Sentenza n. 221 del 2002

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SENTENZA N. 221

ANNO 2002

 

Commento alla decisione di

 

Antonio Di Marco Pizzongolo

La Presidenza del Consiglio dei Ministri alla prova della sentenza della Corte Costituzionale n. 221 del 29 maggio 2002

 

(per gentile concessione della Rivista elettronica Amministrazione in cammino)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorti a seguito: a) dell’art. 9, comma 7, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 (Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59); b) dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri emessi il 23 dicembre 1999 (Disciplina dell’autonomia finanziaria e contabilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri), il 15 aprile 2000 e il 4 agosto 2000 (Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e il 12 settembre 2000 (Modifiche dell’art. 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 agosto 2000, recante ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri), promossi dalla Corte dei conti con ricorsi notificati il 12 gennaio e il 15 marzo 2001, depositati il 17 gennaio e il 26 marzo 2001, e iscritti ai nn. 4 e 12 del registro conflitti dell’anno 2001.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 15 gennaio 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

uditi gli avvocati Vincenzo Caputi Jambrenghi per la Corte dei conti e l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. — La Corte dei conti, in persona del suo Presidente, ha proposto due ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro il Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio, e contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 76 e 100, secondo comma, della Costituzione: a) il primo (reg. conflitti n. 4/2001) in relazione all’approvazione dell’art. 9, comma 7, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 (Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), all’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 dicembre 1999 (Disciplina dell’autonomia finanziaria e contabilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e all’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 aprile 2000 (Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri); b) il secondo (reg. conflitti n. 12/2001) in relazione all’approvazione del citato art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999, all’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2000 (Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e all’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 2000 (Modifiche all’art. 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 agosto 2000, recante ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri).

2. — Nel primo ricorso (reg. conflitti n. 4/2001) – premesso che nella Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio 2000, n. 24, e nella Gazzetta Ufficiale del 21 aprile 2000, n. 94, sono stati pubblicati rispettivamente il d.P.C.m. 23 dicembre 1999 sull’autonomia finanziaria e la contabilità della Presidenza del Consiglio dei ministri e il d.P.C.m. 15 aprile 2000, relativo all’ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio – la Corte dei conti lamenta che i citati decreti, pur essendo "atti di Governo" di "estrema rilevanza", il primo dei quali dotato di efficacia esterna, poichè al capo V contiene la disciplina dell’attività negoziale della Presidenza del Consiglio, mentre il secondo "importa oneri assai notevoli a carico del bilancio dello Stato", non sono stati sottoposti al controllo di legittimità della stessa Corte dei conti, contrariamente a quanto dispongono l’art. 100, secondo comma, della Costituzione e l’art. 3, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti).

2.1 — La ricorrente ricorda che la legislazione ordinaria sul controllo di legittimità della Corte dei conti ha subito numerose modifiche fino all’entrata in vigore della legge n. 20 del 1994, che ha conservato, all’art. 3, il controllo preventivo di legittimità su alcune categorie di atti del Governo "nell’ambito dei rapporti giuridici di più spiccato profilo contabilistico e di tutela oggettiva dei principi di legalità e di buon andamento".

L’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999 dispone che ai decreti emanati dal Presidente del Consiglio dei ministri in base agli artt. 7, 8 e 9 del medesimo decreto legislativo non sono applicabili nè la disciplina dettata dall’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), nè il controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti regolato dall’art. 3, commi 1, 2 e 3, della legge n. 20 del 1994.

Il ricorso investe pertanto il decreto legislativo n. 303 del 1999 e i due citati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, che del primo costituirebbero le "più cospicue e dirette applicazioni illegittime".

2.2. — Ciò premesso, la ricorrente, richiamata la giurisprudenza costituzionale in materia, afferma la propria legittimazione a sollevare – nell’esercizio della funzione di controllo preventivo di legittimità – conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Quanto alla natura legislativa dell’atto che si assume lesivo della sfera di attribuzioni riservata alla Corte dei conti, essa non é – prosegue la ricorrente – di ostacolo all’ammissibilità del conflitto, perchè questo tende a ripristinare l’ordine costituzionale delle competenze.

2.3. — Nel merito, la ricorrente sostiene che il decreto legislativo n. 303 del 1999 violi l’art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega.

Con riferimento alla possibilità di dedurre in un giudizio per conflitto di attribuzioni tale vizio, nel caso di specie sussisterebbe il requisito – individuato dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 457 del 1999 – consistente in uno stretto collegamento tra la lesione dell’art. 76 della Costituzione e la compressione delle attribuzioni costituzionali fatte valere in giudizio.

La ricorrente ritiene che, in un contesto nel quale vengono introdotti elementi – di natura legislativa, regolamentare o provvedimentale – i quali tendono "ad affrancare il più possibile" l’attività amministrativa del Governo dal controllo esercitato dalla Corte dei conti, il Governo stesso abbia irragionevolmente e immotivatamente interpretato in modo estensivo le norme contenute nell’art. 11, comma 1, lettera a), e nell’art. 12 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa). Da tale "forzatura" interpretativa deriverebbero sia, in primo luogo, l’art. 9 del decreto legislativo n. 303 del 1999, che, pur senza abrogarlo, neutralizzerebbe la parte significativa dell’art. 3 della legge n. 20 del 1994, rendendolo inapplicabile proprio nei confronti dei decreti governativi previsti nello stesso decreto legislativo, sia, conseguentemente, gli ulteriori atti impugnati nel presente giudizio.

L’art. 11, comma 1, della legge n. 59 del 1997, prosegue la Corte dei conti, stabilisce che si proceda, con decreti legislativi delegati, ad una "razionalizzazione" - anche attraverso il riordino, la soppressione e la fusione – dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei ministeri. La delega non si estenderebbe però fino a consentire la "irrazionale" sottrazione al controllo preventivo di legittimità delle attività amministrative che realizzano tale riorganizzazione e di quelle da essa derivanti.

Il controllo preventivo di legittimità é stato rivisitato in occasione della riforma attuata con la legge n. 20 del 1994 secondo un’ispirazione, ad avviso della ricorrente, "riduttiva dell’area del controllo in questione": per questo motivo gli attuali più ristretti confini entro i quali si esercita il controllo preventivo sarebbero da ritenere invalicabili, pena l’alterazione della fisionomia della funzione di controllo delineata dall’ordinamento. Interpretazioni riduttive dell’elenco, contenuto nell’art. 3 della legge n. 20 del 1994, degli atti governativi soggetti al controllo preventivo di legittimità sarebbero perciò da escludere in quanto confliggenti con l’art. 100, secondo comma, della Costituzione.

La ricorrente prende inoltre in considerazione l’art. 12, comma 2, della legge n. 59 del 1997, affermando che questa attribuisce e regola "nuovi poteri di bilancio" per il Presidente del Consiglio, circostanza dalla quale si desumerebbe che il legislatore, avendo disciplinato in maniera così dettagliata la materia contabile senza toccare la materia del controllo, avrebbe inteso escludere ogni modificazione al regime dei controlli imperniato sull’art. 100, secondo comma, della Costituzione e sull’art. 3 della legge n. 20 del 1994.

L’eccesso di delega risulterebbe evidente ove si consideri che, pur nel dettaglio che caratterizza gli artt. 11 e 12 della legge n. 59 del 1997, nessun riferimento sarebbe in essi contenuto al regime dei controlli sui "nuovi" atti amministrativi del Governo. Dal silenzio del legislatore dovrebbe – secondo la ricorrente – desumersi il divieto di sopprimere o ridurre i controlli previsti dalla legge n. 20 del 1994.

2.4. — Con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 100, secondo comma, della Costituzione, la Corte dei conti afferma inoltre che la categoria degli "atti di governo" richiamata dalla disposizione costituzionale citata deve essere individuata a partire dagli artt. da 92 a 95 della Costituzione, che regolano la struttura e le funzioni del Governo. Da ciò dovrebbe desumersi che, in presenza di precise definizioni dei termini soggettivi e oggettivi, il rispetto della norma costituzionale sul controllo della Corte é "un elemento compositivo del quadro costituzionale rigido ed immodificabile".

2.5. — La ricorrente passa quindi a esporre le censure relative al d.P.C.m. 23 dicembre 1999. Il Governo avrebbe omesso di inviare l’atto al controllo preventivo illegittimamente, poichè sarebbe "palesemente incostituzionale" la norma contenuta nell’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999, che a ciò lo autorizza. Da ciò deriverebbe non solo l’illegittimità dell’atto in questione, ma anche la sua inefficacia.

Il citato d.P.C.m. violerebbe, ad avviso della Corte dei conti, sia l’art. 100, secondo comma, della Costituzione, sia l’art. 3, comma 1, della legge n. 20 del 1994, che elenca gli atti del Governo soggetti al controllo preventivo di legittimità. Questi sono – afferma la ricorrente – gli atti normativi a rilevanza esterna che hanno natura di atti di indirizzo politico-amministrativo: ricorrendo tale presupposto la soggezione al controllo preventivo sussisterebbe comunque, a prescindere dall’inquadramento dell’atto in questione tra quelli "di governo".

Non sarebbe accettabile, prosegue la Corte dei conti, la pretesa del Governo di escludere l’atto in questione dal controllo in quanto "atto regolamentare interno", perchè in esso sono contenute previsioni generali ed astratte, dirette a regolare rapporti con terzi e suscettibili di applicazione ripetuta.

All’atto in questione dovrebbe essere riconosciuta funzione di indirizzo politico-amministrativo, poichè esso esprime direttive generali per l’indirizzo e lo svolgimento dell’azione amministrativa, con la conseguenza che, anche volendo escluderne la natura regolamentare, esso ricadrebbe tra gli atti da sottoporre al controllo ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera b), della legge n. 20 del 1994.

Nè sarebbe accettabile la tesi, sostenuta dal Governo, secondo cui solo gli atti emanati a seguito di deliberazione del Consiglio dei ministri potrebbero definirsi quali atti del Governo, mentre le altre ipotesi contemplate all’art. 3, comma 1, della legge n. 20 del 1994 avrebbero carattere "meramente aggiuntivo" rispetto alla previsione dell’art. 100, secondo comma, della Costituzione. Secondo la ricorrente tale interpretazione si discosta "dal diritto scritto come da quello vivente", poichè la Costituzione, nel delineare il Governo quale organo complesso caratterizzato dalla collegialità, dall’autonomia dei singoli ministri e dalla preminenza del Presidente del Consiglio, precluderebbe, ai fini dell’imputazione degli atti che da esso provengono, ogni distinzione tra gli organi che lo compongono. Sarebbe pertanto impossibile negare la natura di atto del Governo a un atto normativo o a una direttiva del Presidente del Consiglio, pur in mancanza dell’intervento collegiale del Consiglio dei ministri.

Parimenti, dovrebbe essere attribuita natura di atto del Governo a un atto normativo o di programmazione di un ministro, poichè a questi – salva la responsabilità individuale per gli atti del proprio ministero – spetta l’attuazione dell’indirizzo politico governativo collegialmente stabilito.

2.6. — La ricorrente espone quindi censure di analogo contenuto relativamente al d.P.C.m. 15 aprile 2000. Anche questo atto, come il precedente, violerebbe le attribuzioni costituzionalmente garantite della Corte dei conti, trovando il suo fondamento nell’art. 9 del decreto legislativo n. 303 del 1999, di cui si assume il vizio di eccesso di delega; e anch’esso sarebbe inefficace in quanto privo "della fondamentale fase del controllo preventivo".

Nel merito, il decreto impugnato, che rappresenta la nuova fonte di disciplina degli uffici della dirigenza generale operanti presso la Presidenza del Consiglio, sarebbe un atto normativo a rilevanza esterna, costituente esercizio della funzione di indirizzo politico-amministrativo spettante - ai sensi dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) [disposizione ora trasfusa nell’art. 4 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche)] - agli organi di governo, a differenza degli atti di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, riservati ai dirigenti dal comma 2 dello stesso articolo.

Ma anche qualora si considerasse il d.P.C.m. in questione come regolamento interno esso, ad avviso della ricorrente, rientrerebbe nell’elenco di cui all’art. 3, comma 1, lettera b), della legge n. 20 del 1994, poichè si tratta di un atto del Presidente del Consiglio che ha ad oggetto la formulazione di direttive generali, l’indirizzo e lo svolgimento di un’azione amministrativa che incide nell’ambito dell’organizzazione amministrativa generale e dell’ordinamento giuridico.

2.7. — La ricorrente conclude chiedendo alla Corte costituzionale di dichiarare: a) "che non spetta al Governo sottrarre al controllo preventivo di legittimità i suoi atti amministrativi" – nel caso di specie gli atti di governo emanati dal Presidente del Consiglio dei ministri, dal Consiglio dei ministri o dal singolo ministro – secondo quanto dispone l’art. 3, comma 1, della legge n. 20 del 1994; b) che spetta alla Corte dei conti, in base all’art. 100, secondo comma, della Costituzione, il controllo sugli atti del Governo elencati dal citato art. 3, comma 1, della legge n. 20 del 1994; c) l’illegittimità dell’invasione delle attribuzioni della Corte dei conti, determinata dall’approvazione ed emanazione dell’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999.

Conseguentemente, la Corte dei conti chiede alla Corte costituzionale: a) di annullare tale ultima disposizione, nella parte in cui dichiara non applicabile, ai decreti previsti negli artt. 7, 8 e 9 dello stesso decreto legislativo n. 303, la disciplina di cui all’art. 3, commi 1, 2 e 3, della legge n. 20 del 1994 e la disciplina di cui all’art. 17 della legge n. 400 del 1988; b) di dichiarare "l’inefficacia" del d.P.C.m. 23 settembre 1999 e del d.P.C.m. 15 aprile 2000, per mancato conseguimento del visto al termine del procedimento di controllo preventivo di legittimità previsto dall’art. 100, secondo comma, della Costituzione.

3. — Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, depositando una memoria nella quale, con riserva di ulteriori deduzioni, si afferma in primo luogo che é "da dubitare" – in relazione alla natura delle funzioni che si pretende di tutelare e alle modalità di accesso al giudizio per conflitto di attribuzioni – sia dell’ammissibilità del ricorso, sia dell’interesse al medesimo, considerato che la Corte dei conti avrebbe già espletato le sue funzioni collaborative - precisamente di tipo consultivo - in relazione all’emanazione dell’atto amministrativo contestato.

L’Avvocatura rileva inoltre che il d.P.C.m. 15 aprile 2000, già modificato da un d.P.C.m. del 23 maggio 2000, é stato abrogato dal d.P.C.m. 4 agosto 2000.

Nel merito, l’Avvocatura - lasciando impregiudicata ogni considerazione sulla natura degli atti amministrativi impugnati e sul loro rapporto con l’art. 3, comma 1, della legge n. 20 del 1994 - afferma che: a) il decreto legislativo n. 303 del 1999 ha inteso dare attuazione al disposto dell’art. 95 della Costituzione, cosicchè non sussisterebbe l’eccesso di delega denunciato; b) il decreto legislativo impugnato non inciderebbe sull’area del controllo preventivo attribuita dalla Costituzione alla Corte dei conti; c) conseguentemente, una volta esclusa l’idoneità dell’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999 a ledere le attribuzioni costituzionalmente riservate alla ricorrente, sarebbe da escludere la lesività degli atti amministrativi che ad esso si conformano.

4. — Nel secondo ricorso (reg. conflitti n. 12/2001) la Corte dei conti, rilevato che il d.P.C.m. 4 agosto 2000 ha espressamente abrogato il d.P.C.m. 15 aprile 2000, sostiene preliminarmente che si sarebbe determinato il venir meno della materia del contendere del precedente ricorso, limitatamente al punto concernente la domanda di declaratoria di inefficacia del decreto del 15 aprile 2000.

4.1. – La Corte dei conti riproduce le considerazioni già svolte, a proposito del decreto legislativo n. 303 del 1999 e del d.P.C.m. 15 aprile 2000, nel precedente ricorso, precisando che l’ulteriore conflitto é giustificato "dalla necessità di investire della censura di inefficacia il d.P.C.m. 4 agosto 2000 (e la sua modifica del 12 settembre 2000)", e chiedendo inoltre la riunione dei giudizi.

Nel merito si ribadisce che il decreto legislativo n. 303 del 1999 avrebbe violato, per eccesso di delega, l’art. 76 della Costituzione, comprimendo le attribuzioni in materia di controllo preventivo di legittimità garantite - dall’art. 100, secondo comma, della Costituzione - alla Corte dei conti, mentre l’illegittimità del d.P.C.m. 4 agosto 2000 e del d.P.C.m. 12 settembre 2000, che modifica l’art. 6 del precedente, deriverebbe direttamente dall’illegittimità da cui "ictu oculi" sarebbe viziato l’art. 9, comma 7, del decreto legislativo censurato.

4.2. – La ricorrente conclude per una pronuncia della Corte costituzionale che dichiari: a) "che non spetta al Governo sottrarre al controllo preventivo di legittimità di competenza della Corte dei conti i suoi atti amministrativi" – nel caso di specie gli atti di governo emanati dal Presidente del Consiglio dei ministri, dal Consiglio dei ministri o dal singolo ministro – secondo quanto dispone l’art. 3, comma 1, della legge n. 20 del 1994; b) che spetta alla Corte dei conti, in base all’art. 100, secondo comma, della Costituzione, il controllo sugli atti del Governo elencati dal citato art. 3, comma 1, della legge n. 20 del 1994; c) l’illegittimità dell’invasione delle attribuzioni della Corte dei conti, determinata dall’approvazione ed emanazione dell’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999.

Conseguentemente, la Corte dei conti chiede alla Corte costituzionale: a) di annullare tale ultima disposizione, nella parte in cui dichiara non applicabile, ai decreti previsti negli artt. 7, 8 e 9 dello stesso decreto legislativo n. 303, la disciplina di cui all’art. 3, commi 1, 2 e 3, della legge n. 20 del 1994 e la disciplina di cui all’art. 17 della legge n. 400 del 1988; b) di dichiarare l’inefficacia del d.P.C.m. 4 agosto 2000 e del d.P.C.m. 12 settembre 2000, per mancato conseguimento del visto al termine del procedimento di controllo preventivo di legittimità previsto dall’art. 100, secondo comma, della Costituzione.

5. — Si é costituito in questo secondo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, depositando una memoria nella quale si riproducono – "dato il carattere reiterativo del ricorso" – le argomentazioni svolte nell’atto di costituzione relativo al precedente conflitto.

6. — La Corte costituzionale ha dichiarato ammissibili entrambi i conflitti, rispettivamente, con l’ordinanza n. 573 del 2000 e con l’ordinanza n. 38 del 2001.

7. — In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha depositato, in riferimento a entrambi i conflitti, una "memoria unica" nella quale richiede che essi siano dichiarati inammissibili o infondati.

7.1. ― Dopo aver riassunto i termini dei due ricorsi, l’Avvocatura dello Stato afferma che – avendo il Presidente della Corte dei conti sollevato i conflitti sulla base dei poteri conferitigli da due deliberazioni della Sezione del controllo – non é chiaro se questi sono stati proposti dalla Corte dei conti nella sua unità istituzionale quale titolare del potere di controllo, ovvero nell’esercizio delle funzioni di controllo preventivo.

Le citate delibere – prosegue l’Avvocatura dello Stato – sembrano impostare il conflitto in termini di menomazione delle funzioni di controllo preventivo dipendente da un comportamento omissivo (la mancata sottoposizione al controllo dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri). Poichè tale omissione trova fondamento in una norma di rango primario, contro quest’ultima i ricorsi risultano formalmente rivolti, "in via principale". Ipotizzando che i conflitti trovino origine nell’esercizio, da parte della Corte dei conti, delle proprie funzioni di controllo preventivo, il resistente richiama la giurisprudenza costituzionale in materia, dalla quale desume la non configurabilità, nell’adempimento di tali funzioni, di un "incidente di costituzionalità" sull’atto legislativo posto a fondamento dell’atto sottoposto al controllo.

7.2. ― L’Avvocatura dello Stato dubita inoltre dell’interesse al ricorso della Corte dei conti.

Questa infatti avrebbe esercitato la funzione di controllo nel modo "più ampio", sia sul piano della legittimità che su quello dell’opportunità, mediante il parere delle Sezioni riunite sullo schema del d.P.C.M. che disciplina l’autonomia finanziaria e la contabilità della Presidenza del Consiglio dei ministri, parere nel quale non sono stati sollevati dubbi relativi alla lesività ed illegittimità del decreto legislativo n. 303 del 1999 o del decreto presidenziale.

7.3. ― Nel merito, con riferimento alla lamentata violazione dell’art. 76 della Costituzione, il resistente rileva che la legge di delega considera contestualmente ma in modo autonomo la Presidenza del Consiglio e i ministeri, operando una netta distinzione dei rispettivi modelli in funzione delle diverse esigenze cui rispondono.

Da un lato la legge di delega lascerebbe al legislatore delegato la scelta riguardo ai ministeri da istituire, fondere o sopprimere, dall’altro promuoverebbe una razionalizzazione dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri che, coerentemente con l’art. 95 della Costituzione, avrebbe come obiettivo il potenziamento delle autonome funzioni di coordinamento e di direzione della politica generale del Governo spettanti al Presidente.

Prosegue l’Avvocatura dello Stato affermando che la Presidenza del Consiglio dei ministri si differenzia dai ministeri – strutture burocratiche dotate di propria competenza e di funzioni di gestione relative ad interessi pubblici di settore – perchè é un organismo meramente servente, strumentale all’esercizio delle funzioni costituzionali di cui é titolare l’organo Presidente del Consiglio. Mentre l’attribuzione delle funzioni (che possono o meno essere costituzionalmente necessarie) ai ministeri é rimessa alla legge ordinaria, la Presidenza – ad avviso dell’Avvocatura – é un organismo costituzionalmente necessario, funzionalmente volto ad assicurare l’autonomia dell’esercizio delle funzioni presidenziali.

L’art. 95 della Costituzione, nel disporre che sia la legge a provvedere all’ordinamento della Presidenza del Consiglio, demanderebbe ad essa di assicurare al Presidente del Consiglio la struttura necessaria per l’efficiente e autonomo esercizio delle sue funzioni. Le finalità della legge di delega, che espressamente richiama la citata disposizione costituzionale, sono, secondo l’Avvocatura dello Stato, il potenziamento delle autonome funzioni presidenziali e la garanzia, per la Presidenza del Consiglio, dell’autonomia organizzativa, regolamentare e finanziaria, al riparo da ingerenze esterne, "come avviene per le amministrazioni degli altri organi costituzionali".

Il decreto legislativo n. 303 del 1999, pertanto, in coerenza con la legge di delega, avrebbe inteso dare piena attuazione all’art. 95 della Costituzione, disciplinando la Presidenza del Consiglio quale "struttura di avvalimento" per l’esercizio delle funzioni presidenziali.

Ad avviso del resistente, "in piena coerenza con le finalità che hanno determinato la delega", il decreto legislativo n. 303 del 1999: a) ha lasciato inalterato il regime dei controlli sui provvedimenti - conseguenti a deliberazione del Consiglio dei ministri - elencati nell’art. 3, comma 1, lettera a), della legge n. 20 del 1994, che individuano l’area delle attribuzioni della Corte dei conti costituzionalmente previste in materia di controllo preventivo; b) ha attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri l’esercizio di un ampio potere inerente alla organizzazione e disciplina della struttura servente le attribuzioni costituzionali del medesimo, potere destinato ad esplicarsi mediante l’adozione di atti – i decreti – che avrebbero valenza interna e ricadrebbero nelle altre previsioni dell’art. 3, comma 1, della legge n. 20 del 1994, non essendo necessariamente identificabili come atti del Governo; c) ha escluso l’applicabilità, ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati nell’esercizio dei poteri di organizzazione della Presidenza, delle procedure di emanazione e dei controlli preventivi previsti dall’art. 17 della legge n. 400 del 1988 e dall’art. 3, commi 1, 2 e 3, della legge n. 20 del 1994.

Rileva inoltre l’Avvocatura che la "riconsiderazione" del sistema dei controlli rappresenta un elemento del complessivo disegno di riforma introdotto dalla legge n. 59 del 1997. Da questa però non viene richiamato, quale criterio cui attenersi per l’esercizio della delega, l’art. 3 della legge n. 20 del 1994.

Inoltre, ancora con riferimento al rapporto tra legge di delega e decreto legislativo, i principi e criteri direttivi enunciati nella prima, pur delimitando l’ampiezza della discrezionalità del legislatore delegato, non potrebbero – anche alla luce della giurisprudenza costituzionale – eliminare ogni margine di scelta nell’esercizio della delega.

Secondo l’Avvocatura, la stessa Corte dei conti avrebbe implicitamente riconosciuto l’esistenza di detto margine di scelta del legislatore delegato, allorchè ha invocato la violazione dell’art. 100 della Costituzione solo con riferimento al decreto legislativo e non anche alla legge di delega, postulando così che il primo potrebbe essere incorso nella prospettata violazione pur nella coerente attuazione della norma di delega e in piena conformità all’oggetto, ai principi e ai criteri di questa.

7.4. – Con riferimento alla lamentata violazione dell’art. 100, secondo comma, della Costituzione, l’Avvocatura dello Stato esclude che sia costituzionalmente vincolata la sottoposizione degli atti impugnati al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti, osservando che gli atti in cui si traduce l’attività di governo non sono "tutti e necessariamente "atti del Governo"". Atti del Governo sarebbero soltanto quelli che implicano una delibera del Consiglio dei ministri, come si ricava dalla circostanza che nelle disposizioni costituzionali in cui é citato il Governo il riferimento é al Consiglio dei ministri, mentre il legislatore ha escluso i regolamenti emanati da uno o più ministri dal novero degli atti governativi, contrapponendo inoltre i regolamenti ministeriali e interministeriali ai regolamenti emanati dal Governo.

Ulteriore conferma dovrebbe, ad avviso dell’Avvocatura, rinvenirsi nella distinzione – confortata dalla giurisprudenza costituzionale – tra responsabilità collegiale e responsabilità individuale dei singoli ministri, che presuppone la non configurabilità come atti del Governo di atti dei singoli componenti il cui presupposto non risieda su scelte di carattere collegiale.

In definitiva, l’area del controllo preventivo costituzionalmente attribuito alla Corte dei conti coinciderebbe con quella degli atti amministrativi riconducibili alla responsabilità collegiale del Consiglio dei ministri. Al di fuori di tale area rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore estendere o ridefinire i confini del controllo preventivo, senza che ciò possa configurare una menomazione delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alla Corte dei conti.

Le disposizioni legislative che integrano il testo costituzionale, e in particolare quelle contenute nelle lettere b) e seguenti dell’art. 3, comma 1, della legge n. 20 del 1994, non potrebbero condizionare le successive scelte del legislatore in ordine alla ridefinizione delle ipotesi di controllo.

Gli atti del Presidente del Consiglio che ineriscono all’autonomia organizzativa e finanziaria della Presidenza non rientrerebbero perciò nella categoria degli atti "del Governo", la cui nozione sarebbe comunque circoscritta anche da limitazioni desumibili in via interpretativa da altre norme di rango costituzionale, quali quelle relative alle funzioni di direzione della politica generale e di impulso, indirizzo e coordinamento che la Costituzione attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri.

7.5. – Con riferimento infine alla autonomia di bilancio, finanziaria e contabile riconosciuta alla Presidenza del Consiglio, l’Avvocatura generale dello Stato – premesso che essa attua la previsione contenuta nell’art. 12, comma 2, della legge n. 59 del 1997 – afferma che essa assicura alla Presidenza la "necessaria flessibilità" nella distribuzione delle risorse in sede di bilancio preventivo e di variazioni in corso di esercizio nell’ambito di uno stanziamento previsto nelle leggi finanziaria e di bilancio, "analogamente agli altri organi costituzionali".

Rileva inoltre l’Avvocatura che la ricorrente non ha censurato l’art. 8, comma 3, del decreto legislativo n. 303 del 1999 che, prevedendo la trasmissione alle Camere del bilancio e del rendiconto della gestione finanziaria, "implicitamente" escluderebbe ogni controllo esterno sulla gestione al di fuori di quello parlamentare.

Considerato in diritto

1. – La Corte dei conti, con due ricorsi, ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Governo, in relazione ad atti governativi che si assumono lesivi delle proprie competenze costituzionali di controllo sugli atti del Governo.

Entrambi i ricorsi concernono l’art. 9, comma 7, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 (Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), il quale, nel suo primo periodo, stabilisce che ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri previsti dal medesimo art. 9 – in materia di personale della Presidenza del Consiglio -, dall’art. 7 – di esercizio dell’autonomia organizzativa della Presidenza del Consiglio – e dall’art. 8 – in materia di autonomia contabile e di bilancio della Presidenza del Consiglio – non si applica la disciplina dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e dell’art. 3, commi 1, 2 e 3, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti). Ciò significa, per quanto rileva ai fini del presente conflitto, che i decreti in questione non sono sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti, previsti per l’appunto dal comma 4 dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988 e dall’art. 3 della legge n. 20 del 1994.

Il primo dei due ricorsi, inoltre, concerne il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 dicembre 1999 (Disciplina dell’autonomia finanziaria e contabilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 aprile 2000 (Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Il secondo dei due ricorsi, a sua volta, coinvolge il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2000 (Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 2000 (Modifiche all’art. 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 agosto 2000, recante ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Tutti questi decreti, i quali trovano la loro base normativa nel decreto legislativo n. 303 del 1999, non sono stati sottoposti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti, in applicazione del suddetto art. 9, comma 7, del medesimo decreto legislativo n. 303 del 1999.

Ad avviso della ricorrente, la sottrazione al controllo preventivo di legittimità da parte della Corte dei conti prevista dalla norma del decreto legislativo lederebbe la sfera di attribuzioni costituzionali della Corte dei conti, in conseguenza della violazione dell’art. 100 e dell’art. 76 della Costituzione. Quanto ai decreti del Presidente del Consiglio emanati in assenza della previa sottoposizione al controllo della Corte dei conti, essi sarebbero inefficaci, ciò di cui si chiede la relativa dichiarazione da parte di questa Corte.

2. – I due giudizi per conflitto di attribuzione proposti dalla Corte dei conti possono essere riuniti per una trattazione congiunta. Essi riguardano infatti il medesimo tema controverso, con riferimento agli stessi testi normativi o a testi adottati in loro sostituzione o modifica.

3. – Poichè il d.P.C.m. del 4 agosto 2000 ha integralmente abrogato e sostituito il precedente d.P.C.m. del 15 aprile 2000, in relazione a quest’ultimo deve essere pronunciata la cessazione della materia del contendere. Di conseguenza, il conflitto da decidere riguarda la pretesa violazione delle attribuzioni costituzionali della Corte dei conti derivante innanzitutto dall’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999 e poi la pretesa inefficacia dei d.P.C.m. 23 dicembre 1999, 4 agosto e 12 settembre 2000, emanati, a norma del predetto art. 9, comma 7, senza essere stati preventivamente sottoposti al controllo della ricorrente.

4. – La difesa del Presidente del Consiglio prospetta, come ragioni di inammissibilità dei ricorsi: a) la non chiara riconducibilità dei medesimi, in quanto promossi dal Presidente della Corte dei conti sulla base di deliberazioni della Sezione del controllo, alla Corte dei conti nella sua unità, quale titolare del potere di controllo, ovvero quale esercente le funzioni di controllo preventivo; b) la non configurabilità di questioni di legittimità costituzionale (quale sarebbe, par di comprendere, quella sollevata, tramite ricorso per conflitto, sull’art. 9, comma 7, del decreto legislativo in questione) sull’atto legislativo che é a fondamento della mancata sottoposizione a controllo preventivo dei decreti del Presidente del Consiglio sopra citati; c) la carenza di interesse al ricorso della Corte dei conti, posto che questa ha già esercitato un ampio controllo sul(lo schema di) decreto del Presidente del Consiglio in materia di autonomia finanziaria, in sede di formulazione del parere delle Sezioni riunite, senza che nessun rilievo sia stato formulato a proposito dell’eliminazione del controllo preventivo di legittimità a opera della disposizione del decreto legislativo che ha dato origine al conflitto.

Nessuno di questi rilievi può essere condiviso. Non quello sub a), in quanto, come già ritenuto da questa Corte (a partire dalla sentenza n. 302 del 1995), il conflitto, ancorchè deliberato dalla Sezione del controllo, é da riferirsi all’organo titolare del potere di controllo, secondo l’art. 100, secondo comma, della Costituzione, in relazione al quale la lesione risulta affermata, e tale organo non é la Sezione del controllo, ma la Corte dei conti nella sua unità, della cui rappresentanza é investito il suo Presidente, al quale spetta (come é avvenuto nella specie) promuovere il ricorso; non quello sub b), poichè il conflitto sollevato sulla norma di legge che esclude determinate categorie di atti dal controllo preventivo della Corte dei conti, nel momento della presa d’atto di tale esclusione, non dà luogo a un giudizio sulla legge, proposto in via incidentale, ma, in assenza di un procedimento di controllo, dà luogo a un’azione di rivendicazione di competenza proponibile come conflitto di attribuzione in riferimento alla legge che tale sottrazione prevede (così la sentenza n. 457 del 1999); non quello sub c), in quanto una pronuncia sollecitata alla Corte dei conti nell’esercizio delle sue funzioni consultive sul contenuto di atti amministrativi adottati in base a una disposizione legislativa che si assuma lesiva delle sue attribuzioni costituzionali non é tale, in ogni caso, da incidere sull’interesse alla difesa delle attribuzioni costituzionali di controllo, dalle quali la funzione consultiva é del tutto indipendente.

5. – Nel merito, i ricorsi per conflitto di attribuzione proposti in relazione all’approvazione da parte del Governo dell’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999, sono fondati.

5.1. – Nel presente giudizio, prioritario é l’esame dell’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303, circa la pretesa sua portata lesiva delle attribuzioni della Corte dei conti ricorrente. La sorte dei decreti del Presidente del Consiglio emanati e pubblicati sulla base di quella norma, infatti, consegue evidentemente alla decisione del conflitto sorto sulla legge che ne prevede la sottrazione al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti. Quanto poi ai profili costituzionali di lesione delle attribuzioni della ricorrente, prioritario é l’esame di quello riguardante il rispetto dell’art. 76 della Costituzione da parte del legislatore delegato. Solo una volta riconosciuto, in ipotesi, il rispetto della delega ricevuta da parte del Governo, si potrebbe passare a esaminare se il decreto legislativo, legittimamente adottato nell’esercizio delle funzioni legislative delegate, comporti la violazione delle attribuzioni costituzionali determinate, per la Corte dei conti, dall’art. 100, secondo comma, della Costituzione.

5.2. – Seguendo l’ordine di trattazione anzidetto, deve in primo luogo confermarsi l’orientamento circa la configurabilità del conflitto costituzionale di attribuzioni in relazione ad atti di valore legislativo, tutte le volte in cui da essi possano derivare lesioni dirette dell’ordine costituzionale delle competenze e non esista un giudizio nel quale tale norma debba trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge (sentenza n. 457 del 1999). Ciò che si riscontra nella specie.

Ugualmente, deve essere confermata la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 139 del 2001) secondo la quale il soggetto costituzionale confliggente può far valere nel conflitto esclusivamente le norme della Costituzione che ne configurano le attribuzioni. Nel caso in esame, tali norme comprendono l’art. 76 della Costituzione, in quanto, come già chiarito nella sentenza testè ricordata, il principio di legalità che, secondo la Costituzione, presiede all’ordinamento dei poteri della Corte dei conti di controllo sugli atti del Governo, qualifica lo status costituzionale della Corte dei conti medesima. La conseguenza da trarsi é che l’esercizio di poteri normativi del Governo - soggetto costituzionale i cui atti sono, per l’appunto, l’oggetto del controllo - fuori o contro quanto consentito dalla delega legislativa, comporta violazione dell’ordine costituzionale delle competenze, suscettibile di essere fatto valere nel giudizio per conflitto di attribuzioni, quando da tale esercizio illegittimo possano derivare lesioni dell’ambito materiale della competenza di controllo assegnata dalla Costituzione alla Corte dei conti.

L’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 é stato approvato dal Governo sulla base della delega contenuta nella legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), in particolare nell’art. 11, comma 1, lettera a), esplicitamente indicato, nella premessa, quale fondamento specifico del decreto legislativo delegato. Il potere legislativo delegato al Governo da tale disposizione riguarda, per quanto qui rileva, la "razionalizzazione" dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri. Quanto ai criteri e principi direttivi da seguire nello svolgimento della delega relativa alla predetta lettera a) del comma 1 dell’art. 11, l’art. 12 della stessa legge n. 59 del 1997, anch’esso specificamente indicato nel preambolo del decreto legislativo, prevede come principi e criteri direttivi – per quanto può in questa occasione rilevare – oltre al vincolo ai principi generali desumibili dalla legge n. 400 del 1988, dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), l’obiettivo di "garantire alla Presidenza del Consiglio dei ministri autonomia organizzativa, regolamentare e finanziaria nell’ambito dello stanziamento previsto ed approvato con le leggi finanziaria e di bilancio dell’anno in corso".

Questo é tutto. Ricavare da ciò che la legge abbia delegato, anche solo per implicito, il Governo a intervenire, per sopprimerli, sui controlli riguardanti gli atti del Presidente del Consiglio dei ministri previsti dall’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999, é impossibile. La "razionalizzazione" dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui tratta la legge di delegazione, consiste nella garanzia di autonomia organizzativa, regolamentare e finanziaria, entro i limiti dello stanziamento stabilito per legge. L’esistenza di controlli di legittimità del tipo in esame sugli atti di esercizio di tale autonomia, in quanto svolti secondo criteri di imparzialità, non é, di per sè, incompatibile con tale garanzia, nè tantomeno la pregiudica. L’autonomia organizzativa, regolamentare e finanziaria risulta infatti dalle norme sostanziali che definiscono, in positivo e in negativo, i poteri attraverso i quali essa può estrinsecarsi e ne precisano l’ambito, cioé l’estensione e i limiti. Non può quindi ritenersi che, di per sè, la delega a dettare norme organizzative con l’obiettivo di garantire spazi di autonomia comprenda implicitamente l’autorizzazione alla revisione, tramite soppressione, del sistema dei controlli di legittimità esistenti.

Questa Corte, con la sentenza n. 457 del 1999, in materia di disciplina dei controlli su enti di ricerca, ha affermato che il disegno di riforma delle amministrazioni e degli enti pubblici (si intende: operanti in quel settore) risultante dalla legge n. 59 del 1997 comprende nell’insieme i loro aspetti organizzativi; che ciò é conforme alla profondità dell’intervento riformatore e all’innovatività degli obiettivi in quella legge prefigurati, cosicchè la riconsiderazione della disciplina dei controlli – disciplina richiamata espressamente dalla legge di delegazione – può essere intesa come elemento di tale riforma. Ma queste proposizioni non si prestano a valere in un campo di applicazione diverso da quello rispetto al quale sono state pronunciate, come vorrebbe invece la difesa del Governo. La formula adoperata dal legislatore delegante per definire l’innovazione consentita al Governo – la "razionalizzazione" dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio -; la mancanza di qualsivoglia riferimento, nella legge di delega, alla disciplina dei controlli; l’estraneità concettuale di questi ultimi rispetto all’autonomia di tale ordinamento, la cui garanzia costituisce l’obiettivo della legislazione delegata: tutto ciò impedisce di applicare la ratio decidendi della sentenza n. 457 del 1999 al caso da risolvere ora.

E neppure risultano conferenti, dal punto di vista del rispetto dell’art. 76 della Costituzione, gli argomenti che l’Avvocatura generale dello Stato avanza, a partire dalla considerazione della posizione costituzionale del Presidente del Consiglio e dalle conseguenze che questa avrebbe sulla disciplina della Presidenza, quale sua struttura servente: conseguenze che, ad avviso di quella difesa, potrebbero condurre a soluzioni organizzative, anche con riferimento al regime dei controlli, analoghe a quelle vigenti per gli apparati amministrativi di servizio degli altri organi costituzionali dello Stato. Tali soluzioni organizzative, infatti, potrebbero in ipotesi legittimamente configurarsi - oltre che nel rispetto della riserva di legge prevista in materia dall’art. 95, ultimo comma, della Costituzione - nel rispetto del principio di legalità e quindi, nella specie, del procedimento di legislazione delegata previsto dall’art. 76 della Costituzione. E altrettanto può dirsi circa la pretesa natura interna dei decreti del Presidente del Consiglio in questione.

5. – Per queste ragioni, si deve escludere che, delegando il Governo a "razionalizzare" l’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, senza alcun altro intento che quello di assicurarne l’autonomia organizzativa, regolamentare e finanziaria, il legislatore delegante abbia inteso coinvolgere la materia dei controlli incisi dall’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303, il quale risulta pertanto lesivo della posizione costituzionale della Corte dei conti ricorrente a causa della violazione dell’art. 76 della Costituzione che la sua adozione ha comportato e deve essere di conseguenza - limitatamente al suo primo periodo - annullato.

L’accoglimento del ricorso sotto il profilo della violazione dell’art. 76 della Costituzione rende superfluo l’esame del ricorso medesimo, sotto il profilo della violazione dell’art. 100, secondo comma, della Costituzione.

6. – Quanto ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri emanati e pubblicati sulla base dell’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303, la ricorrente chiede che questa Corte ne dichiari l’inefficacia, in conseguenza della mancata loro sottoposizione al controllo preventivo di legittimità, sottoposizione che risulta ora necessaria in conseguenza dell’annullamento della norma legislativa che la escludeva. Ma una tale richiesta risulta inammissibile, nel giudizio su conflitto costituzionale di attribuzioni, in cui non si discute meramente di regime degli atti giuridici cioé, nella specie, delle conseguenze che dalla violazione della legge possono derivare sulla (legittimità o sulla) efficacia degli atti giuridici. Pertanto, le conseguenze che dall’accoglimento del conflitto costituzionale insorto tra la Corte dei conti e il Governo circa l’art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999 derivano con riguardo ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri emanati sulla sua base devono essere tratte nell’esercizio di altre competenze, non rientranti tra quelle spettanti alla Corte costituzionale.

Per questa parte, dunque, i ricorsi per conflitto di attribuzione devono essere dichiarati inammissibili.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara che non spetta al Governo adottare l’art. 9, comma 7, primo periodo, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 (Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), e conseguentemente lo annulla;

2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine al conflitto di attribuzione promosso dalla Corte dei conti con il ricorso n. 4/2001 in epigrafe, in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 aprile 2000 (Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri);

3) dichiara inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione di cui in epigrafe, promossi dalla Corte dei conti, in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 23 dicembre 1999 (Disciplina dell’autonomia finanziaria e contabilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri), 4 agosto 2000 (Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e 12 settembre 2000 (Modifiche all’art. 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 agosto 2000, recante ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2002.