SENTENZA N. 300
ANNO 2003
Commenti alla decisione di
I. Enzo Balboni, Le
sentenze sulle fondazioni bancarie tra attese e sorprese: considerazioni sulla
dinamica delle fonti del diritto (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
II. Francesco Ciro Rampolla, La
Corte si esercita in difficili equilibrismi sulle fondazioni bancarie (per
gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
III. Daniela Bolognino, Fondazioni
di origine bancaria, soggetti del pluralismo a cui si tentò di tarpare le ali.
Nota alle sentenze n. 300 e 301 del 2003 della Corte Costituzionale
(per gentile concessione della Rivista elettronica Amministrazione in cammino)
IV. Matteo Cosulich, Fondazioni
di origine bancaria, soggetti del pluralismo a cui si tentò di tarpare le ali.
Nota alle sentenze n. 300 e 301 del 2003 della Corte Costituzionale
(per gentile concessione della Rivista elettronica Amministrazione in cammino)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori
Giudici:
-
Riccardo CHIEPPA, Presidente
-
Gustavo ZAGREBELSKY
-
Valerio ONIDA
-
Carlo MEZZANOTTE
-
Fernanda CONTRI
-
Guido NEPPI MODONA
-
Piero Alberto CAPOTOSTI
-
Annibale MARINI
-
Franco BILE
-
Giovanni Maria FLICK
-
Francesco AMIRANTE
-
Ugo DE SIERVO
-
Romano VACCARELLA
-
Paolo MADDALENA
-
Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli articoli 11; 17, comma 2; 19, commi 1 e 14; 22, commi 3 e
4; 24, commi 2, 3, 4, 9 e 13; 25, commi 1, 5 e 10; 27, comma 13; 28, commi 1,
5, 6, 8 e 11; 29; 30; 33; 35; 41; 52, commi 10, 14, 17, 20, 39 e 83; 54; 55;
59; 60, comma 1, lettera d); 64; 66;
67; 70 e 71 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 [Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2002)], promossi con ricorsi delle Regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna e
Umbria, notificati il 22 (primo e secondo ricorso), il 27 e il 26 febbraio
2002, depositati in cancelleria il 28 febbraio, il 1° e l’8 marzo (terzo e
quarto ricorso) 2002 e iscritti ai nn. 10, 12, 23 e
24 del registro ricorsi 2002.
Visti gli atti
di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 3 giugno 2003 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
uditi gli
avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche, Fabio Lorenzoni
per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per la
Regione Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon e
Maurizio Pedetta per la Regione Umbria e l’avvocato
dello Stato Massimo Mari per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1. – Con ricorso
notificato il 22 febbraio 2002, depositato il successivo 28 febbraio (reg.
ricorsi n. 10 del 2002), la Regione Marche, nell’impugnare numerose
disposizioni della legge 28 dicembre 2001, n. 448 [Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2002)], ha denunciato, tra l’altro, l’art. 11 di detta legge, in riferimento
all’art. 117, terzo e sesto comma, della Costituzione.
Premesse alcune considerazioni di assieme
sull’impugnazione proposta, la ricorrente osserva che l’art. 11, nel recare
modifiche ad alcune norme del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153
(Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all’articolo 11,
comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale
delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell’articolo 1 della
legge 23 dicembre 1998, n. 461), incide sulla disciplina delle fondazioni
«bancarie», in particolare indirizzandone l’attività verso determinati settori
(«ammessi» e «rilevanti»), dettando regole sulla composizione dell’organo di
indirizzo e sulle relative incompatibilità, disponendo circa le modalità di
gestione e la destinazione del patrimonio, introducendo un criterio sulla
definizione normativa della nozione di «controllo» di una società bancaria da
parte di una fondazione, disponendo altresì circa il c.d. periodo transitorio
in rapporto alle previste dismissioni delle partecipazioni di controllo in
questione, e circa i poteri di vigilanza.
Questo intervento del
legislatore statale, con disposizioni che la Regione ricorrente qualifica come
norme di dettaglio, cadrebbe in un ambito materiale, quello delle «casse di
risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale», che l’art.
117, terzo comma, della Costituzione assegna alla legislazione concorrente
delle Regioni, e ciò – precisa la Regione Marche – in quanto in detto ambito
dovrebbe ritenersi rientrare, ancor oggi, la disciplina delle fondazioni
bancarie, non essendo portato a definitivo compimento il processo di
progressiva trasformazione delle fondazioni medesime in persone giuridiche di
diritto privato, del tutto svincolate dalle aziende del settore bancario; una
considerazione, questa, desumibile anche dalla giurisprudenza costituzionale,
che ha confermato appunto la perdurante «attrazione» delle fondazioni
nell’orbita del settore del credito, non essendosi compiuto il periodo –
«transitorio» – di passaggio da una figura all’altra, per la perdurante sottoposizione delle fondazioni alla
vigilanza del Ministro del tesoro (ora, dell’economia e delle finanze), e per
il non definitivo compimento della procedura di trasformazione, con la
dismissione delle partecipazioni azionarie rilevanti delle fondazioni nelle
società bancarie conferitarie e con la modifica e approvazione dei nuovi
statuti degli enti-fondazioni (sentenze n. 341
e n. 342 del
2001 della Corte costituzionale, in linea con la precedente decisione n. 163 del 1995).
Non essendosi dunque verificate le condizioni della
trasformazione, la disciplina delle fondazioni in parola non può ricondursi
alla materia dell’«ordinamento civile», propria dello Stato, ma rientra in una
materia di legislazione concorrente, con la conseguenza che allo Stato è
affidata solo la determinazione dei principi fondamentali della materia.
Ma le norme censurate contengono disposizioni di
dettaglio e puntuali, rivolte omisso medio ai
destinatari della disciplina, senza lasciare alcuno spazio per il legislatore
regionale, e ciò delinea la violazione dell’invocato art. 117, terzo comma,
della Costituzione: violazione da reputare sussistente, aggiunge la Regione,
anche a voler ammettere in generale la possibilità per lo Stato di dettare
disposizioni immediatamente applicabili ma di carattere suppletivo e «cedevoli»
a fronte del futuro intervento del legislatore regionale, giacché nel caso
specifico le norme impugnate, per il loro tenore letterale, non si prestano
comunque a essere derogate o mutate dalle Regioni, sia pure nel quadro dei
principi posti dalla legge dello Stato.
Strettamente conseguente
alla suddetta censura è la denunciata violazione del sesto comma dell’art. 117
della Costituzione, dedotta in quanto l’art. 11 della legge n. 448 del 2001
riconosce (commi 1 e 14) all’Autorità di vigilanza – attualmente, al Ministro
competente – una potestà regolamentare in materia di legislazione concorrente,
potestà che pertanto, secondo il nuovo sesto comma dell’art. 117, non può
spettare che alla Regione; la censura, conclude la ricorrente, è direttamente
connessa alla precedente anche sul piano del contenuto, in quanto i poteri
regolamentari così previsti sono rivolti a modificare o integrare la stessa
disciplina primaria contestualmente introdotta (così nel comma 1, quanto ai
«settori ammessi»), o a dettare disposizioni attuative di essa: il che conferma
che il legislatore nazionale non ha ipotizzato alcuno spazio per l’esercizio di
potestà normative delle Regioni.
1.2. – Nel giudizio così
promosso si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite
l’Avvocatura generale dello Stato.
L’Avvocatura deduce
l’infondatezza del ricorso della regione Marche, secondo il duplice argomento
(a) della riconducibilità della disciplina alla materia di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera e), della
Costituzione («tutela del risparmio e mercati finanziari»), in quanto le
fondazioni siano ancora da ritenere assimilabili agli enti creditizi, come da
pronunce della Corte costituzionale menzionate dalla ricorrente, ovvero,
alternativamente, (b) del riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, in quanto le
fondazioni costituiscano «enti pubblici nazionali», secondo quella che è la
formula della disposizione costituzionale. In entrambi i casi, rileva
l’Avvocatura, si tratta di materia assegnata alla legislazione esclusiva dello
Stato, e ciò abilita quest’ultimo anche a stabilire la potestà regolamentare
nella medesima materia, a norma dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione.
2.1. – La Regione Toscana,
con ricorso notificato il 22 febbraio 2002, depositato il successivo 1 marzo
(reg. ricorsi n. 12 del 2002), ha impugnato anch’essa, tra altre norme della
legge finanziaria n. 448 del 2001, l’art. 11 di detta legge.
La ricorrente assume che la
normativa statale, da un lato, viola la competenza concorrente regionale quanto
alle «casse di risparmio», poiché le fondazioni «tuttora esercitano attività
creditizia e bancaria» (art. 117, terzo comma, della Costituzione), e,
dall’altro, lede anche l’art. 117, quarto comma, della Costituzione, perché i
settori «ammessi» nei quali le fondazioni devono operare rientrano, in larga
parte, in ambiti di competenza, concorrente o addirittura esclusiva, del
legislatore regionale; allo Stato è dunque precluso di organizzare modalità di
esercizio di funzioni che sono suscettibili di disciplina soltanto da parte
delle Regioni.
Inoltre, la disposizione
sarebbe lesiva dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, perché in essa
si prevede un potere regolamentare – per l’attuazione della normativa primaria
e per la modifica dei settori «ammessi» – affidato all’Autorità di vigilanza
(transitoriamente, al Ministro dell’economia e delle finanze, secondo l’art. 1
del d.lgs. n. 153 del 1999), laddove, secondo la Costituzione, la potestà
regolamentare è attribuita alle Regioni, ogni volta che si tratti di materie
non ricadenti nella competenza esclusiva dello Stato.
2.2. – Si è costituito nel relativo giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, contestando le conclusioni della ricorrente, anche in questo caso
secondo una duplice prospettazione: (a) le disposizioni hanno la funzione di
tutelare il risparmio e si fondano dunque sull’art. 117, secondo comma, lettera
e), della Costituzione, ovvero (b)
anche a voler ascrivere la disciplina a un settore – quello delle casse di
risparmio – di legislazione concorrente, il contenuto delle norme impugnate ha
comunque il connotato di disposizioni che determinano i principi fondamentali
della materia, legittimamente posti da norme statali.
Tali rilievi, prosegue
l’Avvocatura, valgono altresì per quanto concerne i «settori ammessi», cioè per
i diversi campi di intervento nei quali è dato alle fondazioni di svolgere la
loro attività, che in ogni caso non potrebbero dirsi rientrare in via
prevalente in ambiti propri della normazione regionale: ne sono certamente
estranei, sottolinea il resistente, gli ambiti della pubblica istruzione in
generale, la prevenzione della criminalità, la sicurezza pubblica, la tutela
dei beni culturali. E analoga osservazione è dedotta circa la previsione in
tema di composizione dell’organo di indirizzo delle fondazioni, con la quale
sono stati posti principi generali finalizzati a evitare prassi distorsive
nella gestione delle fondazioni, mentre le esigenze delle Regioni e degli enti
locali possono ricevere sufficiente garanzia nella previsione della presenza,
in detti organi, di «una qualificata rappresentanza degli enti diversi dallo
Stato, di cui all’art. 114 della Costituzione, idonea a rifletterne le
competenze nei settori ammessi in base agli articoli 117 e 118 della
Costituzione», secondo il testo dell’art. 11, comma 4, della legge n. 448 del
2001 [sostitutivo dell’art. 4, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 153 del 1999].
Quanto al potere
regolamentare, l’Avvocatura rileva che esso non ha portata generale, ma è
circoscritto all’attuazione dell’art. 11 in questione, anche al fine del coordinamento
con le restanti disposizioni del d.lgs. n. 153 del 1999, ed è dunque limitato
alla materia riservata alla legislazione dello Stato.
3.1. – La Regione
Emilia-Romagna ha impugnato l’art. 11 della legge finanziaria per il 2002, n.
448 del 2001, sotto molteplici profili, con ricorso notificato il 27 febbraio
2002, depositato il successivo 8 marzo (reg. ricorsi n. 23 del 2002).
Premesse alcune notazioni di
ordine generale sul «senso» complessivo della legge citata, contraddittorio
rispetto alla portata innovativa del riformato Titolo V della Parte seconda
della Costituzione, e sull’estraneità di molte delle disposizioni al contenuto
che (secondo la previsione dell’art. 11 della legge n. 468 del 1978) dovrebbe
essere proprio di una legge «finanziaria», la ricorrente censura specificamente
l’art. 11 della legge n. 448, in tema di fondazioni bancarie.
Il presupposto della questione sollevata è che,
nonostante sia stabilito che le fondazioni bancarie assumano personalità
giuridica di diritto privato, la legislazione sinora emanata dallo Stato non le
ha mai considerate propriamente tali, essendo intervenuta variamente – da
ultimo appunto con la disciplina in questione – sia sul piano
dell’organizzazione sia sul piano dell’attività di tali enti, ciò che evidentemente
non sarebbe stato possibile se le fondazioni fossero soggetti dotati di piena
autonomia privata. La personalità privatistica delle fondazioni sarebbe quindi
piuttosto la determinazione di un regime giuridico degli atti da esse posto in
essere che non espressione dell’effettiva qualità dei soggetti, sottoposti a
penetranti discipline pubbliche: e ciò, sottolinea la Regione, porterebbe a
escludere in radice che la disciplina in questione possa essere ricondotta alla
materia dell’«ordinamento civile».
La legislazione vigente –
prosegue la Regione – si fonda invece in larga parte sull’idea di assimilazione
delle fondazioni agli enti creditizi, assimilazione del resto già posta in luce
dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 341 del
2001 e n. 163
del 1995), che ha anche chiarito come, una volta cessato il collegamento
tra le une e gli altri, le fondazioni apparirebbero come strutture operanti
istituzionalmente in settori di utilità sociale, in massima parte ricadenti
nelle competenze legislative regionali.
Sotto questo profilo, la
Regione Emilia-Romagna assume che sia la intervenuta modifica della
Costituzione (con la attribuzione alle Regioni ordinarie di potestà legislativa
concorrente in una materia, quella delle «casse di risparmio, casse rurali,
aziende di credito a carattere regionale», che è testualmente ripresa da
analoga norma dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), sia la nuova
disciplina dei settori di intervento delle fondazioni, portano ad anticipare al
momento attuale il problema del coordinamento tra la normativa sulle fondazioni
e quella delle persone giuridiche private senza scopo di lucro, in rapporto
alle competenze assegnate alle Regioni e alle Province autonome, proprio
secondo quanto prefigurato nella sentenza n. 341
citata.
Le fondazioni, secondo
questa prospettiva, vengono in considerazione sotto due differenti profili:
soggettivamente, quali enti ancora in parte assimilati agli enti creditizi e in
parte svolgenti compiti di pubblica utilità in determinati settori;
obiettivamente, per l’attività in concreto posta in essere, secondo la materia
nella quale la medesima attività ricade di volta in volta.
Per il primo aspetto, in
quanto enti ancora in parte attratti nell’orbita degli enti creditizi, le
fondazioni rientrano nella competenza legislativa concorrente, secondo l’art.
117, terzo comma, della Costituzione; per il secondo aspetto, esse implicano le
competenze delle Regioni ordinarie, in quanto vi ricadano le attività svolte.
Ciò posto, e ricordata
l’elencazione dei «settori ammessi» quale contenuta nell’art. 1 del d.lgs. n.
153 del 1999, come modificato dall’impugnato art. 11, comma 1, della legge n.
448 del 2001, la ricorrente rileva che la prevista attribuzione della potestà
regolamentare all’Autorità di vigilanza, sia per la modifica dei settori
ammessi sia per l’attuazione della legge, contrasta con la Costituzione, che
(art. 117, sesto comma) stabilisce che detta potestà spetta allo Stato nelle
(sole) materie di legislazione esclusiva, mentre spetta alle Regioni in ogni
altra materia. Anzi, le norme appaiono incostituzionali proprio in quanto,
preliminarmente, non riconoscono alle Regioni il ruolo di soggetti di
vigilanza, per gli enti che ricadono sotto la loro competenza: un simile
riconoscimento, si osserva, riporterebbe ad armonia il sistema, riunificando i poteri
normativi in capo al soggetto che ne è costituzionalmente intestatario.
Quanto alle restanti disposizioni dell’art. 11, la
Regione ne sostiene l’incostituzionalità, in quanto «non riconoscono la
competenza concorrente della regione sia in relazione agli enti di credito di
cui all’art. 117, comma terzo, sia in relazione alle materie di attività», e in
quanto «non prevedono che in tali ambiti le disposizioni statali vincolino le
regioni soltanto quanto ai principi fondamentali».
3.2. – Si è costituito in
questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per il rigetto del
ricorso secondo argomentazioni testualmente coincidenti con quelle formulate
nell’atto di costituzione nel giudizio introdotto con il sopra citato ricorso
della Regione Toscana (reg. ricorsi n. 12 del 2002).
4.1. – La Regione Umbria,
con ricorso notificato il 26 febbraio 2002, depositato il successivo 8 marzo
(reg. ricorsi n. 24 del 2002), ha impugnato, tra l’altro, l’art. 11 della legge
n. 448 del 2001, con deduzioni e conclusioni testualmente coincidenti con
quelle contenute nel ricorso della Regione Emilia-Romagna (assistita dal
medesimo difensore).
4.2. – Nel relativo giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha concluso per il rigetto del ricorso,
svolgendo rilievi coincidenti con quelli
dell’atto di costituzione nei giudizi introdotti con i ricorsi delle Regioni
Toscana ed Emilia-Romagna (reg. ricorsi n. 12 del 2002 e n. 23 del 2002).
5.1. – In prossimità
dell’udienza, le ricorrenti Regioni Marche, Emilia-Romagna e Umbria hanno
depositato memorie a sostegno delle richieste declaratorie di incostituzionalità.
5.2. – La Regione Marche,
ricordati i contenuti delle disposizioni dell’art. 11 della legge n. 448 del
2001 impugnato, ne ribadisce l’incostituzionalità, per esserne oggetto enti che
debbono tuttora considerarsi rientranti nell’ambito della materia delle «casse
di risparmio» assegnata in via concorrente alle Regioni dal nuovo art. 117,
terzo comma, della Costituzione, «fermi restando i dubbi di costituzionalità
[…] sullo stesso obbligo di dismissione delle partecipazioni di controllo, come
previsto dall’originario art. 25 del d.lgs. n. 153 del 1999». Con il supporto
di dottrina, poi, nella memoria si ribadisce che le fondazioni mantengono il
loro collegamento genetico e funzionale con le società bancarie, giacché la
loro separazione formale rispetto all’esercizio di impresa bancaria attraverso
lo scorporo della relativa azienda non toglie che la fondazione «mantenga ancor
oggi la natura di ente creditizio»; ciò, si sottolinea, è conforme alle pronunce n. 341
e n. 342 del
2001 della Corte, che a loro volta confermano l’analogo enunciato della sentenza n. 163 del
1995, circa la persistenza in corso del processo che condurrà alla
riconduzione delle fondazioni nel settore privato pleno iure. Questa «transitorietà», del resto, appare confermata dallo
stesso art. 5 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito dalla legge
15 giugno 2002, n. 112, che – con norma di interpretazione autentica tra
l’altro a sua volta di dubbia costituzionalità, poiché, più che chiarire la
portata della normativa sulle fondazioni oggetto di interpretazione, ne integra
i contenuti – comunque afferma che le fondazioni sono caratterizzate da un
regime privatistico del tutto singolare, retto essenzialmente dal criterio per
cui le norme comuni del codice civile si applicano solo in via residuale e in
quanto compatibili; e ciò, si afferma, è in linea con l’impostazione della
legge finanziaria per il 2002, la quale, pur mantenendo la qualificazione
privatistica delle fondazioni, ne ha però «ripubblicizzato»
la complessiva disciplina, riconducendo le fondazioni in discorso a una natura
perfino strumentale e di supplenza rispetto all’agire del potere pubblico. Con
la conseguenza che l’ordinamento di detti enti, in quanto organismi pubblici,
attiene, una volta che essi abbiano carattere non nazionale ma regionale, alla
competenza legislativa di essa ricorrente.
Pertanto, se la disciplina
delle fondazioni non può essere ricompresa nella materia dell’«ordinamento
civile», ma attiene alla materia «casse di risparmio», essendo in definitiva le
fondazioni ancor oggi qualificabili come «enti creditizi», la normativa
impugnata, che reca norme di dettaglio e non principi e che prevede inoltre un
ambito delimitato di attività delle fondazioni (i «settori ammessi»), risulta
in contrasto con l’art. 117 della Costituzione.
Corollario dell’impostazione
sopra detta sarebbe poi la necessaria attribuzione della potestà di
disciplinare le attività svolte dagli enti in questione in capo alle Regioni,
queste – non lo Stato – essendo abilitate a regolare i settori di intervento
delle fondazioni; settori i quali sono a loro volta strettamente connessi e
talvolta in pratica coincidono con il catalogo costituzionale delle competenze
regionali. Con l’ulteriore conseguenza che anche i poteri di vigilanza
dovrebbero essere assegnati alle competenti Regioni, secondo un disegno
complessivo che porterebbe le fondazioni a svolgere un ruolo di «servizi alla
persona» proprio delle amministrazioni locali, in una sorta di loro
finalizzazione pubblicistica.
Nella memoria si insiste poi
sul fatto che la normativa impugnata non potrebbe essere reputata indenne da
censure neppure a volere impostare la soluzione sul piano della loro
«cedevolezza», non essendo lasciato alcuno spazio al legislatore regionale che
volesse apportare modifiche o deroghe al sistema che esse definiscono.
Infine, la difesa della
ricorrente insiste sulla violazione dell’art. 117, sesto comma, della
Costituzione, poiché i poteri regolamentari che la normativa affida ad autorità
ministeriali potrebbero dirsi validamente sorretti solo se la materia rientrasse
tra quelle attribuite allo Stato in via esclusiva, il che – secondo quanto
sopra detto – non può essere affermato.
5.3. – La Regione Emilia-Romagna, nel contestare le argomentazioni del
Presidente del Consiglio dei ministri, premette una serie di considerazioni più
generali, legate alla contemporanea pendenza di questioni di costituzionalità
in via incidentale sollevate, sulla medesima disciplina, dal TAR del Lazio,
sulla base però di premesse antitetiche a quelle che la Regione fa valere con
il ricorso in esame. Secondo il giudice amministrativo, infatti, il
riconoscimento alle fondazioni di una «piena autonomia statutaria e gestionale»
(art. 2 del d.lgs. n. 153 del 1999) assumerebbe il carattere di un
principio-guida, alla cui stregua valutare la normativa di dettaglio, la quale,
in questa ottica, avrebbe «tradito» il carattere delle fondazioni. Ma così
argomentando, rileva la Regione, si assume impropriamente una norma di legge
ordinaria, cioè l’art. 2 del d.lgs. n. 153, a parametro interposto ai fini del
sindacato di costituzionalità, il quale invece deve essere esercitato solo
tenendo presenti le norme costituzionali, non leggi ordinarie (come anche il
decreto-legge n. 63 del 2002 che parla di un regime «privatistico», ancorché
speciale). Il legislatore non ha tratto dal nulla gli enti-fondazioni come
persone giuridiche private: esso ha solo nuovamente disciplinato gli «enti
pubblici conferenti», i quali a loro volta discendevano da una serie di
operazioni di trasformazione degli enti pubblici creditizi presi in
considerazione dalla riforma del 1990: le fondazioni, dunque, non sono entità
create dalla legge utilizzando patrimoni privati, ma sono il portato di scelte
legislative di modificazione del regime giuridico di preesistenti enti
pubblici, il che rende pienamente legittimo che la legge regoli i fini,
l’organizzazione e l’utilizzazione del patrimonio di queste strutture, appunto
per la loro derivazione da enti di natura pubblicistica. Ciò – si aggiunge – è
coerente con una visione sostanziale del problema, come del resto su una
valutazione di sostanza si fondano, da un lato, la giurisprudenza
costituzionale – così, nella questione della natura delle IPAB (sentenza n. 396 del
1988) – e, dall’altro, la normativa comunitaria – nella definizione di
«organismo di diritto pubblico» ai fini della disciplina degli appalti pubblici
–.
La ricorrente sostiene dunque (a) che le fondazioni non costituiscono
veri soggetti di autonomia privata a pieno titolo, (b) che il giudizio rimesso
alla Corte deve svolgersi non già secondo il riparto di competenze vigente al
tempo dell’emanazione del testo originario del d.lgs. n. 153, bensì secondo il
quadro costituzionale delineato dal nuovo Titolo V, vigente al tempo della
legge oggetto della odierna questione, e (c) che non potrebbe ammettersi un
intervento normativo come quello censurato neppure attraverso la
giustificazione della «cedevolezza», mancando comunque il titolo
dell’intervento statale in materia.
Su queste premesse, la Regione Emilia-Romagna passa a contraddire le
singole argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato: 1) quanto al preteso
fondamento costituzionale della disciplina nella funzione di «tutela del
risparmio» in generale (art. 117, secondo comma), la Regione osserva che
nessuna delle disposizioni impugnate concerne questo obiettivo; 2) quanto alla
asserita connotazione di normativa di principio, la Regione richiama la
giurisprudenza costituzionale circa il perdurante periodo «transitorio» (sentenza n. 341 del
2001), che equivale ad assimilare tuttora, e fino al completamento del
processo di dismissione delle partecipazioni azionarie nelle banche
«conferitarie», le fondazioni a enti creditizi, precisamente alle preesistenti
casse di risparmio dalle quali esse hanno tratto origine: con la conseguenza
perciò che nella materia omonima ex art.
117, terzo comma, della Costituzione rientrano necessariamente, oltre alle
«aziende di credito a carattere regionale» ivi testualmente menzionate, altresì
le corrispondenti fondazioni bancarie, e che lo Stato è abilitato a porre
esclusivamente disposizioni di principio, mentre le norme impugnate rivestono
evidentemente carattere di estremo dettaglio e regolano l’intera materia senza
lasciare alcun margine per diverse determinazioni da parte delle Regioni; 3)
quanto all’argomento che le esigenze delle Regioni sarebbero comunque garantite
dalla previsione, nell’organo di
indirizzo delle fondazioni, di una «prevalente e qualificata
rappresentanza degli enti, diversi dallo Stato, di cui all’art. 114 della
Costituzione», secondo il disposto dell’art. 11, comma 4, della legge n. 448
impugnata, la ricorrente sottolinea che qui non è in gioco il grado di
«soddisfazione» che alle Regioni può derivare da un rappresentanza nell’organo
di indirizzo, ma il rispetto del riparto costituzionale delle competenze
legislative, che comprendono anche la disciplina della composizione degli enti
in questione; non senza ribadire che le attività alle quali per legge le
fondazioni sono deputate rientrano in larghissima misura nelle competenze, di
natura concorrente ovvero residuale, delle Regioni stesse, cosicché l’argomento
dell’Avvocatura circa l’attribuzione allo Stato di alcuni settori materiali di
attività delle fondazioni, ad esempio l’istruzione, se per un verso non è
pertinente, per un altro non muta comunque le conclusioni raggiunte circa il
collegamento tra campo d’azione degli enti e competenze regionali, collegamento
che era stato del resto già prefigurato nella citata sentenza n. 341 del
2001; 4) quanto al potere regolamentare assegnato all’Autorità di
vigilanza, esso lede direttamente il disposto del sesto comma dell’invocato
art. 117 della Costituzione, che in tanto lo ammetterebbe in quanto fosse
ravvisabile un ambito di legislazione statale esclusiva, il che non è
sostenibile; 5) quanto infine al potere di vigilanza, dopo l’attribuzione alle
Regioni della competenza concorrente su «casse di risparmio [e] aziende di
credito a carattere regionale», nel perdurante periodo transitorio, in cui le
fondazioni sono attratte nell’ambito del settore creditizio, i compiti di
vigilanza avrebbero dovuto essere corrispondentemente attribuiti alle Regioni,
in rapporto di naturale consecuzione con la spettanza della potestà
regolamentare, che si collega al potere di «allocare le funzioni
amministrative, alle quali si collega naturaliter la potestà regolamentare».
5.4. – La Regione Umbria, infine, ha depositato anch’essa una memoria, di
contenuto identico a quello dell’atto della Regione Emilia-Romagna, data la
comune rappresentanza e difesa in giudizio.
Considerato in
diritto
1.
– Le regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna e Umbria, nell’impugnare numerose disposizioni della legge 28 dicembre
2001, n. 448 [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2002)], contestano tra l’altro l’art. 11 di tale
legge (Modifiche al decreto legislativo
17 maggio 1999, n. 153, in materia di fondazioni). Per ragioni di
omogeneità di materia, la trattazione della questione di costituzionalità
indicata viene separata da quella delle altre, sollevate con i medesimi ricorsi,
oggetto di distinte decisioni.
2. – L’articolo
di legge in questione incide su numerosi aspetti della disciplina delle
fondazioni di origine bancaria, in particolare in tema di: campi materiali di
intervento (i settori «ammessi» e «rilevanti»); regole di composizione
dell’organo di indirizzo; cause di incompatibilità; modalità di gestione e
destinazione del patrimonio; definizione della nozione di «controllo» di una
società bancaria da parte di una fondazione; «periodo transitorio», in
relazione alle prescritte dismissioni delle partecipazioni di controllo in
società bancarie; poteri di vigilanza; adeguamento degli statuti alle nuove
disposizioni legislative e ricostituzione degli organi delle fondazioni
conseguenti alle modifiche statutarie.
Con argomenti
sostanzialmente analoghi, tutte le Regioni ricorrenti sostengono che le
disposizioni della legge statale impugnata intervengono con norme di dettaglio
in una materia – quella delle «casse di risparmio, casse rurali, aziende di
credito a carattere regionale» – che l’art. 117, terzo comma, della
Costituzione assegna alla legislazione concorrente regionale. La competenza
legislativa regionale in materia di fondazioni di origine bancaria, ad avviso
delle ricorrenti, discenderebbe altresì dalla circostanza che tali fondazioni
sono chiamate dalla legge a operare in settori materiali affidati
costituzionalmente alla cura della legislazione regionale (concorrente, o, per
la sola Regione Toscana, esclusiva, secondo l’art. 117, quarto comma, della
Costituzione).
Una particolare
censura è poi rivolta ai commi 1 e 14 del denunciato art. 11, i quali
riconoscono all’Autorità di vigilanza – attualmente il Ministro dell’economia e
delle finanze – una potestà regolamentare che, operando, in ipotesi, in materia
di legislazione regionale, violerebbe la riserva di potestà regolamentare
disposta dall’art. 117, sesto comma, della Costituzione a favore delle Regioni
in tutte le materie non di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
3. – Data la
loro sostanziale identità, i quattro ricorsi, per la parte attinente all’art.
11 della legge n. 448 del 2001, possono riunirsi per essere trattati
congiuntamente e decisi con unica sentenza.
4. – I ricorsi
in esame non sono fondati.
5. – Tutte le
censure si basano sul presupposto che le fondazioni di origine bancaria siano
tuttora soggetti caratterizzati dall’appartenenza all’organizzazione del
credito e del risparmio. Tale presupposto non è oggi più sostenibile, tenuto
conto degli sviluppi della legislazione in materia a partire dal 1990.
La
legge 30 luglio 1990, n. 218 (Disposizioni in materia di ristrutturazione e
integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico), e il
successivo decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356 (Disposizioni per la
ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio), hanno dato avvio a
una profonda trasformazione e riorganizzazione del settore bancario, anche
attraverso la trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni.
Nelle sue linee generali, il procedimento giuridico previsto si è basato (a)
sul cosiddetto «scorporo» della azienda bancaria dagli originari enti
creditizi; (b) sulla scissione di questi ultimi in due soggetti: gli «enti
conferenti» e le «società per azioni conferitarie» e (c) sul «conferimento»
dell’azienda bancaria alla società per azioni conferitaria da parte dell’ente
conferente. A quest’ultimo, una volta operato il conferimento, era affidata (1)
la gestione del pacchetto azionario, da esso detenuto nella società
conferitaria, oltre (2) all’azione – tradizionale per le Casse di risparmio –
nel campo della promozione dello sviluppo sociale, culturale ed economico.
Questa
procedura, che ha attivato una fase di trasformazione degli enti pubblici
creditizi condotta essenzialmente dall’interno di essi, senza intromissioni nel
capitale prima degli enti bancari e poi delle società bancarie, ha comportato,
in un primo momento, uno stretto legame sostanziale tra «soggetti conferenti» e
«soggetti conferitari», pur distinti giuridicamente. Sebbene gli enti
conferenti dovessero – soprattutto per la caratterizzazione ricevuta con l’art.
12 del decreto legislativo n. 356 del 1990 – concentrare le proprie risorse nel
perseguimento dei fini di interesse pubblico e utilità sociale stabiliti nei
loro statuti, e non potessero esercitare direttamente l’impresa bancaria, essi
erano principalmente i titolari del capitale della società per azioni
conferitaria, potendo mantenere la partecipazione di controllo, in vista
peraltro delle operazioni di ristrutturazione del capitale e di dismissione di
partecipazioni, attraverso le procedure degli articoli 1-7 del decreto
legislativo. Era prevista, sia pure transitoriamente, una «continuità
operativa» tra i due soggetti [art. 12, comma 1, lettera c)], assicurata dalla previsione nello statuto dell’ente conferente
della nomina di membri del suo comitato di gestione (o equivalente) nel
consiglio di amministrazione della società conferitaria e di componenti
l’organo di controllo nel collegio sindacale della società stessa. Agli enti
conferenti, aventi capacità di diritto pubblico e di diritto privato, si
continuavano ad applicare le disposizioni di legge relative alle procedure di
nomina degli organi amministrativi e di controllo (in particolare, la nomina
governativa del presidente e del vicepresidente). Su tali enti veniva mantenuta
la preesistente vigilanza del Ministro del tesoro, prevista per gli enti
pubblici creditizi. Al Ministro, inoltre, dovevano essere sottoposte, per
l’approvazione, le modifiche degli statuti. Riassuntivamente e coerentemente,
il Titolo III del decreto legislativo n. 356 poteva essere intestato agli «enti
pubblici conferenti» che, come questa Corte ha riconosciuto con la sentenza n. 163 del
1995, potevano considerarsi quali elementi costitutivi del sistema
creditizio allora esistente.
Al processo di
separazione fu dato impulso con norme dettate e prescrizioni impartite nel 1994,
volte a promuovere le procedure di dismissione di partecipazioni degli enti
pubblici conferenti nelle società per azioni conferitarie: il decreto-legge 31
maggio 1994, n. 332 (Norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione
di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni),
convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, e la direttiva
del Ministro del Tesoro del 18 novembre 1994 (Criteri e procedure per le
dismissioni delle partecipazioni deliberate dagli enti conferenti di cui
all’art. 11 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, nonché per la
diversificazione del rischio degli investimenti effettuati dagli stessi enti).
Quest’ultimo provvedimento in particolare, adottato nell’ambito del potere di
vigilanza governativa sugli enti conferenti, mirava al duplice e connesso scopo
di concentrarne l’attività nel perseguimento delle finalità a essi assegnate
nei settori di intervento di interesse e utilità sociale e, correlativamente,
restando esclusa la gestione della società conferitaria, di ridurre
progressivamente la partecipazione detenuta in quest’ultima, tramite
dismissioni destinate a ridurne la consistenza a non più del cinquanta per
cento del proprio patrimonio, nei cinque anni successivi.
Con la legge di
delega 23 dicembre 1998, n. 461 (Delega al Governo per il riordino della
disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti, di cui all’articolo 11,
comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e della disciplina
fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria), e il conseguente
decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 (Disciplina civilistica e fiscale
degli enti conferenti di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo
20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di
ristrutturazione bancaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 dicembre
1998, n. 461), la trasformazione della natura giuridica degli originari enti
conferenti può dirsi normativamente realizzata. Essi – quali enti pubblici
gestori della partecipazione al capitale delle società conferitarie – cessano
di esistere come tali, dal momento dell’approvazione, entro centoottanta giorni
dall’entrata in vigore del d. lgs. n. 153 [art. 2,
comma 1, lettera l), della legge n.
461], delle modifiche statutarie rese necessarie per l’adeguamento alle nuove
disposizioni e vengono trasformati in «fondazioni», «persone giuridiche private
senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale» che
«perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello
sviluppo economico secondo quanto previsto dai rispettivi statuti» (art. 2 del
d. lgs. n. 153 del 1999). Il patrimonio delle
fondazioni è espressamente vincolato agli scopi statutari (art. 5, comma 1,
dello stesso decreto).
A tali soggetti,
costituiti in fondazioni disciplinate da norme specifiche, è espressamente
precluso l’esercizio di funzioni creditizie ed è altresì esclusa qualsiasi
forma di finanziamento, di erogazione o di sovvenzione, diretti o indiretti, a
enti con fini di lucro o in favore di imprese di qualsiasi natura, con
l’eccezione delle imprese strumentali ai propri fini statutari (oltre che delle
cooperative sociali di cui alla legge n. 381 del 1991) (art. 3, comma 2). Salvo
quindi che in enti e società che abbiano per oggetto esclusivo l’esercizio di
imprese strumentali, in tutte le altre ipotesi, comprendenti dunque anche le
società bancarie conferitarie, sono vietate le partecipazioni di controllo
(art. 6, comma 1). Pertanto, le fondazioni, a partire dall’entrata in vigore
del decreto legislativo n. 153, non possono acquisire nuove partecipazioni di
controllo in società diverse da quelle anzidette, né conservarle, ove già
detenute nelle società stesse (art. 6, comma 4). Quanto alla detenzione delle
partecipazioni di controllo nelle società bancarie conferitarie, l’art. 25, con
norma transitoria stabilita «ai fini della loro dismissione», prevedeva
peraltro un periodo di tolleranza di quattro anni dalla entrata in vigore del
decreto legislativo. Ove il quadriennio fosse decorso inutilmente, il
menzionato art. 25 disponeva che le dismissioni, comunque obbligatorie,
potessero avvenire in un ulteriore periodo di non oltre due anni, con la
perdita, tuttavia, delle agevolazioni fiscali, secondo quanto previsto
dall’art. 12, comma 3.
Alla suddetta
trasformazione giuridica della natura dell’ente, alla destinazione delle sue
attività a scopi esclusivi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo
economico, con la totale separazione funzionale dall’attività creditizia, e al
divieto di partecipazioni di controllo nel capitale di società esercenti
l’attività bancaria, si accompagna infine un rigoroso regime di incompatibilità
tra cariche, rispettivamente, nella fondazione e nella società bancaria
conferitaria [art. 4, comma 1, lettera g),
e comma 3].
6.1. – Il quadro
normativo testé delineato mostra con evidenza che le fondazioni sorte dalla
trasformazione degli originari enti pubblici conferenti (solo impropriamente
indicate, nel linguaggio comune e non in quello del legislatore, con
l’espressione «fondazioni bancarie»), secondo la legislazione vigente, non sono
più – a differenza degli originari «enti pubblici conferenti» – elementi
costitutivi dell’ordinamento del credito e del risparmio, al quale è riconducibile
la competenza legislativa che l’art. 117, terzo comma, della Costituzione
riconosce alle Regioni in materia di «casse di risparmio, casse rurali, aziende
di credito a carattere regionale». L’evoluzione legislativa ha spezzato quel
«vincolo genetico e funzionale», di cui parlano le sentenze n. 341
e n. 342 del
2001 di questa Corte, vincolo che in origine legava l’ente pubblico
conferente e la società bancaria, e ha trasformato la natura giuridica del
primo in quella di persona giuridica privata senza fine di lucro (art. 2, comma
1, del d. lgs. n. 153) della cui natura il controllo
della società bancaria, o anche solo la partecipazione al suo capitale, non è
più elemento caratterizzante. Con questa trasformazione, muta la collocazione
nel riparto materiale delle competenze legislative tracciato dall’art. 117
della Costituzione. Né le disposizioni legislative impugnate, che pure
modificano per aspetti rilevanti il decreto legislativo n. 153 del 1999, sono
tali da ricondurre le fondazioni all’ordinamento al quale appartenevano gli
enti pubblici conferenti.
Tanto basta per
escludere la fondatezza della pretesa delle quattro Regioni ricorrenti, di
vedere annullate le impugnate disposizioni della legge dello Stato in materia
di fondazioni di origine bancaria, in conseguenza della competenza legislativa
concorrente loro riconosciuta relativamente alle «casse di risparmio, casse
rurali, aziende di credito a carattere regionale». L’art. 11 della legge n. 448
del 2001 opera infatti non in questa materia ma in quella dell’«ordinamento
civile», comprendente la disciplina delle persone giuridiche di diritto privato
che l’art. 117, secondo comma, della Costituzione assegna alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato.
6.2. – Da questa
considerazione discende altresì l’infondatezza della censura mossa
specificamente ai commi 1 e 14 del denunciato art. 11, nella parte in cui
riconoscono potestà regolamentare all’Autorità di vigilanza. Una volta
ricondotta la disciplina in esame a una materia compresa nel secondo comma
dell’art. 117, cade la possibilità per le Regioni di argomentare la propria
competenza regolamentare, esistente, secondo il sesto comma dello stesso art.
117, nelle materie diverse da quelle assegnate alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato. Con il medesimo ordine di considerazioni, il Consiglio
di Stato (Sezione consultiva per gli atti normativi, 1° luglio 2002), del
resto, ha riconosciuto la legittimità e definito i limiti del potere
regolamentare previsto dall’impugnato comma 14 dell’art. 11 della legge n. 448
del 2001.
6.3. – E’ bensì vero che questa Corte, chiamata a
pronunciarsi sul potere di vigilanza sugli enti che avevano effettuato il
conferimento dell’azienda bancaria alla società per azioni, in giudizi promossi
da Regioni ad autonomia speciale anche in base a norme statutarie
corrispondenti a quella costituzionale invocata nel presente giudizio, con le
già ricordate sentenze
n. 341 e n.
342 del 2001 ha riconosciuto, in relazione al momento in cui esse sono
state pronunciate, la perdurante qualificazione quali enti creditizi di tali
soggetti. Le Regioni ricorrenti non mancano perciò di appoggiare le proprie
argomentazioni su queste recenti pronunce costituzionali.
Nel periodo transitorio delle operazioni di ristrutturazione
bancaria, secondo le citate pronunce, la qualificazione di ente creditizio è
stata ritenuta plausibile, in base al mancato venir meno, in concreto, del
vincolo genetico e funzionale tra enti conferenti e società bancarie
conferitarie, vincolo nel quale si è ritenuto trovare giustificazione la
vigilanza transitoriamente attribuita dalla legge [fino alla istituzione della
autorità di controllo sulle persone giuridiche e anche successivamente, finché
perduri la partecipazione di controllo in società bancarie, secondo la
previsione dell’art. 2, comma 1, lettera i),
della legge n. 461 del 1998] al Ministro del tesoro. La Corte ha ritenuto che
la perdita di tale qualificazione fosse destinata a verificarsi solo al
compimento della trasformazione, con la dismissione della partecipazione
rilevante nella società bancaria conferitaria e delle altre partecipazioni non
più consentite [oltre che – si aggiungeva in quella circostanza – con
l’adeguamento degli statuti e la relativa approvazione, già realizzatisi nella
generalità dei casi, a norma della lettera l)
del comma 1 dell’art. 2 della legge n. 461 del 1998], con la conseguenza che il
potere di vigilanza, in forza delle disposizioni statutarie che attribuiscono
alle Regioni ad autonomia speciale competenza in materia di enti creditizi,
dovesse essere riconosciuto alle Regioni stesse.
Sennonché il valore di queste considerazioni, dettate
in relazione alla spettanza del potere di vigilanza, non può proiettarsi oltre
la fase ordinaria di ristrutturazione degli enti conferenti – fondazioni di
origine bancaria. Le sentenze n. 341
e n. 342 del
2001 cadono nel mezzo del quadriennio previsto dall’art. 25 del d. lgs. n. 153 come periodo normale per l’adeguamento, cui
poteva seguire un biennio supplementare, nel caso di mancata dismissione delle
partecipazioni nel periodo ordinario, peraltro sanzionata, come già rilevato,
dalla perdita dei benefici tributari previsti viceversa per gli enti che
avessero operato tempestivamente.
Nel momento presente, in cui il quadriennio si è
compiuto, non c’è ragione per ritenere ulteriormente perdurante l’originaria
qualificazione degli enti conferenti, quali elementi del sistema del credito e
del risparmio, anche perché, a ritenere il contrario, si determinerebbe la
conseguenza di rimettere ad adempimenti concreti dei singoli enti la piena e
generale operatività della riforma realizzata dalla legge; con l’assurdo
ulteriore effetto che la competenza legislativa dello Stato e delle Regioni
verrebbe a determinarsi non in generale, ma in relazione all’effettivo rapporto
di partecipazione al capitale della società bancaria in cui ogni ente si
trovasse e finirebbe per dipendere non dalla legge ma dagli adempimenti
concreti, attuativi della legge, rimessi all’iniziativa degli enti stessi.
Nella specie, si è di fronte a una fase di transizione
il cui completamento è rimesso all’attuazione delle prescrizioni legislative
che è demandata all’attività degli enti di origine bancaria, sotto la vigilanza
ministeriale. Ma a questa Corte spetta il
giudizio di legittimità costituzionale della legge, indipendentemente
dagli atti concreti di applicazione della legge medesima. Essa non può
trascurare la circostanza che il termine previsto per l’adeguamento è ormai
decorso (e, si può aggiungere, da quanto risulta in fatto, rispettato da parte della grande maggioranza
degli enti interessati).
A differenza di quanto ebbe a decidere nel 2001, la
Corte oggi non può dunque non dare rilievo alla conclusione del periodo
ordinario assegnato agli enti per gli adempimenti conseguenti alla decisione
legislativa di separare gli enti medesimi dal sistema creditizio, ancorché il
legislatore stesso abbia previsto proroghe per far fronte a situazioni
particolari (si vedano il comma 1-bis
dell’art. 25 del d. lgs. n. 153, introdotto dal comma
13 dell’art. 11 della legge n. 448 del 2001; il comma 3-bis del medesimo articolo, introdotto dall’art. 80, comma 20,
lettera b), della legge n. 289 del
2002; e, da ultimo, le modifiche apportate ai commi 1 e 3-bis dello stesso articolo 25, a opera del decreto-legge 24 giugno
2003, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n.
212).
Ciò che conta ormai, in definitiva, ai fini della
determinazione della portata da assegnare al riparto delle competenze
legislative delineato nell’art. 117, secondo e terzo comma, della Costituzione,
è la qualificazione degli enti in questione quali fondazioni-persone giuridiche
private, data dall’art. 2, comma 1, del d. lgs. n.
153 del 1999, più volte citato, indipendentemente dall’eventuale perdurare di
loro coinvolgimenti in partecipazioni bancarie che la legge ancora consenta per
ragioni particolari, accanto all’esercizio prioritario delle proprie funzioni
finalizzate al perseguimento degli scopi di utilità sociale e di sviluppo
economico, secondo le previsioni dei loro statuti.
7. – Le Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria fanno
altresì valere, a favore della propria competenza legislativa, l’indiscutibile
circostanza che le fondazioni di origine bancaria, a norma dell’art. 2, comma
2, del d. lgs. n. 153, tanto nella versione
originaria quanto in quella modificata dal comma 3 dell’art. 11 della legge n.
448 del 2001, operano per scopi di utilità sociale in materie, relativamente a
molte delle quali esiste competenza legislativa regionale, alla stregua del
terzo e del quarto comma dell’art. 117. Da questa constatazione viene tratta la
conseguenza che al legislatore statale sarebbe precluso organizzare le modalità
di esercizio delle funzioni in questione. Le fondazioni, che vengono così
ritenute essere modalità organizzative di esercizio di queste ultime,
rientrerebbero perciò nell’ambito della competenza delle leggi regionali,
almeno per le materie che a tale competenza sono riconducibili.
Questo
modo di ragionare presuppone che le fondazioni di origine bancaria e le loro
attività rientrino in una nozione, per quanto lata sia, di pubblica
amministrazione in senso soggettivo e oggettivo. Dopo il d. lgs.
n. 153, questo presupposto non è più sostenibile. La loro definizione quali
persone giuridiche private, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale;
il riconoscimento del carattere dell’utilità sociale agli scopi da esse
perseguiti; la precisazione, contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera a), della
legge n. 461 del 1998, che, quali che siano le attività effettivamente svolte
dalle fondazioni, «restano fermi compiti e funzioni attribuiti dalla legge ad
altre istituzioni», innanzitutto agli enti pubblici, collocano – anche in
considerazione di quanto dispone ora l’art. 118, quarto comma, della
Costituzione – le fondazioni di origine bancaria tra i soggetti
dell’organizzazione delle «libertà sociali» (sentenza n. 50 del
1998), non delle funzioni pubbliche, ancorché entro limiti e controlli
compatibili con tale loro carattere. Non è dunque possibile invocare le funzioni
attribuite alla competenza delle Regioni per rivendicare a esse il potere di
ingerenza nell’organizzazione di soggetti che appartengono a un ambito diverso
da quello pubblicistico che è il loro.
Ciò non toglie, naturalmente, che nei confronti dell’attività
delle fondazioni di origine bancaria, come di quella di qualunque altro
soggetto dell’«ordinamento civile», valgano anche le norme regionali, emanate
nell’ambito delle proprie competenze per disciplinare i diversi settori
dell’attività nei quali queste istituzioni, secondo i propri statuti, operano.
8. – Per queste considerazioni, tutte le censure mosse
all’art. 11 della legge n. 448 del 2001 dalle Regioni Marche, Toscana,
Emilia-Romagna e Umbria con i ricorsi in epigrafe devono essere dichiarate non
fondate.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata ogni decisione sulle restanti questioni di
legittimità costituzionale della legge 28 dicembre 2001, n. 448 [Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2002)], sollevate dalle Regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna e
Umbria con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448
[Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2002)], sollevate, in riferimento all’art. 117, terzo,
quarto e sesto comma, della Costituzione, dalle Regioni Marche, Toscana,
Emilia-Romagna e Umbria, con i ricorsi in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29 settembre 2003.