ORDINANZA N.305
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 40 legge 25 giugno 1865, n. 2359, in combinato disposto con gli artt. 15 e 16 legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alla legge 17 agosto 1942, n. 1150; legge 18 aprile 1962 n. 167; legge 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come modificati dall’art. 14 legge 28 gennaio 1977, n. 10 promosso con ordinanza del 26 aprile 2002 dalla Corte d’appello di Torino nel procedimento civile vertente tra Fabio Frisa c/ Autostrada Serravalle Milano Ponte Chiasso S.p.A., iscritta al n. 303 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di costituzione di Fabio Frisa;
udito nell’udienza pubblica del 6 maggio 2003 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi gli avvocati Mario Marchiò e Luca Verrienti per Fabio Frisa.
Ritenuto che nel corso di causa civile iniziata da Fabio Frisa per la determinazione delle indennità di esproprio e di occupazione relativamente ad una porzione di terreno agricolo di sua proprietà, sottoposta a procedura ablatoria dalla Autostrada Serravalle Milano Ponte Chiasso s.p.a., per la realizzazione di uno svincolo autostradale, la Corte d’appello di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale relativamente al combinato disposto degli artt. 40 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 (Espropriazione per causa di utilità pubblica) e 15-16 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alla legge 17 agosto 1942, n. 1150; legge 18 aprile 1962 n. 167; legge 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), per violazione dell’art. 3 della Costituzione;
che la Corte d’appello ha rilevato:
che, avendo l’espropriazione interessato solo una parte del mappale n. 48 del locale catasto, l’indennità di esproprio va calcolata in base alla differenza fra il valore dell’intero prima dell’esproprio ed il valore della parte residua, con riferimento all’intera impresa agricola, prima e dopo l’esproprio, di cui il terreno faceva parte, e non, semplicemente, allo specifico mappale parzialmente espropriato;
che, secondo il diritto vivente, il criterio differenziale di cui all’art. 40 della legge 2359 del 1865 è applicabile anche ai terreni agricoli, e che, nel caso di specie, l’indennità va liquidata tenendo conto dell’incidenza dell’espropriazione sul valore dell’azienda agricola nel suo complesso, considerandosi, tra l’altro, i maggiori costi di conduzione determinati dallo smembramento dei terreni;
che l’indennità per l’esproprio parziale di un mappale appartenente ad un’azienda agricola si deve determinare attraverso la stima differenziale del valore dell’azienda, prima e dopo l’espropriazione;
che, diversamente, nell’ipotesi di esproprio che interessi un intero mappale, che pur partecipi funzionalmente ad una più vasta unità aziendale, l’indennità è liquidata in base al valore del suolo agricolo, commisurato al tipo di coltura cui è adibito, valore nel quale è conglobato non solo il pregio del terreno in sé considerato, ma anche il danno riflesso all’azienda nel suo complesso, ed eventualmente con ulteriore indennità a favore dell’affittuario, ovvero con la triplicazione dell’indennizzo ove il proprietario, coltivatore diretto del fondo, addivenga a cessione volontaria;
che, con riferimento alla causa in corso, il giudice rimettente ha osservato che il consulente tecnico ha stimato la differenza tra valore dell’azienda agricola prima e dopo l’esproprio in £. 99 milioni, da aggiungere ovviamente al valore della parte espropriata, cui l’attore pretende doversi cumulare la perdita dell’avviamento aziendale, riconducibile all’impossibilità tecnica di proseguire razionalmente la gestione del vivaio sulla ridotta superficie ancora disponibile e che, in via ipotetica, qualora l’espropriazione avesse interessato l’intero mappale, l’applicazione dell’art. 15 della legge n. 865 del 1971 avrebbe indotto ad una valutazione del compendio, secondo i dati forniti dal c.t.u., in £. 44,5 milioni;
che, secondo il giudice a quo, emerge da quanto detto che l’applicazione del diritto vivente può condurre all’anomalia di un esproprio parziale più oneroso di un esproprio totale riferito al medesimo mappale, con il risultato di dover compensare un detrimento minore in misura più elevata di un detrimento maggiore, essendo la scelta dell’espropriante, riguardo all’oggetto espropriando, vincolata alle caratteristiche tecniche dell’opera da realizzare e all’effettiva esistenza della pubblica utilità riferibile, a seconda dei casi, all’intero mappale o a una parte di esso; che l’irrazionalità del trattamento potrebbe essere evitata ove nel caso di esproprio parziale venisse posto al valore differenziale il limite massimo dell’indennizzo virtuale per il caso di esproprio totale, limite non altrimenti desumibile in via interpretativa dal sistema della legge;
che, in ordine alla rilevanza, la Corte d’appello assume che a seconda se si faccia applicazione del puro criterio del valore differenziale o dell’ipotizzato contemperamento con il limite massimo del valore espropriativo totale, si giunge a risultati diversi sotto il profilo del quantum da liquidare;
che sulla fattispecie non incide il d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), non applicabile alle espropriazioni già concluse;
che nel giudizio si è costituito Frisa Fabio che ha concluso per l’inammissibilità e comunque per l’infondatezza della proposta questione, motivando ampiamente su tali eccezioni con la memoria illustrativa depositata nell’imminenza della udienza.
Considerato che la Corte d’appello ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 40 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 (Espropriazioni per causa di utilità pubblica), e 15-16 legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alla legge 17 agosto 1942, n. 1150; legge 18 aprile 1962, n. 167; legge 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata) laddove non prevede che in caso di espropriazione parziale di terreno agricolo l’indennità differenziale riferita al complessivo pregiudizio subito dall’intera azienda agricola non possa mai eccedere quello che sarebbe l’importo dell’indennità dovuta in caso di esproprio totale del medesimo mappale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, per ingiustificata irrazionalità nella disciplina di situazioni uguali, o quanto meno raffrontabili;
che il giudice rimettente, con scarsa chiarezza ed incompletezza nell’esposizione della fattispecie, omette del tutto i passaggi del procedimento estimatorio – per il quale si limita a richiamare la c.t.u. – e non spiega, in definitiva, perché, adottando il sistema differenziale stima un valore di £. 99 milioni, e adottando invece la somma algebrica perviene ad un risultato (£. 44,5 milioni) inferiore alla metà;
che l’irrazionalità denunciata sembra connessa all’adozione, in sede applicativa, di particolari criteri valutativi concorrenti alla formulazione del giudizio sul fatto, di non diretta derivazione legale, per cui il dubbio di legittimità costituzionale attiene in realtà a pregiudizi e inconvenienti privi di rilievo costituzionale, e dunque a materia propria dell'osservazione dei giudici di merito;
che, anche a non volere ricondurre la problematica sollevata dalla Corte d’appello di Torino alla difficoltà applicativa di mero fatto, si deve comunque rilevare l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il giudice a quo, nel senso dell’obbligatorietà, discendente dal combinato disposto delle norme censurate, della stima differenziale dell’azienda, invece che della somma algebrica tra valore del fondo e perdite dell’azienda;
che una simile ordinanza è inidonea a dare valido ingresso al giudizio di legittimità costituzionale (ex plurimis: ordinanze nn. 50, 2, 1 del 2003
; nn. 388, 261 del 2002);
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt.26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 40 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 (Espropriazioni per causa di utilità pubblica), e 15-16 legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alla L. 17 agosto 1942, n. 1150; L. 18 aprile 1962, n. 167; L. 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come modificati dall’art. 14 legge 28 gennaio 1977, n. 10, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte di appello di Torino con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 settembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria l'1 ottobre 2003.