ORDINANZA N.2
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 5 e 6, del decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104 (Attuazione della delega conferita dall’art. 3, comma 27, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e di investimenti degli stessi in campo immobiliare), e dell’art. 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), convertito, con modificazioni, in legge 23 novembre 2001, n. 410, promosso con ordinanza del 25 ottobre 2001 dal Tribunale di Roma sezione distaccata di Ostia, nel procedimento civile vertente tra l’ENPAF - Ente nazionale di previdenza per i farmacisti e Conforti Manlio, iscritta al n. 77 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti gli atti di costituzione dell’ENPAF e di Conforti Manlio;
udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2002 il Giudice relatore Annibale Marini;
udito l’avvocato Simone Ciccotti per l’ENPAF.
Ritenuto che il Tribunale di Roma sezione distaccata di Ostia, nel corso di un procedimento di convalida di sfratto per finita locazione, con ordinanza emessa il 25 ottobre 2001, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 47, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 5 e 6, del decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104 (Attuazione della delega conferita dall’art. 3, comma 27, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e di investimenti degli stessi in campo immobiliare), e dell’art. 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), convertito, con modificazioni, dopo l’ordinanza di rimessione, in legge 23 novembre 2001, n. 410, "nella parte in cui non prevedono a favore del soggetto che abbia inteso, avendone il diritto, esercitare la prelazione, di permanere nell’immobile, prorogando la scadenza del contratto di locazione fino alla conclusione della procedura, e sempre che non intervengano inadempimenti del conduttore, nel caso in cui la procedura di vendita abbia tempi più lunghi rispetto alla scadenza del contratto in ordine alla quale [...] il locatore abbia formalizzato tempestiva disdetta";
che le norme impugnate - ad avviso del rimettente -contrasterebbero innanzitutto con il generale canone di ragionevolezza, in quanto lo sfratto del conduttore che abbia manifestato, ricorrendone i presupposti, la volontà di esercitare il diritto di prelazione si porrebbe obiettivamente in contrasto con la ratio legis, intesa a favorire, anche in ossequio al dettato costituzionale, l’acquisto della proprietà da parte del conduttore medesimo;
che la situazione del conduttore che abbia esercitato il diritto di prelazione sarebbe, inoltre, deteriore - con conseguente violazione del principio di eguaglianza - rispetto a quella del conduttore che non abbia esercitato tale diritto, in quanto in quest’ultimo caso l’ente proprietario sarebbe tenuto (art. 6, comma 6) a condizionare la vendita dell’immobile a terzi all’obbligo dell’acquirente al rinnovo del contratto alla prima scadenza;
che, in definitiva, la norma censurata si spiegherebbe solo con il fatto che il legislatore non avrebbe mai potuto immaginare che un ente pubblico avrebbe potuto agire con tale "eclatante scorrettezza contrattuale" da azionare lo sfratto per finita locazione nei confronti di un conduttore non moroso e titolare del diritto di prelazione;
che si è costituito in giudizio l’ENPAF - Ente nazionale di previdenza per i farmacisti, attore nel giudizio a quo, concludendo per l’inammissibilità o comunque per l’infondatezza della questione;
che preliminarmente la parte costituita osserva che, attraverso la questione di legittimità costituzionale, il rimettente intenderebbe in realtà censurare la condotta - asseritamente scorretta - di essa attrice, in tal modo utilizzando lo strumento del giudizio di costituzionalità per finalità ad esso estranee;
che, sotto altro aspetto, la questione sarebbe irrilevante, in quanto la lesione dei principi costituzionali prospettata dal rimettente non deriverebbe dalla sola esecuzione dello sfratto, ma dal completamento della procedura di dismissione del patrimonio immobiliare, i cui tempi non sarebbero regolati da alcuna disposizione legislativa;
che, ancora in via preliminare, l’ENPAF assume che, a seguito della trasformazione dell’ente in fondazione di diritto privato, esso non sarebbe più destinatario della disciplina dettata dal decreto legislativo n. 104 del 1996 né tanto meno di quella successiva, contenuta nel decreto-legge n. 351 del 2001, convertito nella legge n. 410 del 2001, cosicché sarebbe venuto meno qualsiasi suo obbligo di alienazione del patrimonio immobiliare;
che, in ogni caso, l’ordinanza sarebbe carente di motivazione riguardo ai denunciati vizi di legittimità costituzionale;
che, nel merito, la questione sarebbe infondata in quanto la pronuncia richiesta dal rimettente - in virtù della quale l’ente locatore non potrebbe più esercitare il diritto di recesso una volta che, attivata la procedura di alienazione del cespite, il conduttore avesse esercitato il diritto di prelazione - comporterebbe una inammissibile limitazione dei diritti del proprietario, garantiti dall’art. 42, secondo comma, della Costituzione.
Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale delle norme denunciate nella parte in cui non prevedono la proroga del contratto di locazione in favore del conduttore "che abbia inteso, avendone il diritto, esercitare la prelazione", in tal modo consentendo all’ente proprietario del bene di ottenere il rilascio dell’immobile per finita locazione;
che siffatto comportamento del locatore è, dallo stesso rimettente, qualificato in termini di "eclatante scorrettezza contrattuale";
che, proprio sulla base di tale qualificazione, appare evidente come - secondo il medesimo rimettente - la situazione giuridica vantata dal conduttore possa trovare tutela negli ordinari rimedi risarcitori predisposti dall’ordinamento per l’ipotesi di violazione del dovere di correttezza;
che, dunque, la pronuncia additiva invocata dal rimettente introdurrebbe una tutela diversa da quella risarcitoria già esistente e sicuramente rimessa alla discrezionalità del legislatore;
che, sotto altro aspetto, la descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo risulta comunque carente, non essendo chiaro se il locatore abbia effettivamente esercitato il diritto di prelazione ovvero se abbia solo manifestato, in forme non giuridicamente vincolanti, l’intenzione di esercitarlo;
che la questione va, pertanto, dichiarata in relazione ad entrambi i cennati profili manifestamente inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 5 e 6, del decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104 (Attuazione della delega conferita dall’art. 3, comma 27, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e di investimenti degli stessi in campo immobiliare), e dell’art. 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), convertito, con modificazioni, in legge 23 novembre 2001, n. 410, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 47, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Roma sezione distaccata di Ostia, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2003.