SENTENZA N.575
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco SAJA Presidente,
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 26 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), come modificato dalla legge 7 agosto 1982, n. 516 promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa l'11 febbraio 1987 dalla Commissione tributaria di primo grado di Napoli sul ricorso proposto dalla s.p.a. Simcarni contro l'Ufficio I.V.A. di Napoli, iscritta al n. 261 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28/prima serie speciale dell'anno 1987;
2) ordinanza emessa il 4 febbraio 1987 dalla Commissione tributaria di primo grado di Alessandria sul ricorso proposto dalla s.p.a. D.E.P.S. contro l'Ufficio I.V.A. di Alessandria, iscritta al n. 520 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43/prima serie speciale dell'anno 1987;
3) ordinanza emessa il 21 ottobre 1986 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Bologna sul ricorso proposto dalla s.r.l. Fiumicelli, iscritta al n. 801 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 54/prima serie speciale dell'anno 1987.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1988 il Giudice relatore Francesco Saja.
Considerato in diritto
1. -I giudizi promossi con le tre ordinanze in epigrafe hanno identico contenuto e, pertanto, devono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2.-Il d.l. n. 429/82, al fine di agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria, prevedeva che il contribuente potesse presentare dichiarazioni integrative in luogo di quelle omesse o rettificare in aumento quelle già presentate. Al riguardo distingueva tra definizione in assenza di accertamento degli uffici finanziari e definizione in presenza di accertamento: a tal fine prendeva in considerazione la data di entrata in vigore dello stesso provvedimento legislativo.
Nel primo caso (artt. 19, per le imposte dirette, e 28, per le imposte indirette) i contribuenti potevano definire automaticamente le pendenze mediante la presentazione della dichiarazione integrativa ed il versamento della maggiore imposta secondo la misura normativamente indicata. Nel secondo caso, invece (artt. 16, per le imposte dirette, e 26, per le imposte indirette), i contribuenti, per definire la loro posizione, potevano soltanto ottenere una riduzione dell'onere indicato nell'atto di accertamento.
Il provvedimento di conversione (l. n. 516/82) ha invece spostato la data di riferimento dal giorno di entrata in vigore del d.l. a quello della dichiarazione integrativa, per la quale, come si e detto, il termine scadeva il 30 novembre 1982.
Da qui, secondo i giudici a quibus, la lamentata incostituzionalità del sistema normativo, conseguente al fatto che l'amministrazione sarebbe stata arbitra di notificare fino al 30 novembre 1982 (data ultima per la presentazione della dichiarazione integrativa) l'accertamento tributario d'ufficio, così determinando una irragionevole disparità di trattamento fra i contribuenti, che avessero ricevuto o no l'accertamento stesso, nonchè lesiva dei principi costituzionali del buon andamento e della imparzialità della p.a.
3.-La Corte ha avuto modo, in passato, di pronunciarsi in materia, dichiarando incostituzionale l'art. 16 del ricordato d.l. n. 429/82, come convertito dalla l. n. 516/82, nella parte in cui, con una formulazione non dissimile da quella della norma impugnata, discriminava irrazionalmente, per le imposte dirette, tra contribuenti in relazione al potere di accertamento rimesso alla p.a. (sent. n. 175 del 1986).
La ratio di tale pronuncia-riguardante, come si é detto, le imposte dirette - risiede interamente ed esclusivamente nella considerazione che l'Amministrazione finanziaria sarebbe stata arbitra, potendo notificare l'accertamento in date differenti, di far godere diversamente il beneficio della definizione agevolata in questione. Il che presuppone logicamente che l'Amministrazione già fosse in possesso degli elementi necessari per l'accertamento tributario e, ciò nonostante, avesse l'ingiustificato potere di discriminare i contribuenti, ponendoli in condizione di fruire diversamente del c.d. condono tributario.
Questo indispensabile presupposto logico-giuridico non può ritenersi invece sussistente per l'I.v.a. Tale tributo, infatti, per le numerose esenzioni, deduzioni e detrazioni previste, per i suoi caratteri peculiari, per la pluralità dei regimi di applicazione, per la estrema difficoltà e la notevole complessità di accertamento definitivo, che esige tempi lunghi e differenziati anche in relazione alla disciplina della <fatturazione>, non si presta ad essere considerato alla stessa stregua delle imposte di cui si é occupata la precedente sent. n. 175 del 1986.
Occorre anzi dire che, proprio rispetto all'I.v.a., in conseguenza delle peculiarità ora rilevate, maggiore, com'e noto, risulta l'ambito dell'evasione fiscale, di proporzioni notevoli ed allarmanti, con gravissimo pregiudizio per le entrate pubbliche ed i conseguenti effetti negativi sulla politica economica (impossibilita di investimenti, disoccupazione).
Pertanto non é consentita, come vorrebbero i giudici rimettenti, un'automatica trasposizione della pronuncia concernente l 'art . 1 6 alla disposizione dell'art. 26, rispetto alla quale non e affatto irrazionale ne contrasta con i criteri di cui all'art. 97 Cost. che l 'Amministrazione provveda alla notificazione dell'accertamento allorquando, essendo venuta a conoscenza della reale situazione nella pendenza del procedimento tributario, possa concretamente adottare le opportune decisioni.
Una diversa soluzione porterebbe ad assurde ed inammissibili conseguenze, consentendo agli evasori di ottenere un trattamento di favore (come si verificherebbe in alcuni casi considerati dai giudici a quibus, nei quali la Guardia di Finanza aveva accertato medio tempore, dopo l'entrata in vigore del ricordato d.l., evasioni per somme ingenti).
Le superiori considerazioni valgono ovviamente anche per l'art. 53 Cost., indicato dalla Commissione tributaria di Alessandria, mentre fuor di proposito risulta il richiamo all'art. 23, operato dallo stesso giudice, non concernendo tale norma, per ius receptum, la capacita contributiva che é considerata nell'ora ricordato art. 53 Cost.
Lo spostamento del termine operato dalla legge di conversione rispetto alla data di entrata in vigore del d.l. non presenta pertanto, in questo giudizio, i profili di incostituzionalità che condussero alla sentenza n. 175 del 1986, sicchè la censura va rigettata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, come modificato dalla legge di conversione 7 agosto 1982, n. 516, sollevata in riferimento agli artt. 3, 23, 53, 97 della Costituzione, dalle Commissioni tributarie di primo grado di Napoli e di Alessandria e dalla Commissione tributaria di secondo grado di Bologna con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/05/88.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Francesco SAJA, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 19 Maggio 1988.