SENTENZA N.258
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 637 (Disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni), ora art. 14 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1999 dalla Commissione tributaria regionale di Genova, sui ricorsi riuniti proposti da Panni Giorgio contro l'Ufficio del Registro di Genova, iscritta al n. 157 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visti l'atto di costituzione di Panni Giorgio nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 2002 il Giudice relatore Massimo Vari;
uditi gli avvocati Gianni Marongiu e Gianluigi Masnata per Panni Giorgio e l'Avvocato dello Stato Luigi Criscuoli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 24 novembre 1999 ¾ emessa nel corso di un giudizio avente ad oggetto la richiesta, avanzata da un contribuente, di riliquidazione del tributo e di rimborso parziale dell'imposta di successione e dell'INVIM relative al diritto di abitazione decennale a lui attribuito per testamento ¾ la Commissione tributaria regionale di Genova ha sollevato, in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (Disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni), ora art. 14 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni).
2. Il giudice a quo muovendo dalla considerazione del più ampio contenuto che il diritto di usufrutto, limitato o illimitato nel tempo, ha, secondo le norme del codice civile, rispetto all’uso e, segnatamente, all’abitazione (che, nel caso in esame, ha durata decennale), tanto che l'usufruttuario può disporre della cosa, trarne i frutti, cedendo a terzi tutti i diritti personali o reali di godimento in ordine al bene, a differenza del titolare del diritto di abitazione che può solo abitare la casa assieme ai suoi familiari, senza poter cedere ad altri il proprio diritto, e finanche dare all'immobile una diversa destinazione ritiene che la diversità delle situazioni in esame necessiti di una norma tributaria che le consideri secondo la loro effettiva potenzialità economica, liquidando l’imposta sulla base del valore reale del diritto.
La disposizione censurata, invece, "pur in presenza di evidenti, provate e indiscutibili differenze di contenuto economico di questi diritti reali", non li distingue ai fini del calcolo e della liquidazione del tributo di successione, ma attribuisce ad essi lo stesso "valore imponibile", ponendosi perciò in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Ad avviso del rimettente, sarebbe violato, anche, il principio di capacità contributiva (art. 53 della Costituzione), in quanto il presupposto di fatto del diritto di abitazione limitato nel tempo é diverso rispetto a quello dell’usufrutto, con la conseguenza che, essendo il valore imponibile del primo inferiore a quello del secondo, "la relativa imposta non può essere eguale per i due diritti".
Infine, sempre con riferimento al profilo della capacità contributiva, il rimettente lamenta che le disposizioni legislative che disciplinano il calcolo del valore dell’usufrutto non contemplino criteri di abbattimento, adeguamento o perequazione per le ipotesi in cui il diritto secondo un rilievo da considerare valido per tutti e tre i diritti "reali minori" ¾ sia attribuito per un tempo determinato.
3. Si é costituito il ricorrente nel giudizio principale, il quale ha concluso per la fondatezza della questione di legittimità costituzionale.
La parte privata, dopo aver rammentato le facoltà attribuite al titolare del diritto di usufrutto, tra le quali quella della cessione onerosa, che non sono, invece, attribuite al titolare del diritto di abitazione, osserva che situazioni giuridicamente diverse non possono avere un eguale trattamento fiscale.
4. E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, osservato che si tratta di "posizioni giuridiche soggettive caratterizzate per la gran parte dall'applicazione di una disciplina giuridica comune", ha concluso per l’infondatezza della questione, rilevando che "ogni eventuale differenziazione sul piano economico del contenuto dei diritti in esame si riflette principalmente sul piano reddituale, sicchè é nell'ambito della normativa che disciplina le imposte sul reddito che il legislatore ha sentito l'esigenza di intervenire nei sensi auspicati dal giudice" a quo.
5. In prossimità dell’udienza pubblica, hanno depositato memorie il ricorrente nel giudizio principale e la difesa erariale.
5.1. La parte privata osserva che, a differenza del diritto di usufrutto, il quale é un diritto "largamente e ampiamente fruttifero", il diritto di abitazione é, "per definizione, infruttifero". L’usufruttuario, infatti, a differenza del titolare del diritto di abitazione, di norma, può, dietro corrispettivo o diverso vantaggio patrimoniale, concedere ad altri l’uso e il godimento della cosa ovvero l’esercizio del diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata; può costituire diritti reali ovvero trasferire il diritto stesso.
Inoltre, "mentre l’usuario può sfruttare la cosa, se naturalmente fruttifera, tale possibilità non é configurabile" per il titolare del diritto di abitazione, diritto che "riguarda esclusivamente una casa di abitazione e i relativi accessori, pertinenze e accessioni, insomma un bene naturalmente infruttifero".
Oltre a ciò, mentre per il diritto di abitazione la legge prevede "la possibilità che il suo esercizio sia concentrato su parte della casa, restando la parte esuberante ai bisogni dell'habitator nel godimento del proprietario", analoga limitazione non sussiste per il diritto di uso.
5.2. La difesa erariale, per contro, nell'escludere la carenza di razionalità della norma censurata attesa "l'alta simiglianza dei diritti reali considerati", ribadisce che le divergenze sussistenti, sul piano economico, fra i diritti in questione, riguardano la produzione del reddito, sicchè devono essere prese in considerazione da diverse misure fiscali, e, segnatamente, dalle imposte sul reddito, e non dalla imposta sulle successioni. In ogni caso, deve prevalere l'esigenza di semplificazione delle procedure di accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi, ovvero di tempestiva acquisizione del gettito erariale.
Considerato in diritto
1. Con l'ordinanza in epigrafe, la Commissione tributaria regionale di Genova solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (Disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni), ora art. 14 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni).
Secondo il giudice a quo, la disposizione si pone in contrasto:
- con l’art. 3 della Costituzione, in quanto "non prevede alcuna differenza nel calcolo e nella liquidazione del tributo di successione fra i diritti di usufrutto, uso, abitazione, attribuendo ad essi lo stesso valore imponibile, pur in presenza di evidenti, provate e indiscutibili differenze di contenuto economico di questi diritti reali";
- con il principio di capacità contributiva (art. 53 della Costituzione), inteso come "espressione reale del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge", in quanto "il presupposto di fatto del diritto di abitazione limitato nel tempo é certamente diverso rispetto a quello dell’usufrutto", con la conseguenza che, essendo il valore imponibile del primo inferiore a quello del secondo, "la relativa imposta non può essere eguale per i due diritti";
- con il medesimo principio di capacità contributiva, a causa del difetto, "per tutti e tre i diritti reali minori", di "criteri di abbattimento e/o adeguamento e/o perequazione, utilizzabili nella ipotesi ... in cui il diritto sia attribuito per un tempo determinato".
2. La questione non é fondata.
Nel lamentare che la disposizione denunciata sia tale da determinare la irragionevole omologazione di situazioni tra loro non comparabili, il giudice a quo evoca sia l'art. 3, sia l'art. 53 della Costituzione.
Considerato che questo secondo articolo, giusta quanto già affermato da questa Corte, va interpretato come specificazione del generale principio di uguaglianza, il giudizio si incentra, come già altre volte (vedi, in particolare, sentenza n. 89 del 1996), nel verificare le ragioni per le quali una determinata disciplina operi quella specifica equiparazione (oppure, a seconda dei casi, quella specifica distinzione), traendone quindi le debite conclusioni in punto di corretto uso del potere normativo.
Tanto premesso, occorre rilevare che il rimettente, nel censurare la norma, a causa dell'omessa valutazione delle differenze di contenuto del diritto di abitazione rispetto all'usufrutto, non considera che le distinzioni cui le situazioni messe a confronto si prestano sul piano civilistico, segnatamente dal punto di vista delle facoltà di godimento a ciascuna di esse inerenti, non sono trasferibili in modo automatico al campo del diritto tributario. In quest'ambito, non sempre é necessario che il legislatore segua la multiforme varietà che caratterizza le situazioni giuridiche soggettive, dal punto di vista dei beni che ne formano oggetto e dei valori ad essi relativi. Ben può, infatti, il legislatore, pur in presenza di elementi di diversità fra le situazioni considerate, individuare, nei limiti della ragionevolezza, i fattori che le accomunano, per porli a base di un identico regime fiscale.
La stessa disciplina catastale, più volte scrutinata da questa Corte e ritenuta non incostituzionale (v. sentenze n. 16 del 1965 e n. 263 del 1994), dimostra, nella sua configurazione di procedimento di determinazione dei valori fondiari secondo criteri tipici forfettari, che il legislatore non sempre segue le pieghe della variabilità dei valori stessi, ma può, invece, sottoporre a tassazione, in maniera uniforme, senza collidere con la Costituzione, beni che, sul mercato, possono riscuotere un differente apprezzamento e, quindi, risultare anche di diverso rilievo economico.
Avuto riguardo ai predetti margini di discrezionalità, non può, pertanto, reputarsi lesivo, nè dell'art. 3, nè dell'art. 53 della Costituzione, il fatto che il legislatore, nell’assoggettare ad imposizione tributaria le situazioni poste a raffronto dall'ordinanza, abbia riservato al diritto di abitazione lo stesso trattamento dell'usufrutto, facendo prevalere gli elementi di affinità che, quanto al contenuto del diritto, indubbiamente sussistono tra le due situazioni giuridiche soggettive, come del resto é confermato, anche sul piano civilistico, dall'applicabilità, espressamente prevista dall'art. 1026 del codice civile, delle disposizioni concernenti l'usufrutto all'uso e all'abitazione, nei limiti della loro compatibilità. E ciò basta per ritenere non irragionevole la reductio ad unitatem, operata dal legislatore fiscale, di due diritti civilisticamente diversi.
La non irragionevolezza di una valutazione unitaria risulta, altresì, dalla circostanza che, nella normalità dei casi, il nudo proprietario si trova in una posizione di sostanziale indifferenza rispetto all'uno ovvero all'altro dei diritti reali in questione, sì che l'ipotetico minor introito fiscale connesso al diritto di abitazione non potrebbe compensarsi incrementando la tassazione della nuda proprietà.
3. Neppure fondata é la censura concernente la mancanza nella norma denunciata di criteri atti a commisurare, per tutti e tre i diritti reali, l'imposizione fiscale alla maggiore o minore durata di essi nel tempo. E ciò a causa dell'erroneità del presupposto da cui muove l’ordinanza, sfuggendo evidentemente al rimettente che l'art. 23 del d.P.R. n. 637 del 1972 (ora art. 17 del decreto legislativo n. 346 del 1990), proprio per meglio adeguare la tassazione al bene goduto, stabilisce diversi coefficienti di calcolo della base imponibile a seconda, per l'appunto, della durata nel tempo del diritto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (Disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni), ora art. 14 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Genova, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2002.