ORDINANZA N.241
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 5, della legge della Regione Lazio 12 settembre 1994, n. 39 (Individuazione delle strutture organizzative degli Istituti per il diritto allo studio universitario - Idisu del Lazio e determinazione dell'organico del ruolo del personale degli istituti), promossi con sei ordinanze emesse il 7 dicembre 2000 dal Tribunale amministrativo del Lazio, rispettivamente iscritte ai nn. da 602 a 607 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visti gli atti di costituzione di Petruio Michele, Ferruzzi Sabatino, Pochinu Carta Vincenza, nonchè gli atti di intervento della Regione Lazio;
udito nell'udienza pubblica del 26 marzo 2002 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;
udito l'avvocato Paolo Montaldo per Petruio Michele, Ferruzzi Sabatino, Pochinu Carta Vincenza e l'avvocato Mario Racco per la Regione Lazio.
Ritenuto che nel corso di identici giudizi, promossi innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio da ex dipendenti Idisu (Istituto per il Diritto allo Studio Universitario), tendenti ad ottenere il riconoscimento del diritto alla percezione dei benefici economici derivanti dal reinquadramento nei ruoli della Regione Lazio ai sensi della legge regionale 12 settembre 1994, n. 39 (Individuazione delle strutture organizzative degli Istituti per il diritto allo studio universitario - Idisu del Lazio e determinazione dell'organico del ruolo del personale degli istituti), con decorrenza 1° febbraio 1981, con interessi e rivalutazione, il Collegio adito, accogliendo la relativa eccezione delle parti ricorrenti, ha sollevato, con sette ordinanze di identico contenuto, decise il 7 dicembre 2000 e pubblicate il 5 aprile 2002 (r.o. da nn. 602 a 607 del 2001), in riferimento agli artt. 3, 36 primo comma, e 97, primo comma, questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 5, della citata legge regionale n. 39 del 1994;
che il giudice a quo ricostruisce l'assetto normativo, delineatosi nel tempo con riguardo alla disciplina relativa al personale dipendente della Regione Lazio ed, in particolare, prima a quello appartenente alle Opere universitarie e, poi, all'Istituto sopra menzionato, con inizio dalla legge della Regione Lazio 17 gennaio 1981, n. 5 (Attuazione del diritto allo studio universitario), che aveva stabilito in favore di detto personale l'applicazione, a decorrere dal 1° novembre 1979, della disciplina sullo stato giuridico ed economico dei dipendenti regionali, a cui faceva seguito la legge regionale 7 marzo 1983, n. 14 (Norme per l'attuazione del diritto allo studio nell'ambito universitario) istitutiva degli Idisu, nel cui ruolo veniva inserito il personale delle ex Opere Universitarie trasferito alla Regione Lazio ex d.P.R. n. 616 del 1977. E' seguita la legge regionale 25 marzo 1988, n. 15 (Reinquadramento del personale già inquadrato alla Regione con leggi regionali n. 2 e n. 3 del 15 gennaio 1983), che stabiliva il trattamento economico-giuridico in favore del personale inquadrato nei nuovi ruoli regionali, con decorrenza 1° febbraio 1981, fino alla legge regionale 12 settembre 1994, n. 39, volta a risolvere i vari problemi sorti in sede di applicazione delle leggi sopra riportate ed a realizzare l’attesa perequazione, con estensione, anche al personale di ruolo degli Idisu, il trattamento di cui alla legge regionale n. 15 del 1988;
che con tale ultima legge, tuttavia, l’attesa perequazione si sarebbe realizzata solo parzialmente, poichè i benefici previsti dalla surriferita legge n. 15 del 1988 sono stati estesi al personale in questione solo ai fini giuridici - con il riconoscimento del possesso della professionalità connessa ad una superiore qualifica funzionale dal 1° febbraio 1981 - e non anche a quelli economici;
che così delineato il quadro normativo di riferimento, il giudice a quo pone l’accento sulla rilevanza della questione nel giudizio in corso, sottolineando che, alla luce della chiara disposizione legislativa, le richieste dei ricorrenti non potrebbero essere accolte, difettando al sistema giurisdizionale il potere di disapplicare una disciplina introdotta con una disposizione di legge;
che, ad avviso del giudice rimettente, tale disciplina contrasterebbe con l’art. 3 della Costituzione, poichè non rispettosa del principio di eguaglianza e di perequazione; infatti la disposizione in questione non eliminerebbe le sperequazioni esistenti tra i vari dipendenti regionali, in quanto indica, come decorrenza economica, una data meno vantaggiosa per i ricorrenti rispetto agli originari destinatari della legge n. 15 del 1988 e non soddisfa le esigenze, peraltro condivise dal legislatore, come si evince dai lavori preparatori, di eliminare le discriminazioni a danno degli ex dipendenti Idisu;
che, inoltre, la norma denunciata comporterebbe, sempre secondo il giudice rimettente, la violazione dell’art. 36, primo comma, della Costituzione, poichè la retribuzione non sarebbe adeguata o proporzionale alle qualità professionali, di cui é pur riconosciuta la sussistenza, dalla data di decorrenza giuridica dell’inquadramento;
che, infine, secondo il Tar, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 97, primo comma, della Costituzione, atteso che il principio di buon andamento e di imparzialità ivi indicato é un principio di carattere generale dell’ordinamento, mentre, nella specie, non sembrerebbe adeguatamente rispettato; infatti, la norma in questione continuerebbe a mantenere inalterata, sotto il profilo economico, la situazione discriminatoria, che pur il legislatore aveva ritenuto irragionevole, ma che, tuttavia, non ha eliminato;
che nei giudizi introdotti con le ordinanze nn. 602 e 603 del 2001 si é costituita la Regione Lazio, che ha concluso per la infondatezza della questione sollevata;
che, secondo la Regione, il diverso trattamento spettante ai dipendenti del ruolo Idisu non costituirebbe una discriminazione irragionevole ed arbitraria, poichè corrisponderebbe ad una oggettiva diversità delle situazioni; in particolare, la scelta dei tempi e dei modi per realizzare una tendenziale omogeneità nel trattamento dei diversi ruoli del personale regionale sarebbe rimessa alla discrezionalità del legislatore regionale e non sarebbe irragionevole la decisione di graduare nel tempo l’attuazione di tale omogeneizzazione, attraverso una norma di carattere transitorio;
che in ordine alla pretesa violazione dell’art. 36, primo comma, della Costituzione, la Regione rileva che non sarebbe possibile instaurare un raffronto significativo tra prestazioni svolte da dipendenti regionali per amministrazioni distinte, dotate di organizzazione diversa e svolgimento di funzioni diverse, nè, peraltro, la norma costituzionale stabilirebbe un principio giuridico di comparazione intersoggettiva;
che, infine, in relazione alla pretesa violazione dell’art. 97 della Costituzione, la Regione assume che il buon andamento sarebbe stato pregiudicato qualora si fosse addivenuti, per l’adeguamento retroattivo delle retribuzioni, ad una rilevantissima spesa per le finanze regionali;
che nei giudizi introdotti con le ordinanze nn. 604, 605 e 607 si sono costituiti i rispettivi ricorrenti nei giudizi a quo, che hanno concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa impugnata;
che nell'imminenza della data fissata per la pubblica udienza la Regione Lazio ha depositato memorie, con le quali insiste per le conclusioni già rassegnate nell'atto di costituzione, ponendo in rilievo la diversità delle situazioni esistenti tra i dipendenti del ruolo Idisu ed altre categorie di dipendenti della Regione stessa, nonchè l'ampia discrezionalità riservata al legislatore nella realizzazione della perequazione tra dette categorie e il carattere transitorio della disciplina in questione;
che anche le parti private costituite (r.o. nn. 604, 605 e 607) hanno depositato memorie, con cui insistono nelle conclusioni già rassegnate, illustrandole ampiamente.
Considerato che stante la identità delle questioni si può procedere alla riunione dei giudizi;
che questa Corte ha avuto modo di precisare, con riferimento agli artt. 36 e 97 della Costituzione, che la scelta in concreto dei meccanismi di perequazione é riservata al legislatore ordinario (v. ordinanza n. 439 del 2001), chiamato a compiere il bilanciamento tra le varie esigenze nel quadro della politica economica generale e delle disponibilità finanziarie e che questa valutazione va operata non nel senso di un doveroso, costante allineamento, ma nel senso che il verificarsi di un macroscopico ed irragionevole scostamento é indice sintomatico della non idoneità del meccanismo, in concreto prescelto, a preservare la sufficienza dei trattamenti per assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa (sentenza n. 126 del 2000; ordinanza n. 254 del 2001);
che la finalità di omogeneizzazione e perequazione di trattamenti di varie categorie di dipendenti devono portare ad una armonizzazione tra loro, con caratteristiche e qualità di trattamento e attribuzioni non divergenti, in una unità di disegno complessivo; tuttavia nella fase di transizione - come quella per cui si controverte, che presupponeva precedenti divergenze e divaricazioni di ordinamenti e di trattamento economico - potevano persistere diversità, proprio in relazione ai differenti punti di partenza, per arrivare alla omogeneizzazione perequativa complessiva, attuata con il sistema a regime (sentenza n. 451 del 2000);
che queste anteriori e preesistenti diversità di situazioni, anche in relazione alle differenze originarie di ordinamento e di funzioni, come giustificavano un regime differenziato di passaggio transitorio, così non possono comportare, in questo periodo transitorio, un trattamento economico non proporzionato alla qualità e quantità del lavoro prestato (ordinanza n. 451 del 2000), a parte la considerazione - anche essa decisiva - che non é configurabile un raffronto significativo tra prestazioni svolte da dipendenti regionali di distinte amministrazioni, con caratteristiche differenti di organizzazione di funzioni;
che, sotto i profili dell’art. 97 e dell’art. 3 della Costituzione, le lamentate differenze, in regime transitorio, dell'assetto giuridico-organizzativo, attribuito con effetti retroattivi meramente figurativi, rispetto alla non retroattività del mutato trattamento economico per un periodo trascorso, in cui la realtà delle prestazioni lavorative é stata effettuata secondo l’ordinamento e l’inquadramento preesistenti, non comportano, di per sè, alcuna lesione sia al principio di eguaglianza sia al buon andamento della pubblica amministrazione (ordinanze n. 451 e n. 296 del 2000);
che il beneficio della retroattività della decorrenza giuridica delle posizioni di inquadramento (retroattiva e meramente figurativa) disposto secondo una scelta discrezionale del legislatore, non può produrre - sul piano costituzionale - un obbligo, per lo stesso legislatore, di dare un analogo beneficio sul piano retributivo, che comporterebbe retroattivi aumenti del trattamento economico per prestazioni effettuate con ordinamento, inquadramento e corrispondenti funzioni non coincidenti;
che non é manifestamente irragionevole o palesemente arbitraria la scelta del legislatore di graduare nel tempo la concessione e la retroattività di benefici economico-retributivi, anche diversamente rispetto a quelli giuridici e di inquadramento (per di più retroattivi), in una fase di attuazione progressiva della omogeneizzazione dei trattamenti di personale, appartenente a differenti ruoli e quindi con diverse provenienze;
che, ai fini anzidetti della valutazione della ragionevolezza, giova sottolineare che una retroattività, estesa agli effetti economici degli inquadramenti di cui alla norma denunciata, e cioé dal 1981 al 1994 (data di entrata in vigore della legge) determinerebbe effetti finanziari, tutt’altro che a costo zero - come sostenuto dalle parti private -, in quanto la previsione della spesa attualmente derivante dalla legge regionale n. 39 del 1994, si noti senza effetti economici retroattivi per gli inquadramenti, ammonta a un miliardo di lire per il solo anno 1993 e che, conseguentemente, la richiesta estensione della retroattività degli effetti economici determinerebbe una situazione incostituzionale di sfondamento notevolissimo di copertura finanziaria, non rimediabile con i normali assestamenti di bilancio;
che, pertanto, la questione denunciata é manifestamente priva di fondamento sotto tutti i profili denunciati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 5, della legge della Regione Lazio 12 settembre 1994, n. 39 (Individuazione delle strutture organizzative degli Istituti per il diritto allo studio universitario - Idisu del Lazio e determinazione dell'organico del ruolo del personale degli istituti), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2002.