REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001) promossi con ordinanze del 2 settembre (ordinanze n. 489 e n. 490) e del 4 ottobre 2002 dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, rispettivamente iscritte ai numeri 489, 490 e 579 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2002 e n. 3, prima serie speciale dell’anno 2003.
Visti gli atti di costituzione di B. M. R. ed altra e B. D. ed altre, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 aprile 2003 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con tre ordinanze depositate il 2 settembre ed il 4 ottobre 2002, pronunziate in altrettanti giudizi, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 100, 101, 103 e 113 della Costituzione (ordinanze n. 489 e n. 490 del 2002) ed agli artt. 3, 24, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione (ordinanza n. 579 del 2002);
che nei giudizi principali alcuni dipendenti del Tribunale amministrativo regionale per le Marche (giudizi introdotti dalle ordinanze n. 489 e n. 490 del 2002) e del Ministero delle finanze (giudizio promosso dall’ordinanza n. 579 del 2002) hanno adito il Tar, chiedendo l’accertamento del diritto alla maggiorazione della retribuzione individuale di anzianità (infra, r.i.a.) ex art. 9 del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 settembre 1989 concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di cui all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68), in virtù dell’anzianità maturata sino alla data del 31 dicembre 1992;
che, secondo i giudici a quibus, il d.P.R. n. 44 del 1990, nel disciplinare la r.i.a. (art. 9), stabiliva l’attribuzione di aumenti stipendiali rapportati all’anzianità di servizio (di 5, 10 e 20 anni) maturata dai dipendenti «nell’arco della vigenza contrattuale» e l’accordo di comparto, scaduto il 31 dicembre 1990, era stato prorogato sino al 31 dicembre 1993 dall’art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, cosicché i ricorrenti avrebbero avuto diritto alla maggiorazione della r.i.a. anche per l’anzianità maturata successivamente al 31 dicembre 1990 ed entro il 31 dicembre 1992;
che, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 ha stabilito che «l’articolo 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1º gennaio 1988-31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità. È fatta salva l’esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge»;
che, ad avviso dei rimettenti, in virtù della consolidata interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa all’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992 le domande avrebbero dovuto essere accolte, mentre l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, innovando la precedente disciplina, imporrebbe il rigetto dei ricorsi;
che, secondo i giudici a quibus, i quali svolgono argomentazioni in larga misura coincidenti, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 non costituirebbe una norma di interpretazione autentica, in quanto concerne una disposizione che non aveva dato luogo a contrasti interpretativi e che avrebbe modificato, con efficacia retroattiva, allo scopo di conseguire un risparmio per il bilancio dello Stato, in violazione dell’art. 3 della Costituzione, realizzando una disparità di trattamento in danno di coloro che non hanno ottenuto sentenze di condanna passate in giudicato, recando altresì vulnus all’art. 24, primo comma della Costituzione, in quanto vulnera diritti già maturati ed impedisce ai titolari di ottenerne la tutela;
che la norma censurata, per finalità di ordine finanziario, in mancanza di congrue giustificazioni, sacrificherebbe irragionevolmente diritti quesiti, pregiudicando l’affidamento posto nella certezza della legge vigente, frustrando il diritto ad agire in giudizio, con lesione delle funzioni costituzionalmente riservate agli organi del potere giudiziario e, perciò, si porrebbe in contrasto anche con gli artt. 100, 101, 103 e 113 della Costituzione;
che, in particolare, secondo l’ordinanza n. 579 del 2002, la norma violerebbe gli artt. 24, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione, «sotto il profilo dell’interferenza della disposizione legislativa rispetto all’esplicazione della funzione giudiziaria ed al diritto di agire e di difendersi in giudizio», nonché gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, in quanto si porrebbe in contrasto con «i principi della necessaria ragionevolezza delle scelte legislative, del divieto di ingiustificate disparità di trattamento, della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto»;
che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo che questa Corte ha già dichiarato manifestamente infondata una questione analoga sollevata in riferimento agli stessi parametri invocati dai rimettenti (ordinanza n. 263 del 2002) ed ha quindi chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
che nei giudizi promossi dalle ordinanze n. 489 e n. 490 del 2002 si sono costituiti i ricorrenti nei processi principali, che hanno fatte proprie le argomentazioni svolte dai rimettenti, chiedendo che la Corte dichiari l’illegittimità costituzionale della norma impugnata ed insistendo i primi per l’accoglimento di questa conclusione nella memoria difensiva depositata in prossimità della camera di consiglio.
Considerato che i giudizi hanno ad oggetto la stessa norma, censurata in riferimento a parametri costituzionali in larga misura coincidenti e sotto profili sostanzialmente analoghi e pertanto possono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia;
che questa Corte, con le ordinanze n. 263 e n. 440 del 2002 e n. 10 del 2003, si è già pronunciata sulla questione sollevata in riferimento agli stessi parametri ed in riferimento a profili sostanzialmente analoghi - riferibili anche all’art. 100 della Costituzione - dichiarandone la manifesta infondatezza;
che le ordinanze di rimessione in esame non contengono profili nuovi o comunque argomentazioni tali che possano condurre la Corte a conclusioni differenti;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 100, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2003.