Sentenza n. 375/2002

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SENTENZA N. 375

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE  

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 2, secondo periodo, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), promosso con ordinanza emessa il 25 gennaio 2001 dalla Commissione tributaria regionale di Milano sul ricorso proposto da Finanziaria TEMA s.p.a. contro l’Ufficio del registro di Brescia, iscritta al n. 566 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2002 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 25 gennaio 2001 la Commissione tributaria regionale di Milano, nel corso del giudizio promosso con ricorso proposto da una società per azioni contro l’Ufficio del registro di Brescia, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 57, comma 2, secondo periodo, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui dispone la proroga (rectius: sospensione) dei termini degli accertamenti tributari anche con riguardo alle situazioni escluse ratione temporis dal condono fiscale previsto dalla legge medesima.

La società ricorrente, nell’impugnare l'avviso di liquidazione notificatole il 10 aprile 1996, recante la rettifica del valore finale dell'immobile non censito oggetto dell'atto di trasferimento registrato il 2 agosto 1991, aveva dedotto innanzi tutto la nullità dell'avviso di liquidazione perché non preceduto da avviso di accertamento di valore come previsto dagli artt. 51 e 52 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), pur riconoscendo di aver espressamente richiesto nell’atto di trasferimento l'applicazione dell'art. 12 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n.16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 1993, n.75, risultando l'unità non ancora censita in catasto con attribuzione della rendita catastale.

La società eccepiva poi la nullità dell'avviso di liquidazione per decorrenza del termine triennale di decadenza dell'azione accertatrice decorrente dalla richiesta di registrazione (art. 76, secondo comma, lettera a), del d.P.R. n. 131 del 1986).

L'Ufficio del registro resisteva alla impugnazione deducendo che non era tenuto a notificare alcun atto di accertamento, ma soltanto l'avviso di liquidazione, entro il triennio dalla registrazione, suo compito essendo solo quello di liquidare il tributo eventualmente risultante dall'applicazione della rivalutazione delle rendite catastali che l'UTE avrebbe attribuito. Quanto all'eccepita decadenza, l'Ufficio rilevava che nel caso di specie trovava applicazione la proroga dei termini per l'accertamento prevista dall’impugnato art. 57 della legge n. 413 del 1991.

La Commissione tributaria provinciale di Brescia, con sentenza del 27 marzo 1998, riteneva la tardività del ricorso introduttivo, dichiarandolo inammissibile.

Proposto appello dalla società, la Commissione tributaria regionale, ritenendo preliminare l'eccezione di tardività dell'azione accertatrice, afferma che nella specie non era necessario un previo atto di accertamento prima della liquidazione dell’imposta a seguito dell’intervenuto classamento dell’immobile, e che la proroga disposta con il comma 2 dell'art. 57 della legge n. 413 del 1991 é applicabile anche agli accertamenti concernenti gli atti esclusi ratione temporis dal condono fiscale consentito dalla legge medesima.

Rileva poi come rispetto alla finalità del condono fiscale sia contraddittoria una disposizione che, viceversa, abbia l'effetto di allungare i tempi del contenzioso per situazioni e pendenze estranee all'ambito di applicazione del condono.

Né – prosegue la Commissione - è coerente che il legislatore ordinario, per un verso, emani disposizioni intese ad agevolare la definizione delle situazioni tributarie pendenti e, al tempo stesso, introduca una disposizione che abbia l'effetto contrario di allungare i tempi di definizione delle situazioni tributarie non condonabili. La proroga dei termini di accertamento per le pendenze tributarie non condonabili é destinata a ripercuotersi sul contenzioso tributario, con la conseguenza che il beneficio che il legislatore ha inteso perseguire con le norme agevolative risulta svilito.

Il principio di ragionevolezza sarebbe poi violato dalla proroga dei termini d'accertamento anche per le situazioni non condonabili perché, oltre al profilo dell'identica regolamentazione prevista con riguardo a situazioni tra loro differenti, un'ingiustizia intrinseca deriva dall'assoggettamento alla proroga dei termini delle situazioni tributarie non condonabili sorte nell'arco di tempo dal 1° gennaio 1992 al 31 dicembre 1993, rispetto alle identiche situazioni tributarie anch'esse non condonabili, successive a detto periodo.

2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalità.

L'Avvocatura sostiene che la disposizione censurata, letta nel contesto normativo in cui è inserita, non viola l'art. 3 della Costituzione, considerando l'impatto che l'attuazione delle disposizioni in materia di condono tributario avrebbe avuto, in termini di aumento del carico di lavoro, per l'amministrazione finanziaria dello Stato e per i suoi uffici periferici, accentuato dalla particolare ampiezza del termine previsto per le dichiarazioni integrative e per le istanze di definizione (fino al 20 giugno 1993).

In tale contesto normativo è infatti del tutto ragionevole, anche sul piano dell'ampia discrezionalità che caratterizza l'attività del legislatore, presumere che gli uffici finanziari sarebbero stati in estrema difficoltà di fronte allo straordinario carico di lavoro che improvvisamente si sarebbe abbattuto su di essi, consistente nella complessa attività di controllo e di liquidazione delle dichiarazioni integrative e delle istanze di definizione agevolata.

Considerato in diritto

1. - E’ stata sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 57, comma 2, secondo periodo, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), come modificato dall’art. 4 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n.16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 1993, n.75, nella parte in cui dispone la proroga (rectius: la sospensione) dei termini degli accertamenti tributari anche con riguardo alle situazioni escluse ratione temporis dal condono fiscale previsto dalla legge medesima.

Tale disposizione, nel contesto della disciplina del condono, prevede che i termini per l'accertamento relativamente ai periodi di imposta per i quali può essere presentata dichiarazione integrativa, non scaduti alla data del 31 dicembre 1991, siano prorogati di due anni nei confronti dei soggetti che non hanno presentato la predetta dichiarazione. E contempla poi, parallelamente, un’ipotesi di sospensione dei termini, prevedendo che, relativamente ai tributi di cui al comma 1 dell’art. 53 della medesima legge n. 413 del 1991 (imposta di registro catastale e ipotecaria, imposta sulle successioni e donazioni, l’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili), siano altresì sospesi, sino al 31 dicembre 1993, i termini di prescrizione e di decadenza riguardanti l'accertamento e la riscossione delle imposte complementari e suppletive (ad eccezione dei termini di cui all'art. 19 del d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, in legge 27 aprile 1989, n. 154, che nella fattispecie non rilevano).

In quest’ultima parte, la norma censurata - che, nella sua formulazione originaria, riguardava unicamente i termini per la riscossione delle imposte suddette - è stata novellata dall’art. 4 del d.l. 23 gennaio 1993, n.16, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 1993, n.75, che ha esteso la sospensione anche ai termini per l’accertamento delle medesime imposte. Tale sospensione è appunto censurata dalla Commissione tributaria rimettente, la quale ipotizza la violazione sia del principio di ragionevolezza (perché la normativa impugnata – producendo l'effetto di allungare i tempi del contenzioso relativamente alle situazioni ed alle pendenze estranee all'ambito di applicazione del condono fiscale - sarebbe contraddittoria rispetto alla ratio del condono stesso, rivolto ad agevolare la definizione delle pendenze tributarie esistenti alle date individuate dal legislatore in relazione alle varie fattispecie condonabili), sia del principio di eguaglianza (in ragione essenzialmente dell'identica regolamentazione prevista, quanto alla sospensione dei termini suddetti, per situazioni tra loro profondamente differenti, quali sono quelle non condonabili rispetto alle condonabili).

2. - La questione è rilevante, attesa la non implausibilità del duplice presupposto interpretativo da cui muove la Commissione tributaria rimettente, aderendo all’iniziale giurisprudenza di legittimità in materia, seppur non ancora consolidata in diritto vivente.

In primo luogo, la Commissione ritiene che non occorra un atto di accertamento del valore degli immobili non ancora censiti ove l’acquirente abbia dichiarato nell’atto di trasferimento di volersi avvalere delle disposizioni di cui all’art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n.70, convertito, con modificazioni, in legge 13 maggio 1988, n.154, sicché l’esercizio di tale opzione rende applicabile il quarto comma dell’art. 52 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, per cui l’ufficio non può rettificare il valore dell’immobile per un importo superiore alla rendita catastale attribuita moltiplicata per un determinato coefficiente al fine di capitalizzarne il valore, ma può solo procedere a recuperare l’imposta complementare mediante mero atto di liquidazione, quale quello oggetto di impugnazione nel giudizio a quo.

Inoltre, la Commissione ritiene che la sospensione dei termini (fino al 31 dicembre 1993), prevista dal comma 2 del citato art. 57, concerna (tra l’altro) l’imposta di registro, ipotecaria e catastale a prescindere dalla contestuale possibilità di beneficiare, o no, del condono, così dichiaratamente accogliendo l’interpretazione letterale secondo cui tale sospensione dei termini per l’accertamento e la riscossione delle imposte complementari e suppletive non è limitata ai soli atti condonabili.

3. - Nel merito la questione non è fondata.

3.1. - Il regime differenziato introdotto dalla disposizione censurata mira ad ovviare al sensibile aggravio di lavoro che prevedibilmente sarebbe derivato agli uffici finanziari dalla necessità di eseguire le operazioni di verifica richieste dalle dichiarazioni integrative dei contribuenti che si sarebbero avvalsi del condono, con conseguenti rischi di disservizio e di decorrenza degli ordinari termini di prescrizione e di decadenza della pretesa fiscale.

Per fronteggiare questa eccezionale e transitoria situazione, il legislatore è intervenuto sui termini in questione, perché, per un limitato periodo di tempo, gli uffici potessero essere sgravati di alcune attività, tra cui quelle connesse all’accertamento e alla liquidazione delle suddette imposte complementari e suppletive. La finalità della disposizione censurata è pertanto pur sempre riconducibile ad una ragione di tutela dell’interesse dell’Amministrazione finanziaria al regolare accertamento e riscossione delle imposte.

Ai fini della valutazione di bilanciamento di valori, richiesta dalla censura mossa dal giudice rimettente, è determinante il rilievo che la tutela della pretesa fiscale dell’Amministrazione, sottesa al complessivo sistema tributario, trova una precisa garanzia nell’art. 53, primo comma, della Costituzione, secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche.

In ragione del rango costituzionale della ricordata garanzia, questa Corte ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina che prevede la possibilità di proroga dei termini di decadenza e di prescrizione nel caso di mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari, affermando in particolare che l’attività di accertamento e di riscossione delle imposte ha carattere di specialità e natura di valore primario, onde è giustificata la dilatazione di quei termini qualora una situazione contingente, come il disservizio degli uffici, possa comprometterla (sentenza n. 177 del 1992; cfr. anche la sentenza n. 238 del 1984, relativa ad un’ipotesi di proroga legale dei termini di prescrizione e decadenza correlata alla soppressione di numerosi uffici del registro ed alla ristrutturazione di altri).

Pertanto - come si è ritenuto che non sia costituzionalmente illegittima la facoltà di proroga dei termini di prescrizione e decadenza in caso di accertato disservizio degli uffici finanziari - analogamente deve considerarsi immune da censure una disposizione, quale quella impugnata, che in via preventiva preveda, per un limitato periodo di tempo, la sospensione di tali termini in una situazione di effettivo e concreto rischio di disservizio conseguente alla gestione amministrativa del condono.

Né tale sospensione contraddice la finalità del condono fiscale che mira anche a definire le pendenze tributarie (sentenze nn. 361 del 1992 e n. 321 del 1995); questa finalità non è affatto compromessa dalla sorte delle pendenze non condonabili o per le quali in concreto non sia stata esercitata dal contribuente la facoltà di avvalersi del condono.

3.2. - Neppure è violato il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), parimenti evocato dalla Commissione tributaria rimettente.

Questa Corte ha più volte richiamato il principio della polisistematicità dell’ordinamento tributario (sentenza n. 430 del 1995), in ragione del quale per tributi diversi possono essere previste discipline diverse, sicché rientra nella discrezionalità del legislatore adattare ai vari tributi istituti comuni, quali la prescrizione e la decadenza della pretesa fiscale, per cui eventuali differenze di regolamentazione non vulnerano di per sé sole l’evocato principio di eguaglianza.

Nella fattispecie, il legislatore ha operato proprio questa differenziazione, prevedendo per alcune imposte la proroga dei termini di accertamento (primo periodo del comma 2 dell’impugnato art. 57 della legge n. 413 del 1991), e per altre la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza per l’accertamento e la riscossione (secondo periodo del medesimo comma 2 dell’art. 57).

La già evidenziata ratio di tale norma induce a ritenere che il legislatore ben poteva operare una valutazione differenziata delle imposte, e conseguentemente dei relativi uffici finanziari, per liberare temporaneamente risorse umane e materiali in vista del maggior carico di lavoro derivante dal condono fiscale.

Del resto, con riferimento al precedente condono fiscale del 1982 (d.l. 10 luglio 1982, n.429, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1982, n.516), questa Corte (sentenza n. 575 del 1988) ha ritenuto non illegittima la proroga dei termini disposta per la sola IVA e non anche per le imposte dirette, considerando la diversità di disciplina fra l’accertamento della prima imposta e quello delle altre.

4. - La questione è pertanto infondata sotto entrambi i profili di censura dedotti dal giudice rimettente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 57, comma 2, secondo periodo, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2002.