ORDINANZA N.440
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA ״
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), promossi con ordinanze emesse il 18 giugno 2001 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio e il 21 novembre 2001 dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, iscritte ai nn. 44 e 159 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6 e 17, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.
Ritenuto che Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 18 giugno 2001 (pervenuta alla Corte l’8 gennaio 2002), ed il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, con ordinanza del 21 novembre 2001, sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), rispettivamente, in riferimento agli artt. 3, 24, 36 e 113 della Costituzione, nonché agli artt. 3, 24, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione;
che nei giudizi principali, risultanti entrambi dalla riunione di una pluralità di ricorsi, i dipendenti di differenti Ministeri hanno chiesto l’accertamento del diritto alle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità (infra, r.i.a.) ex art. 9 del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 settembre 1989 concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di cui all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68), in virtù dell’anzianità maturata successivamente al 31 dicembre 1990;
che, ad avviso di entrambi i giudici a quibus, il d.P.R. n. 44 del 1990, nel disciplinare la r.i.a. (art. 9), stabiliva l’attribuzione di aumenti stipendiali rapportati all’anzianità di servizio (di 5, 10 e 20 anni) maturata dai dipendenti "nell’arco della vigenza contrattuale" e l’accordo di comparto, scaduto il 31 dicembre 1990, era stato prorogato sino al 31 dicembre 1993 dall’art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, cosicché i ricorrenti avrebbero avuto diritto alla maggiorazione della r.i.a. anche per l’anzianità maturata successivamente al 1990;
che, secondo le ordinanze di rimessione, la norma impugnata, nella parte in cui dispone che l’articolo 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, "si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1º gennaio 1988-31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità", stabilendo altresì che "è fatta salva l’esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge", imporrebbe una interpretazione che vanificherebbe il diritto dei ricorrenti all’incremento stipendiale a titolo di r.i.a.;
che, ad avviso di entrambi i rimettenti, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, non sarebbe una norma di interpretazione autentica e, proprio per questo, recherebbe vulnus agli artt. 24 e 113 della Costituzione, incidendo sulla azione giudiziaria proposta dai ricorrenti anteriormente alla data della sua entrata in vigore ed interferendo sull’esercizio della funzione giurisdizionale (artt. 101, 102, 13, 104, 108 e 113 della Costituzione), realizzando altresì sia una ingiustificata disparità di trattamento in danno di quanti non "sono riusciti ad ottenere un provvedimento giurisdizionale inoppugnabile", sia una violazione del "principio della giusta retribuzione" (art. 36 della Costituzione, parametro quest’ultimo indicato dal Tar del Lazio);
che, inoltre, secondo il Tar dell’Umbria, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con "i principi della ragionevolezza delle scelte legislative, del divieto di ingiustificate disparità di trattamento, della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto" (artt. 3, 24 e 97 della Costituzione);
che in entrambi giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;
che, ad avviso della difesa erariale, la norma impugnata avrebbe carattere interpretativo, porrebbe rimedio ad un orientamento interpretativo formatosi in contrasto con la linea di politica del diritto ritenuta dal legislatore più opportuna, e, fissando la regola astratta che il giudice è chiamato ad applicare, non realizzerebbe una illegittima interferenza nell’esercizio della funzione giurisdizionale e neppure violerebbe il diritto di difesa dei ricorrenti.
Considerato che i giudizi, avendo ad oggetto la stessa norma, in riferimento a parametri costituzionali in larga misura coincidenti e sotto profili sostanzialmente analoghi, devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che con l’ordinanza n. 263 del 2002 questa Corte si è già pronunciata sulla questione dichiarandone la manifesta infondatezza;
che le ordinanze di rimessione in esame, entrambe emesse in data anteriore alla citata decisione, non contengono profili nuovi che possano condurre la Corte a differenti conclusioni;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 36, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio e dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2002.