ORDINANZA N.269
ANNO 2003
Commenti alla decisione di
I. Luca Antonini, La Corte assegna l'Irap alla competenza esclusiva statale. Intanto il federalismo fiscale rimane al palo mentre decolla il "tubatico" siciliano (per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali)
II. Matteo Barbero e Valter Baratta, Brevi considerazioni sugli effetti delle recenti sentenze n. 296-297 del 2003 della Corte costituzionale nei confronti della contabilità regionale (nella Rivista telematica Lexitalia.it)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
– Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 12 giugno 2001 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, l’8 gennaio 2002 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, il 15 aprile 2002 e il 6 maggio 2002 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena, il 13 giugno 2002 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pinerolo e il 27 settembre 2002 dalla Corte di cassazione, rispettivamente iscritte ai nn. 246, 333, 336, 386, 456 e 513 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21, 28, 36, 41 e 47, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 aprile 2003 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, con ordinanza del 12 giugno 2001 (r.o. n. 246 del 2002), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 (commi 2 e 2-bis) del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di trattazione dell’udienza preliminare per il giudice che – come nella specie si è verificato – all’esito di una precedente udienza preliminare riguardante lo stesso imputato e il medesimo fatto storico abbia disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero, avendo ravvisato un fatto diverso da quello formalmente descritto nell’imputazione contestata;
che, dopo avere preliminarmente argomentato circa il potere del giudice dell’udienza preliminare di restituire gli atti al pubblico ministero qualora, all’esito dell’udienza, abbia ravvisato un fatto diverso da quello definito nell’imputazione, il giudice a quo, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, osserva – richiamandosi testualmente alla sentenza della Corte costituzionale n. 455 del 1994 – come tale provvedimento di restituzione degli atti integri una decisione che presuppone una penetrante delibazione nel merito da parte del giudice, non dissimile da quella che, in mancanza di una valutazione della diversità del fatto, conduce alla definizione con sentenza del giudizio di merito e comunque tale da pregiudicare l’imparzialità ed obiettività delle successive funzioni di giudizio;
che tali rilievi, formulati dalla Corte costituzionale in riferimento al giudizio dibattimentale, ad avviso del rimettente sono validi anche rispetto al caso in esame, "perché se è vero che le funzioni esercitate dal giudice dell’udienza preliminare non riguardano propriamente il merito della regiudicanda, e cioè una valutazione conclusiva sulla responsabilità dell’imputato, non si può non tenere conto degli ampliati poteri decisionali allo stesso giudice assegnati dalla disciplina codicistica riguardante quella udienza, così come recentemente "ridisegnata" dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479";
che, poste tali premesse, il rimettente ritiene che l’art. 34 cod. proc. pen., nel suo comma 2, contrasti (a) in primo luogo con l’art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento tra imputati che versano in situazioni sostanzialmente assimilabili, quali, da un lato, quella dell’imputato tratto a giudizio dibattimentale, che, in caso di intervenuta restituzione degli atti ex art. 521, comma 2, cod. proc. pen., vedrà tutelato il proprio diritto a un giudice terzo e imparziale, non potendo essere giudicato dallo stesso magistrato in caso di nuovo rinvio a giudizio (sentenza n. 455 del 1994), e, dall’altro lato, quella dell’imputato destinatario di una richiesta di rinvio a giudizio, che, nella corrispondente ipotesi della restituzione degli atti all’esito di una prima udienza preliminare, non fruisce di analoga garanzia nel corso della successiva udienza, e (b) con il diritto di difesa, garantito dall’art. 24 della Costituzione, nonché con il correlato principio di imparzialità del giudice, di cui all’art. 111 della Costituzione, perché il giudice chiamato a svolgere le sue funzioni nel corso della nuova udienza preliminare sarebbe "pregiudicato" dall’aver adottato il precedente provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero, essendosi in quella sede formato un convincimento sul merito dell’azione penale;
che il giudice a quo estende la propria censura di illegittimità costituzionale altresì al comma 2-bis dell’art. 34, cod. proc. pen., in quanto, nel sancire l’incompatibilità a svolgere la funzione di giudice dell’udienza preliminare per il giudice per le indagini preliminari che abbia adottato in precedenza taluni provvedimenti che non presuppongono alcuna "invasiva" valutazione sul merito dell’accusa (ad esempio, quello sulla richiesta di proroga delle indagini preliminari), tralascerebbe viceversa di considerare quale ragione di incompatibilità quella del magistrato che – come si è verificato nel caso concreto – nella veste di giudice dell’udienza preliminare "si è trovato ad esprimere un approfondito giudizio di merito, tanto da riconoscere una diversità tra il fatto contestato e quello emergente dalle carte del procedimento";
che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, con ordinanza dell’8 gennaio 2002 (r.o. n. 333 del 2002), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 (comma 2; "o comma 1", nel solo dispositivo), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di trattazione dell’udienza preliminare per il giudice che, per lo stesso fatto e nei confronti dello stesso imputato, abbia pronunciato, all’esito di una precedente udienza preliminare, il decreto che dispone il giudizio;
che il giudice a quo precisa di essere chiamato a trattare per la seconda volta l’udienza preliminare dopo che il decreto che dispone il giudizio, emesso dallo stesso rimettente, era stato annullato in sede dibattimentale, con conseguente regressione del procedimento alla fase precedente;
che il rimettente solleva la questione di legittimità costituzionale alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 479 del 1999 alla disciplina dell’udienza preliminare, osservando, in particolare, che le innovazioni normative che hanno interessato tale udienza, con l’ampliamento dei poteri istruttori e decisori del giudice, non rendono più giustificabile la disparità di trattamento che – ad avviso del giudice a quo – si verifica tra la situazione del giudice che, avendo emesso una sentenza, non può partecipare ad altri gradi dello stesso giudizio (art. 34, comma 1, cod. proc. pen.), e quella, analoga, del giudice per l’udienza preliminare che, pur avendo emesso un decreto che dispone il giudizio (poi annullato), viceversa può essere chiamato a tenere la successiva udienza preliminare nei confronti dello stesso imputato;
che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena, con ordinanza del 15 aprile 2002 (r.o. n. 336 del 2002), ha sollevato, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di trattazione dell’udienza preliminare del giudice che, avendo pronunciato decreto che dispone il giudizio, sia chiamato a celebrare una nuova udienza preliminare nello stesso procedimento a seguito della dichiarazione di nullità dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare da parte del giudice dibattimentale e della conseguente regressione del procedimento alla fase precedente;
che, dato conto dell’orientamento della Corte costituzionale circa il carattere processuale dell’udienza preliminare, con conseguente difetto di un presupposto necessario dell’incompatibilità, il rimettente ritiene tuttavia che la trasformazione subìta dall’udienza preliminare a seguito della legge n. 479 del 1999 giustifichi la proposizione della questione;
che, in particolare, il rimettente osserva come il marcato incremento quantitativo e qualitativo dei poteri istruttori e decisori del giudice dell’udienza preliminare, quali rispettivamente ridisegnati dagli artt. 421-bis e 422 cod. proc. pen., da una parte, e dall’art. 425 cod. proc. pen., dall’altra, affidi ormai al giudice di detta udienza una approfondita valutazione circa il merito dell’accusa, tale da radicare nello stesso una "forza della prevenzione" idonea a vulnerare l’imparzialità e terzietà del giudice (art. 111, secondo comma, della Costituzione), nell’ipotesi di una nuova celebrazione dell’udienza preliminare da parte di un giudice che, nel corso dello stesso procedimento penale, abbia già emesso, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto storico, il decreto che dispone il giudizio;
che sulla medesima linea, prosegue il rimettente, sarebbe la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 224 del 2001), secondo la quale "l’alternativa decisoria che si offre al giudice quale epilogo dell’udienza preliminare, riposa [...] su una valutazione del merito dell’accusa ormai non più distinguibile – quanto ad intensità e completezza del panorama delibativo – da quella propria di altri momenti processuali, già ritenuti non solo "pregiudicanti", ma anche "pregiudicabili" ai fini della sussistenza dell’incompatibilità";
che nell’ambito di altro procedimento penale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena, con ordinanza del 6 maggio 2002 (r.o. n. 386 del 2002), ha sollevato, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen., "nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del giudice per l’udienza preliminare che abbia pronunciato decreto che dispone il giudizio a celebrare l’udienza preliminare nello stesso procedimento a seguito di regressione in conseguenza della dichiarazione dibattimentale di nullità [del decreto]";
che, chiamato a celebrare una nuova udienza preliminare, nei confronti dei medesimi imputati e per gli stessi fatti, a causa della regressione del procedimento dovuta alla dichiarazione di nullità, da parte del giudice dibattimentale, del decreto che dispone il giudizio, per genericità del capo di imputazione, il giudice a quo, con argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle contenute nell’ordinanza del medesimo ufficio giudiziario iscritta al r.o. n. 336 del 2002, rimette analoga questione di costituzionalità dell’art. 34 cod. proc. pen.;
che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pinerolo, con ordinanza del 13 giugno 2002 (r.o. n. 456 del 2002), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen., "nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del giudice dell’udienza preliminare che abbia pronunciato nei confronti del medesimo imputato e per il medesimo fatto decreto che dispone il giudizio";
che, essendo chiamato a trattare nuovamente l’udienza preliminare, a seguito dell’annullamento da parte del giudice dibattimentale del decreto che dispone il giudizio in precedenza emesso dallo stesso rimettente, il giudice a quo solleva – in riferimento ai sopra richiamati parametri – questione di legittimità costituzionale, basandola essenzialmente sulla considerazione che, in seguito alla regressione del procedimento, lo stesso giudice "è chiamato a pronunciarsi sulla medesima questione che egli già decise allorché provvide emanando il decreto che dispone il giudizio [...] dichiarato nullo";
che nel corso di un procedimento di ricusazione la Corte di cassazione, con ordinanza del 27 settembre 2002 (r.o. n. 513 del 2002), ha sollevato, in riferimento all’art. 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen., "nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del giudice che ha pronunciato decreto che dispone il giudizio, successivamente annullato, ad assumere le funzioni di giudice dell’udienza preliminare nei confronti degli stessi imputati e per i medesimi fatti";
che la rimettente espone di essere chiamata a decidere sull’impugnazione di una decisione della Corte d’appello di Roma che aveva dichiarato inammissibili due istanze di ricusazione di un Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Roma, proposte per il motivo che quest’ultimo aveva nuovamente assunto la funzione di giudice dell’udienza preliminare in relazione ai medesimi fatti per i quali in precedenza egli stesso aveva già disposto il rinvio a giudizio con proprio decreto, poi annullato;
che, ciò premesso, il giudice a quo solleva la questione di legittimità costituzionale nell’assunto che le trasformazioni subìte dall’udienza preliminare per effetto della legge n. 479 del 1999 abbiano inciso profondamente sulla natura delle valutazioni che il giudice compie in tale sede circa la fondatezza dell’accusa, fino a compiere apprezzamenti di merito tali da fare apparire non solo "pregiudicante", ma altresì "pregiudicabile" questo momento processuale ai fini della disciplina dell’incompatibilità;
che in cinque dei sei giudizi così promossi (r.o. n. 246, n. 333, n. 386, n. 456 e n. 513 del 2002) è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le relative questioni siano dichiarate infondate.
Considerato che le sei ordinanze di rimessione sollevano – in riferimento a parametri costituzionali e con argomenti in larga parte coincidenti tra loro – questioni di costituzionalità relative alla disciplina dell’incompatibilità del giudice penale, sotto lo specifico profilo della funzione di trattazione dell’udienza preliminare, e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia;
che i rimettenti dubitano, in riferimento al principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), al diritto di difesa (art. 24) e al principio di imparzialità del giudice (art. 111), della legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen. [r.o. n. 336, n. 386, n. 456 e n. 513 del 2002; ovvero dei commi 1 e 2 (r.o. n. 333 del 2002) o dei commi 2 e 2-bis (r.o. n. 246 del 2002) del medesimo art. 34] nella parte in cui non prevede, per il giudice che abbia esercitato la funzione di trattazione dell’udienza preliminare, l’incompatibilità a svolgere nuovamente la medesima funzione nel corso dello stesso procedimento penale, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto storico (a) a seguito della dichiarazione di nullità del decreto che dispone il giudizio o dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare da parte del giudice dibattimentale (r.o. n. 333, n. 336, n. 386, n. 456 e n. 513 del 2002), ovvero (b) a seguito di una nuova richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero dopo che, all’esito della precedente udienza preliminare, lo stesso giudice abbia disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero, avendo ravvisato un fatto diverso da quello contestato nell’imputazione (r.o. n. 246 del 2002);
che, chiamata a decidere una questione di costituzionalità dell’art. 34 cod. proc. pen., sollevata in quanto esso non considerava quale ipotesi di incompatibilità del giudice quella della ripetizione della trattazione dell’udienza preliminare da parte dello stesso magistrato (nella specie: a seguito di dichiarazione di nullità del decreto che dispone il giudizio), questa Corte, nella sentenza n. 335 del 2002, ha rilevato come, a seguito delle innovazioni legislative ricordate dai rimettenti (legge n. 479 del 1999), l’incremento quantitativo e qualitativo dei poteri riconosciuti al giudice e alle parti e, corrispondentemente, l’ampiezza delle valutazioni e del contenuto delle decisioni che lo stesso giudice è chiamato a prendere all’esito dell’udienza preliminare, abbiano determinato il venir meno di quei caratteri di sommarietà, propri di una decisione orientata esclusivamente allo svolgimento del processo, che in precedenza connotavano detta sede;
che, alla stregua di tali rilievi, la menzionata pronuncia ha concluso nel senso che l’udienza preliminare è divenuta un momento di "giudizio" e che pertanto, ove ne sussistano gli ulteriori presupposti, essa rientra nelle previsioni dell’art. 34 cod. proc. pen. che dispongono l’incompatibilità del giudice che abbia già giudicato sulla medesima res iudicanda;
che la conclusione che precede (v. altresì, in termini sostanzialmente corrispondenti, la sentenza n. 224 del 2001 e le ordinanze n. 367 e n. 490 del 2002) è dunque idonea a ricomprendere nel raggio d’azione dell’istituto dell’incompatibilità la funzione di trattazione dell’udienza preliminare, indipendentemente dalla specifica causa che di volta in volta abbia determinato le reiterazione di detta funzione in capo allo stesso giudice-persona fisica, nell’ambito dello stesso procedimento e in relazione alla medesima res iudicanda;
che di conseguenza, spettando ai giudici rimettenti trarre le conseguenze del principio sopra richiamato in rapporto alle singole e specifiche situazioni processuali che essi prospettano, le questioni sollevate devono essere dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pinerolo e dalla Corte di cassazione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2003.