SENTENZA N.237
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 31 gennaio 1996 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall’on. Umberto Bossi nei confronti di Fernando Dalla Chiesa, promosso con ricorso della Corte d’appello di Milano, sezione IV penale, notificato il 18 gennaio 2001, depositato in cancelleria il 1° febbraio 2001 e iscritto al n. 7 del registro conflitti 2001.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 9 aprile 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
1. – La Corte d’appello di Milano, sezione IV penale, ha proposto, con ordinanza del 2 ottobre 2000 pronunciata nel corso di un giudizio penale nei confronti del deputato Umberto Bossi, ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro la Camera dei deputati in relazione alla deliberazione, da quest’ultima adottata nella seduta del 31 gennaio 1996, che ha dichiarato che i fatti per i quali l’on. Bossi era sottoposto al procedimento penale costituivano opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni di parlamentare con conseguente insindacabilità ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
I fatti in relazione ai quali é stata adottata la citata delibera consistono – secondo quanto espone la ricorrente – nelle seguenti frasi, pronunciate dal parlamentare nei confronti di Fernando Dalla Chiesa, nel corso di un comizio tenutosi a Milano il 18 giugno 1993 in occasione della campagna elettorale per l’elezione del sindaco: "... quello é un ipocrita fatto e finito, un uomo dalla lunga faccia ... lo statalismo a Milano é rappresentato dallo schieramento di Dalla Cosa Nostra, io lo chiamo Dalla Cosa Nostra e poi mi piace il ragionamento che fa Dalla Cosa Nostra quando dice che lui é stato il migliore anticlassista ... però io non sapevo che lui era in Parlamento, io non sapevo neppure che Dalla Cosa Nostra fosse in Parlamento, perchè in un anno ha parlato due volte leggendo il fogliettino ... ma per cambiare il mondo deve avere le masse, deve avere i voti, non essere rappresentante di un partito da prefisso telefonico La Rete, un partito che io ritengo qui oggettivamente mafioso, che vive in una realtà che non c’entra niente con la democrazia, che non c’entra niente con l’Europa verso cui vogliamo andare, verso cui la stessa Sicilia vuole andare ... ho saputo solo quando é capitato in lista a Milano che esisteva in Parlamento un tal Dalla Cosa Nostra ... rispunta (lo statalismo a Milano) e gioca le carte di un uomo come Dalla Cosa Nostra che può grazie al cognome e non grazie ai meriti personali...".
1.1. – La ricorrente premette che – nel corso del giudizio d’appello avverso la sentenza di condanna del deputato Umberto Bossi per il reato di diffamazione aggravata in danno di Fernando Dalla Chiesa – la Corte d’appello di Milano, sezione III penale, aveva sollevato, con ricorso del 26 luglio 1996, un primo conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro la suddetta deliberazione della Camera dei deputati.
Tale conflitto, dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 339 del 1996, era stato successivamente dichiarato improcedibile con la sentenza n. 449 del 1997, poichè il deposito del ricorso era stato effettuato oltre il termine di venti giorni dalla notifica, stabilito dall’art. 26, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
A seguito di tale pronuncia la Corte d’appello di Milano aveva a sua volta dichiarato l’improcedibilità, in base all’art. 68, primo comma, della Costituzione, dell’azione penale nei confronti di Umberto Bossi.
La Corte di cassazione, adìta con ricorso della parte civile, con sentenza del 27 aprile – 10 maggio 2000, n. 777, aveva annullato con rinvio la suddetta sentenza d’appello, ritenendo viziata da illogicità la motivazione del giudice che aveva ritenuto applicabile l’art. 68, primo comma, della Costituzione, pur in assenza di una pronuncia della Corte costituzionale che risolvesse nel merito il conflitto in senso favorevole al parlamentare imputato. In particolare, poi, la Cassazione censurava la motivazione della sentenza nella parte in cui – in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale che esclude esservi alcun termine di decadenza per sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – ne escludeva la possibile riproposizione.
1.2. – La ricorrente, giudice del rinvio nel medesimo procedimento penale, afferma ora di non potersi esimere dal sottoporre nuovamente alla Corte costituzionale "la soluzione della situazione di contrapposizione tra l’organo giudicante e l’assemblea parlamentare" cui appartiene l’imputato, considerato che la Corte di cassazione si é "inequivocabilmente" espressa nel senso che sia possibile la riproposizione del conflitto tra poteri.
Nel merito, la Corte d’appello di Milano, ricordando che la recente giurisprudenza della Corte costituzionale ha "notevolmente limitata" la prerogativa dell’insindacabilità del parlamentare, restringendo l’ambito di applicazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, rileva che la funzione parlamentare non può costituire una sorta di piena e costante insindacabilità in sede giurisdizionale dei componenti delle Camere, qualora comportamenti di carattere diffamatorio posti in essere da parlamentari abbiano dato luogo ad un procedimento penale in seguito a querela di terzi e l’organo giudicante ritenga i fatti riconducibili non al parametro invocato dalla Camera bensì all’art. 21 della Costituzione.
Secondo la ricorrente, inoltre, la delibera di insindacabilità della Camera dei deputati non é adeguatamente motivata quanto alla ritenuta appartenenza del contesto in cui sono state pronunciate le dichiarazioni - un comizio di partito per elezioni amministrative – all’ambito delle funzioni parlamentari in senso proprio.
Alla stregua di tali rilievi, la Corte d’appello dispone "che gli atti siano rimessi alla Corte costituzionale per la soluzione del conflitto" così sollevato.
2. – Il conflitto é stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 10 del 2001.
3. – Si é costituita in giudizio la Camera dei deputati, chiedendo che il conflitto sia dichiarato improcedibile, inammissibile e irricevibile e in via subordinata chiedendo che venga dichiarato che spettava alla Camera dei deputati affermare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’on. Umberto Bossi nei confronti di Fernando Dalla Chiesa in occasione del comizio tenuto a Milano il 18 giugno 1993.
3.1. ─ Preliminarmente, la resistente deduce che l’ordinanza sarebbe carente dei requisiti stabiliti per il ricorso che propone un conflitto di attribuzione dall’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. In particolare l’atto introduttivo – non un vero e proprio ricorso, ma un’ordinanza – non conterrebbe la specifica indicazione del petitum, poichè non sarebbe stata formulata nè la richiesta che la Corte costituzionale dichiari non spettare alla Camera il potere di qualificare come insindacabili le opinioni contestate, nè la richiesta di annullare la delibera adottata dall’Assemblea il 31 gennaio 1996.
3.2. ─ Il conflitto sarebbe inoltre inammissibile o improponibile perchè la Corte d’appello di Milano "mira semplicemente alla riproposizione di un conflitto già dichiarato inammissibile in precedenza". La mancata previsione di un termine di decadenza per la proposizione del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sarebbe, infatti, giustificata dalla natura politica del conflitto, che però non sussisterebbe in riferimento a quelli sollevati dall’autorità giudiziaria, per i quali si impone l’esigenza di una giustizia certa e sollecita.
A tale proposito la difesa della Camera sostiene che, in assenza di un termine, il conflitto può essere proposto in qualunque momento, ma, una volta proposto, esso é soggetto alle "regole comuni di qualunque giudizio contenzioso ad impulso di parte". Richiamata la giurisprudenza costituzionale che ha costantemente dichiarato improcedibile il conflitto qualora il ricorso non sia stato depositato entro venti giorni dall’ultima notifica, la resistente osserva che la perentorietà del termine ha senso solo se la conseguenza della sua inosservanza é definitiva, perchè, a ritenere diversamente, si dovrebbe ammettere la possibilità, per il ricorrente, di "proporre e riproporre a piacimento" il conflitto, incontrando soltanto, in tale "regno della massima informalità", il termine perentorio previsto "per un semplice deposito".
Il giudizio di ammissibilità aprirebbe una, e una sola, seconda fase del giudizio e, ove questa si concluda, niente potrebbe consentire di riaprirla, a meno di non ritenere inutiliter data la precedente decisione di improcedibilità, in violazione del principio di intangibilità del giudicato costituzionale (art. 136 della Costituzione).
A sostegno di tali considerazioni la difesa della Camera richiama la giurisprudenza costituzionale che definisce il principio di certezza nei rapporti giuridici un elemento essenziale dello Stato di diritto. Tale principio verrebbe "irrimediabilmente distrutto" dalla possibilità di riproporre i conflitti tra poteri dello Stato, che lascerebbe indefinitamente aperta ogni controversia ledendo l’interesse alla delimitazione della sfera di attribuzioni assegnata a ciascun potere.
3.3. ─ Ulteriore ragione di inammissibilità del ricorso risiederebbe nella omessa dimostrazione, da parte della Corte d’appello, del suo interesse a ricorrere.
3.4. – Nel merito, la Camera dei deputati deduce che, secondo la giurisprudenza costituzionale, il nesso tra le opinioni e l’esercizio della funzione parlamentare sussisterebbe anche allorchè sia identificabile un "complessivo contesto parlamentare" nel quale le opinioni sono state espresse. Tale contesto, nel caso di specie, risulterebbe dalle numerose interpellanze e interrogazioni e dagli interventi parlamentari che hanno avuto ad oggetto il tema dello "statalismo" e la critica ad esso rivolta dalla Lega Nord.
Le opinioni manifestate dall’on. Bossi in un comizio, "tipica occasione pubblica e politica", sarebbero legate da un inscindibile nesso funzionale ad atti tipici del mandato parlamentare, in quanto attività riconducibili al proselitismo, alla propaganda e alla pubblica discussione politica che costituirebbero la proiezione esterna dell’attività parlamentare. Tali opinioni sarebbero perciò, ad avviso della resistente, nient’altro che l’esternazione di una posizione politica assunta in Parlamento mediante atti tipici della funzione.
La difesa della Camera sostiene infine che l’unico vizio contestato dalla ricorrente sarebbe la carenza di motivazione della deliberazione parlamentare, ma l’infondatezza di tale censura emergerebbe dalla considerazione che l’Assemblea, dovendosi pronunciare sulla relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha assunto la relativa motivazione quale fondamento delle proprie valutazioni.
4. ─ In prossimità dell’udienza la Camera dei deputati ha depositato una memoria nella quale ha ribadito le argomentazioni esposte nell’atto di costituzione, richiamando a sostegno delle proprie conclusioni la più recente giurisprudenza costituzionale sui requisiti di ammissibilità del conflitto tra poteri.
Considerato in diritto
1. ─ Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato é stato sollevato dalla Corte d’appello di Milano, sezione IV penale, nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione, assunta dall’Assemblea nella seduta del 31 gennaio 1996 (documento IV-quater, n. 1), che ha stabilito che le dichiarazioni - precisate in dettaglio nella parte narrativa - contestate al deputato Umberto Bossi a titolo di reato di diffamazione in danno di Fernando Dalla Chiesa nel procedimento penale in corso innanzi al predetto collegio rientrano nella previsione normativa dell'art. 68, primo comma, della Costituzione e sono pertanto da considerare insindacabili.
2. ─ Il ricorso per conflitto di attribuzione é inammissibile.
3. ─ La fase preliminare di delibazione, in camera di consiglio, di questo giudizio si é conclusa con una pronuncia di ammissibilità (ordinanza n. 10 del 2001), che ha lasciato peraltro "impregiudicata ogni ulteriore decisione". Ora questa Corte é chiamata a pronunciarsi definitivamente, con cognizione piena e nel contraddittorio delle parti, su tutti i profili del conflitto.
Del tutto prioritario é il rilievo che, nel caso in esame, il ricorrente non ha assolto compiutamente all’onere, dal cui adempimento dipende la valida instaurazione del giudizio, di precisare, nell’atto di promovimento del conflitto, l’oggetto della pretesa che intende fare valere (sentenze n. 31 e n. 15 del 2002, n. 364 e n. 363 del 2001). È infatti carente l'indicazione del petitum, giacchè la Corte d’appello di Milano si limita ad affermare di non potersi esimere dal sottoporre nuovamente alla Corte costituzionale "la soluzione della situazione di contrapposizione" con l’Assemblea parlamentare cui appartiene l’imputato, senza prospettare alcuna specifica forma di rivendicazione o di menomazione dell'attribuzione costituzionale in contestazione, da cui far dipendere il conseguente annullamento dell'atto asseritamente lesivo.
La carenza rilevata comporta pertanto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dalla Corte d’appello di Milano, sezione IV penale, nei confronti della Camera dei deputati con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2002.