SENTENZA N. 175
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 16 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429 (norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) come modificato con legge 7 agosto 1982, n. 516, promossi con ordinanze emesse dalle Commissioni tributarie di primo grado di Firenze il 20 dicembre 1983, di Catanzaro il 22 marzo 1984, di Larino il 29 marzo 1984, di Termini Imerese il 20 giugno 1984 (n. 5 ordinanze), di Larino il 5 luglio 1984 e di Bologna il 3 aprile 1984, iscritte ai nn. 810,1094 e 1190 del registro ordinanze 1984, ai nn. 16,17,18,19,20,174 e 284 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 201 del 1984 e nn. 42 bis, 59 bis, 91 bis, 161 bis e 208 bis del 1985.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 22 aprile 1986 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;
udito l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Varie Commissioni tributarie hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 (primo comma) del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, recante "norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria", come modificato dalla legge di conversione 7 agosto 1982, n. 516, nella parte in cui prevede la possibilità per gli uffici finanziari di notificare gli avvisi di accertamento anche in data successiva a quella (14 luglio 1982) dell'entrata in vigore del decreto legge, purché antecedente alla presentazione della dichiarazione integrativa.
Secondo le Commissioni tributarie di primo grado di Firenze, Larino, Bologna e Termini Imerese - che hanno denunciato la disposizione sotto gli stessi profili con ordinanze rispettivamente emesse il 20 dicembre 1983 (Firenze), il 29 marzo ed il 5 luglio 1984 (Larino), il 3 aprile 1984 (Bologna) ed il 20 giugno 1984 (Termini Imerese: cinque identiche ordinanze) - la legge di conversione, discostandosi, con la previsione di cui sopra, dal criterio seguito dal decreto legge di consentire la definizione automatica delle imposte, ai sensi dell'art. 10 del d.l. n. 429 del 1982, a tutti i contribuenti ai quali non fosse stato notificato alcun accertamento alla data di entrata in vigore dello stesso decreto (secondo quanto del resto previsto anche dai precedenti analoghi provvedimenti di cui alla 1. 23 dicembre 1966, n. 1139 ed al d.l. 5 novembre 1973, n. 660), avrebbe illegittimamente rimesso alla discrezionalità degli uffici finanziari la facoltà di notificare o meno un accertamento oltre quella data (purché prima della presentazione della dichiarazione integrativa) e, dunque, di determinare la maggiore o minore onerosità del condono tributario per i contribuenti, ai quali nessun accertamento fosse stato antecedentemente notificato. Da qui l'addotta violazione: dell'art. 3 Cost., in quanto una categoria omogenea di contribuenti avrebbe ricevuto un trattamento giuridico diverso in base alle determinazioni del tutto discrezionali della p. a.; dell'art. 97 Cost., giacché in relazione alla ristrettezza del tempo utile per eseguire gli accertamenti, gli uffici finanziari sarebbero stati sottoposti ad un carico di lavoro sproporzionato ai mezzi di cui disponevano "con effetti indiretti, sfavorevoli e favorevoli, per una categoria omogenea di contribuenti a tutto discapito del principio di imparzialità".
2. - La Commissione tributaria di primo grado di Bologna afferma in particolare che "la delimitazione della sfera giuridica della p. a. in materia di imposizione, e tanto più di agevolazioni tributarie, non può essere, mai, discrezionale", tanto che il Ministero delle finanze - si sostiene in ordinanza - "si é imposto dei criteri di obiettività, lasciando addirittura alla sorte la scelta dei soggetti da esaminare a campione".
3. - La stessa disposizione é stata altresì denunciata dalla Commissione tributaria di primo grado di Catanzaro con ordinanza emessa il 22 marzo 1984, ma anche sotto un ulteriore profilo in relazione all'art. 3 Cost. ed in riferimento all'ulteriore parametro di cui all'art. 53 Cost..
Si afferma in ordinanza che l'art. 16 d.l. n. 429 del 1982, nel testo modificato dalla legge di conversione, darebbe luogo anche ad una disparità di trattamento dei contribuenti che intendono definire le proprie posizioni fiscali in materia di imposte dirette rispetto a quelli le cui posizioni fiscali riguardano le imposte di registro, successione, donazione ed INVIM, giacché, irragionevolmente, soltanto i primi risulterebbero esposti ad accertamenti sino alla data di presentazione della dichiarazione integrativa di cui all'art. 14 del d.l. cit., in violazione anche del principio "di equità del concorso alla spesa pubblica in ragione della capacità contributiva di ognuno" (art. 53 Cost.).
L'esattezza di tali considerazioni risulterebbe avallata - conclude l'ordinanza - dalle decisioni adottate dalla Corte costituzionale con sentenze n. 85 del 1965, n. 121 del 1967 e n. 96 del 1980.
4. - L'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, é intervenuta in tutti i giudizi, esclusi solo quelli proposti dalla Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese con ordinanze nn. da 17 a 20 del reg. ord. dell'anno 1985, peraltro identiche all'ordinanza n. 16 del reg. ord. dello stesso anno, emessa nella stessa data.
A sostegno della prospettata infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale l'Avvocatura, affermata l'evidenza della diversità della posizione in cui versa il contribuente cui sia stato notificato un atto di accertamento rispetto a colui che nessun accertamento abbia invece subito, ritiene del tutto razionale che la definizione agevolata della pendenza avvenga tenendo conto, nel primo caso, anche dell'imponibile accertato e, nel secondo, solo dell'imponibile dichiarato. La circostanza, del resto, che al momento in cui viene a maturarsi il termine iniziale per presentare la dichiarazione il contribuente abbia o meno ricevuto l'avviso di accertamento dipende esclusivamente dai tempi del procedimento amministrativo d'accertamento di imposta e, dunque, da circostanze oggettive che la Corte costituzionale ha, in altre occasioni, ritenuto pienamente giustificative di una diversità di trattamento (sentenze n. 6 e n. 32 del 1976 e n. 96 del 1980). E la considerazione che l'amministrazione finanziaria, accelerando o ritardando i procedimenti d'accertamento, possa arrecare discrezionalmente vantaggi o svantaggi sarebbe solo un'affermazione priva d'ogni riscontro.
Quanto alla razionalità della soluzione adottata dal legislatore con la legge di conversione, l'Avvocatura osserva che perplessità in ordine alla sua legittimità costituzionale avrebbe se mai potuto suscitare quella adottata dal decreto legge. Negare, invero, ogni efficacia all'accertamento eseguito dall'ufficio, anche se al limitato fine di considerarlo uno dei parametri per la definizione agevolata, avrebbe comportato "uno spreco di attività amministrativa che é proprio la negazione del precetto costituzionale sul buon andamento della pubblica amministrazione". Né la sospensione della potestà di accertamento disposta dal decreto legge 5 novembre 1973, n. 660, può giustificare alcun argomento in contrario, attesa la peculiarità del contesto nel quale quella legge fu emanata (passaggio dal vecchio al nuovo sistema tributario).
In ordine alla diversità della disciplina dettata per la definizione delle pendenze relative alle imposte di registro, di successione e sull'incremento di valore degli immobili, l'Avvocatura assume che la profonda diversità delle situazioni regolate non consente alcun utile raffronto, atteso il carattere meramente estimativo delle valutazioni che l'ufficio in tali casi compie con gli accertamenti di maggior valore, che non comportano "indagini complesse ed il cui differimento non produce rilevanti conseguenze sullo svolgimento dell'attività dell'ufficio accertatore".
Considerato in diritto
1. - La questione su cui la Corte é chiamata a pronunciarsi risulta sollevata con dieci ordinanze, emesse tutte da Commissioni tributarie di primo grado, e precisamente: una, rispettivamente, da quella di Firenze il 20 dicembre 1983 (r.o. 810/1984), di Catanzaro il 22 marzo 1984 (r.o. 1094/19841, di Bologna il 3 aprile 1984 (r.o. 284/1985), due da quella di Larino il 29 marzo 1984 (r.o. 1190/1984) ed il 5 luglio 1984 (r.o. 174/1985), e cinque da quella di Termini Imerese il 20 giugno 1984 (r.o. 16, 17, 18, 19 e 20 del 1985). Dette ordinanze si accomunano, sia per la norma impugnata - l'art. 16 del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, e più propriamente come modificato con la legge di conversione 7 agosto 1982, n. 516 - , sia per i parametri costituzionali invocati - gli artt. 3 e 97 Cost. - , giacché solo la Commissione tributaria di Catanzaro invoca anche l'art. 53 Cost.. Conseguentemente, i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Il decreto legge n. 429 del 1982, recante "norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria", stabiliva (art. 14) - con riguardo alle imposte sul reddito delle persone fisiche e giuridiche e su quella locale sui redditi - che i contribuenti i quali avevano lasciato scadere il termine per la presentazione della dichiarazione annuale, ed intendevano ottenere la definizione agevolata delle loro pendenze, erano "ammessi a presentare", "entro il mese di novembre 1982", "dichiarazioni integrative in luogo di quelle omesse e per rettificare in aumento quelle già presentate". All'uopo, distingueva tra definizione in assenza di accertamento e definizione in presenza di accertamento. Nel primo caso (art. 19), non solo i contribuenti godevano della "definizione automatica", che si risolveva nel versamento, per ciascun periodo, di "una maggiore imposta", rispetto alla dichiarazione integrativa, "di almeno 50.000 lire, elevato a lire 300.000 per i titolari di redditi di impresa" sino a lire 600.000 "per i soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche", ma la dichiarazione integrativa produceva l'effetto di impedire la notifica di futuri accertamenti. Nel secondo caso (art. 16), viceversa, che si verificava ove l'accertamento fosse stato notificato "anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto", la definizione della controversia era possibile, se la dichiarazione integrativa recava un imponibile non inferiore a quello determinato, "riducendo l'imponibile accertato dall'ufficio di un importo pari al quaranta per cento della differenza tra l'imponibile stesso e quello dichiarato dal contribuente e di un ulteriore importo pari al venticinque per cento dell'imponibile dichiarato", ovvero "di un importo pari al trenta per cento" rispetto all'imponibile accertato, ove si trattasse di omessa dichiarazione.
In sede di conversione, tuttavia, vennero modificati, sia l'art. 14, secondo comma, introducendosi, accanto al termine finale, anche un termine iniziale ("tra il 10 e il 30 novembre 1982"), sia l'art. 16, primo comma, stabilendosi che potevano ottenere la definizione automatica i contribuenti, ai quali l'accertamento fosse stato notificato, non più anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legge (14 luglio 1982) bensì "anteriormente alla data di presentazione della dichiarazione integrativa". E poiché questa, da redigersi, a pena di nullità, su appositi modelli predisposti dal Ministro delle finanze, non poteva essere presentata prima del 10 novembre 1982, dallo spostamento delle suddette date derivò la conseguenza che, potendo gli uffici finanziari operare e notificare accertamenti anche dopo l'entrata in vigore del decreto legge - in concreto, per oltre quattro mesi, dal 14 luglio al 30 novembre 1982 - , l'eventualità di essere "accertato" e, quindi, la possibilità di avvalersi, o meno, della definizione automatica dipendevano dalla scelta discrezionale compiuta di volta in volta dai singoli uffici nei confronti di alcuni contribuenti, anziché di altri.
3. - Secondo tutti i giudici a quibus, il sistema risultante dalle modifiche apportate dalla legge di conversione al decreto legge violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., cioé i princìpi di eguaglianza e di imparzialità della pubblica amministrazione, ma anche (secondo la Commissione tributaria di Catanzaro) l'art. 53 Cost., cioé il principio del concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva. Ed invero - si legge nelle ordinanze - , mentre a sensi della formulazione originaria dell'art. 16 del decreto legge n. 429 del 1982 "tutti i contribuenti "non accertati" alla data del 14 luglio potevano seguire la via della definizione automatica", "ciò non é più possibile una volta che l'amministrazione finanziaria, procedendo agli accertamenti dopo il 14 luglio 1982", divide "in due la categoria dei contribuenti", in quanto discrimina "gli " accertati " dai non accertati senza alcuna valida ragione" e, quindi, consente solo a questi ultimi di avvalersi della definizione automatica. Tale discriminazione "deriverebbe esclusivamente da un fatto della pubblica amministrazione, lasciata arbitra di rettificare o meno i redditi dichiarati da alcuni contribuenti a differenza dei redditi dichiarati da altri od omessi", nonostante che le norme tributarie non possano "non possedere il carattere di assoluta imparzialità ed inderogabilità". Ma la disparità di trattamento fra contribuenti si verificherebbe anche secondo che si tratti di imposte dirette o di imposte di registro, sulle successioni e donazioni, nonché sull'incremento di valore degli immobili, giacché per queste ultime rimaneva precluso agli uffici di notificare accertamenti dopo l'entrata in vigore del decreto legge.
4. - La questione deve ritenersi fondata.
Sembra innegabile, infatti, che la disposizione impugnata determina una differente imposizione, cioé una disparità di trattamento fra soggetti che versavano nell'identica situazione iniziale, e che tale ineguaglianza risulta priva di ragionevolezza. In pratica, alcuni contribuenti sono ammessi alla definizione automatica, perché l'ufficio finanziario competente ha omesso - non importa se per inerzia o per altro motivo - di notificare l'accertamento, altri hanno soltanto la possibilità di aderire all'accertamento loro notificato, sia pure con la riduzione prevista dalla legge, sicché gli uffici finanziari - per di più con condotta difforme gli uni dagli altri - vengono resi arbitri di stabilire quali contribuenti possono beneficiare della definizione agevolata e quali ne vanno esclusi; tanto più che i contribuenti non potevano, come si é detto, presentare dichiarazioni integrative prima del 10 novembre 1982. Non può allora non ricordarsi al riguardo che questa Corte ha avuto modo di affermare (sentenze n. 85 del 1965 e n. 121 del 1967) che si pongono fuori dal principio di ragionevolezza, e perciò violano il principio costituzionale di eguaglianza, i provvedimenti legislativi i quali condizionano la applicazione del c.d. "condono" tributario ad un atto dell'amministrazione finanziaria. E non rileva in contrario l'obiezione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui, poiché ricevere, o meno, l'accertamento dipende dai tempi del procedimento, il congegno sarebbe del tutto razionale, una volta che i richiamati tempi del procedimento dipendono proprio dagli uffici finanziari.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi in epigrafe:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 16 del decreto legge 10 luglio 1982 n. 429 (norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), come modificato con la legge di conversione 7 agosto 1982, n. 516, nella parte in cui consente la notifica di accertamenti in rettifica o d'ufficio sino alla data di presentazione della dichiarazione integrativa, anziché sino alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 429 del 1982.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1986.
Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA
Depositata in cancelleria il 7 luglio 1986.