata si inserisce nel sistema previdenziale rispettando i principi costituzionali che garantiscono un minimo di tutela dei lavoratori oltre il quale è consentito al legislatore di esercitare la propria discrezionalità nell’individuare la disciplina applicabile alle molteplici fattispecie presenti nell’ordinamento.
Considerato in diritto1. - Il Tribunale di Genova, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 16, comma 1, lettera a), della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), “nella parte in cui prevede che l’importo della pensione, per i lavoratori che vedono liquidata la medesima attraverso il cumulo dei contributi versati in due diverse gestioni speciali, entrambe relative a pregressa attività di lavoro autonomo, è costituito dalla somma delle quote di pensione calcolate sulla base dei periodi di iscrizione alle rispettive gestioni”. Si lamenta la violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto la disciplina censurata determinerebbe un inferiore e quindi irragionevole trattamento pensionistico, a parità di contribuzioni versate ed in presenza di attività entrambe di lavoro autonomo (artigianale e commerciale), rispetto a quello riconosciuto dalla normativa di settore al pensionato rimasto iscritto, ininterrottamente, nel corso della vita lavorativa, ad un’unica gestione speciale.
In particolare, assumendo l’art. 5 della legge n. 233 del 1990 quale termine di raffronto rispetto alla fattispecie sottoposta al giudizio, il rimettente rileva che la parametrazione della misura della pensione in favore dei soggetti rimasti iscritti alla sola gestione artigiani (o commercianti) al reddito d’impresa quale risulta dalla media dei redditi percepiti negli ultimi dieci anni coperti da contribuzione, ovvero in numero inferiore di anni, anteriori alla decorrenza della pensione, produce una rilevante disomogeneità dei due trattamenti previdenziali in comparazione, la quale non risulta giustificata in presenza di una contribuzione sostanzialmente uguale in entrambe le ipotesi normative e di un’attività comunque di lavoro autonomo.
2. - Va anzitutto respinta l’eccezione di inammissibilità avanzata dall’INPS, relativa al fatto che l’ordinanza di rimessione farebbe riferimento alla lettera b) del comma 1 dell’art. 16 della legge n. 233 del 1990, che disciplina l’ipotesi di periodi assicurativi versati nelle gestioni speciali e nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, non applicabile alla fattispecie esaminata dal giudice a quo. Il riferimento alla suddetta disposizione è contenuto solo nel testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ed è frutto di un mero errore materiale che non osta all’individuazione della norma censurata.
3. - Nel merito la questione non è fondata.
L’art. 16, comma 1, lettera a), della legge n. 233 del 1990 prevede che per i lavoratori che liquidano la pensione in una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi con il cumulo dei contributi versati nelle medesime gestioni, l’importo della pensione è determinato dalla somma “della quota di pensione calcolata, ai sensi degli articoli 5 e 8, sulla base dei periodi di iscrizione alle rispettive gestioni”. Il successivo comma 2 prevede che “gli oneri relativi alle quote di pensione di cui al comma 1 sono a carico delle rispettive gestioni assicurative”.
La Corte di cassazione ha avuto modo di precisare che il riferimento alla “quota” di pensione contenuto nella lettera a) dell’articolo 16 vada letto nel contesto dell’articolo e collegato all’altra espressione “rispettive gestioni”, per cui ciascuna parte del complessivo trattamento va determinata in relazione ai periodi di iscrizione alle singole gestioni (Corte di cassazione, n. 1891 del 18 febbraio 2000).
Gli accrediti contributivi riferiti alle diverse gestioni sono perciò considerati unitariamente non ai fini della misurazione della pensione ma per verificare il raggiungimento del requisito contributivo per il diritto a pensione e per ottenere, di conseguenza, la liquidazione di una pensione unica. Lo stesso meccanismo vale, sempre in base al predetto art. 16, per il cumulo di periodo assicurativo in gestione dei lavoratori dipendenti con periodo di gestione autonoma.
Questa Corte ha più volte affermato che il meccanismo della totalizzazione dei periodi contributivi versati in diverse gestioni previdenziali debba operare nel caso in cui l’assicurato non abbia maturato il diritto ad un trattamento pensionistico in alcuna delle gestioni alle quali è, o è stato iscritto (in particolare sentenze n. 198 del 2002 e n. 61 del 1999). Rientra invece nella discrezionalità del legislatore la scelta circa l’estensione del principio ai fini della misurazione della pensione (sentenza n. 198 del 2002).
Anche la questione ora all’esame della Corte può essere inquadrata nei predetti termini.
4. - Le censure del rimettente si appuntano sul sistema del pro-rata non in quanto tale ma in quanto applicato alle gestioni commercianti e artigiani che riguardano settori omogenei (attività di lavoro autonomo), richiedono contribuzioni, a parità di reddito, praticamente coincidenti, ed erogano prestazioni sostanzialmente equivalenti a parità di contribuzioni e periodi contributivi. Il suddetto sistema determina un trattamento pensionistico deteriore rispetto a quello del lavoratore che versi ininterrottamente contributi in un’unica gestione, in quanto, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 233 del 1990, la misura dei trattamenti pensionistici da liquidare con effetto 1° luglio 1990 è parametrata al reddito d’impresa quale risulta dalla media dei redditi percepiti negli ultimi dieci anni coperti da contribuzione o al minor numero di essi, anteriori alla decorrenza della pensione.
In sostanza, il rimettente pretenderebbe che i contributi versati nelle diverse gestioni fossero considerati come riferibili ad un’unica gestione ai fini della misurazione della pensione. Ma questa soluzione non può ritenersi costituzionalmente obbligata a fronte della scelta legislativa, non contestata dal rimettente, di prevedere diverse gestioni previdenziali per i settori di lavoro autonomo presi in considerazione e della garanzia costituita dalla considerazione unitaria dei periodi contributivi per il raggiungimento del diritto a pensione.
La diversità del trattamento conseguente all’applicazione del sistema del pro-rata rispetto a quello previsto per i lavoratori che versino ininterrottamente contributi in un’unica gestione si giustifica pertanto in ragione dell’esistenza di due diverse gestioni previdenziali per gli artigiani e per gli esercenti attività commerciali, rispondendo all’esigenza di preservarne gli equilibri finanziari, senza far ricadere su di esse un onere più gravoso di quello che si sarebbe realizzato in assenza di cumulo (Corte di cassazione, sentenze n. 3533 del 10 marzo 2001; n. 1891 del 18 febbraio 2000).
La disciplina censurata non può, per le considerazioni sopra esposte, considerarsi irragionevole, rientrando comunque nella discrezionalità del legislatore la eventuale scelta di introdurre un diverso criterio per il cumulo dei contributi ai fini della misurazione della pensione.
PER QUESTI MOTIVILA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera a), della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Genova, sezione lavoro, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 ottobre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2003.