SENTENZA N. 121
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 194, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promossi con due ordinanze emesse il 18 ottobre 2000 dal Tribunale di Firenze, iscritte ai nn. 3 e 483 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 e n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di costituzione della Banca toscana s.p.a., dell’Istituto nazionale di credito agrario e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, del Banco di Sicilia s.p.a., dell’A.P.I. Anonima Petroli Italiana s.p.a. e dell’A.P.I. Raffineria di Ancona s.p.a.;
udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2002 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi gli avvocati Oronzo Mazzotta per la Banca toscana s.p.a. e per l’Istituto nazionale di credito agrario, Fabio Fonzo per l’INPS, Massimo Luciani per il Banco di Sicilia s.p.a., per l’A.P.I. Anonima Petroli Italiana s.p.a. e per l’A.P.I. Raffineria di Ancona s.p.a. e l’Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Il Tribunale di Firenze, con due ordinanze identiche emesse il 18 ottobre 2000, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 194, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), "nella parte in cui stabilisce, in deroga alle disposizioni sulla prescrizione dei crediti contributivi previdenziali, di cui all’art. 3, commi 9 e 10 della legge 8 agosto 1995, n. 335, che i datori di lavoro per i periodi per i quali non abbiano versato i contributi di previdenza ed assistenza sociale sulle somme e contribuzioni di cui all’art. 9-bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, e successive modificazioni, come sostituito dall’art. 1, comma 193 della citata legge n. 662 del 1996, siano tenuti al pagamento dei contributi previdenziali nella misura del quindici per cento sulle predette contribuzioni e somme".
Premette il remittente che analoga questione, insieme ad altre concernenti la medesima disposizione, é stata già sottoposta alla Corte da alcune precedenti ordinanze e decisa con sentenza n. 178 del 2000 nel senso dell’inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza, non essendo stata fornita dai rimettenti alcuna precisazione circa la durata e la decorrenza dei crediti fatti valere in quei giudizi. Il Tribunale osserva quindi che la questione stessa può essere riproposta ove se ne dimostri adeguatamente la rilevanza nel giudizio in corso. A tal uopo il remittente fa precedere un sintetico richiamo ai termini della questione, facendo proprie le censure contenute nell’ordinanza 23 marzo 1998 del Pretore di Torino (già decisa da questa Corte con la citata sentenza), secondo cui la norma impugnata lederebbe l’art. 3 Cost. sotto un triplice profilo e precisamente: a) per violazione del principio della certezza del diritto, avendo la stessa reso imprescrittibili ed esigibili in ogni tempo le contribuzioni dovute dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991, comprese quelle che si sarebbero dovute considerare estinte per la prescrizione decennale già maturata ex art. 3, commi 9 e 10, della legge 8 agosto 1995, n. 335; b) per violazione del principio di eguaglianza di trattamento con gli altri debiti contributivi, riguardando la deroga soltanto "le retribuzioni previdenziali insorte in quel periodo"; c) per violazione del principio di ragionevolezza, concernendo tale previsione il contributo dovuto fino al 30 giugno 1991, ma non quello dovuto successivamente.
Il giudice a quo passa quindi ad illustrare le vicende dei due giudizi, esponendo che la Banca toscana s.p.a. ed il Credito agrario s.p.a. avevano costituito presso di sè un trattamento integrativo di previdenza aziendale, alimentato con contributi dei lavoratori e del datore di lavoro. Sulle somme accantonate non era stato versato alcun contributo fino al 1991, in ragione dell’esclusione di tali importi dall’imponibile previdenziale di cui all’art. 9-bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, il quale disponeva il versamento di un contributo di solidarietà nella misura del dieci per cento soltanto per il futuro. Tuttavia, a seguito della declaratoria d’illegittimità costituzionale di detto art. 9-bis disposto dalla sentenza n. 421 del 1995 di questa Corte, il legislatore era intervenuto con la norma impugnata, stabilendo il pagamento, per il periodo che va dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991, di un contributo nella misura del quindici per cento. Le somme dovute erano state versate, con riserva di ripetizione, da entrambe le banche, le quali avevano quindi agito (nei due separati giudizi) per ottenere la declaratoria di inesistenza dell’obbligo di pagamento, sull’assunto che, con la caducazione della norma impugnata, avrebbe operato la prescrizione; l’INPS aveva però eccepito che la prescrizione era stata comunque interrotta da due verbali di accertamento notificati rispettivamente in data 12 e 28 dicembre 1995.
A questo punto il Tribunale osserva come il giudizio circa l’idoneità interruttiva di detti verbali spetti ad esso giudice di merito, ma che, in ogni caso, anche a voler ritenere la sussistenza della predetta idoneità, tale interruzione non opererebbe per il periodo 1° settembre 1985-12 dicembre 1985 (ovvero 1° settembre-28 dicembre 1985). Tale periodo non risulterebbe prescritto proprio in ragione della deroga alle regole in tema di prescrizione contenuta nella norma impugnata, e pertanto la questione sarebbe resa rilevante appunto dalle controversie intorno ai contributi afferenti questo, sia pur limitato, arco temporale.
2.— E’ intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza della questione, osservando come le società inadempienti all’obbligo contributivo chiedano in sostanza alla Corte di avallare tale inadempienza e rilevando come il legislatore possa introdurre termini prescrizionali anche ultradecennali.
3.1.— Si é costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale, con due memorie identiche, insistendo per la declaratoria di inammissibilità (ovvero d’infondatezza) della questione.
L’Istituto rileva preliminarmente, in punto di ammissibilità, come l’ordinanza di remissione sia largamente motivata per relationem attraverso il richiamo a quella del Pretore di Torino ed osserva, quanto alla prima censura, che il recupero disposto dalla norma impugnata, ove razionalmente interpretata – come avrebbe ben potuto fare il remittente – va riferito ai contributi dovuti nell’ambito del decennio e non a quelli dovuti antecedentemente al computo del termine prescrizionale decennale. Peraltro potrebbe anche argomentarsi nel senso che, creato il nuovo contributo di solidarietà con la legge n. 662 del 1996, il termine anzidetto non avrebbe potuto cominciare a decorrere se non dal 1° gennaio 1997.
Circa il secondo profilo, la parte osserva come la norma impugnata già costituisca una disposizione di favore nei confronti di coloro che non avessero assolto tempestivamente la loro obbligazione contributiva.
Riguardo, infine, all’asserita violazione del principio di ragionevolezza, l’INPS fa notare la diversità tra il contributo in argomento e quello introdotto, per il futuro, dall’art. 9-bis del d.l. n. 103 del 1991.
Passando al merito della questione l’Istituto, dopo aver sintetizzato il quadro normativo in materia di retribuzione imponibile e la relativa evoluzione giurisprudenziale, rileva come la norma impugnata sia del tutto coerente con il sistema oltre che con il decisum della sentenza n. 421 del 1995 di questa Corte. Il remittente, del resto, nel sostenere la violazione del principio di eguaglianza, avrebbe erroneamente instaurato il confronto tra contribuenti inadempienti ed imprenditori che avevano viceversa ottemperato agli obblighi di legge: ai primi il legislatore, grazie alla "norma privilegio" in argomento, ha concesso non solo di non pagare l’intero importo contributivo dovuto, ma ha anche eliminato gli oneri accessori.
La difesa dell’INPS ripercorre quindi le tappe dell’evoluzione giurisprudenziale in materia e cita estesamente le sentenze di questa Corte n. 427 del 1990, n. 421 del 1995 e n. 178 del 2000, per ritornare poi, in conclusione, sul tema della prescrizione, sostenendo che il diritto a pretendere il contributo sarebbe sorto in capo all’Istituto medesimo soltanto con la legge n. 662 del 1996, onde il termine andrebbe computato a decorrere dal 1° gennaio 1997: in ogni caso, qualsiasi deroga alla disciplina generale della prescrizione dovrebbe ritenersi del tutto razionale, sia alla luce dell’anzidetta ratio di favore verso i debitori sia avuto riguardo alla natura transitoria della normativa de qua.
3.2.— Si sono altresì costituite in giudizio, con identiche deduzioni, la Banca toscana s.p.a. ed il Credito agrario s.p.a., i quali, nel riprendere gli argomenti dell’ordinanza di remissione, sottolineano come la reviviscenza dell’obbligo contributivo in relazione a periodi così "risalenti" intacchi il principio di certezza, facendo rivivere obblighi ormai perenti attraverso un regime di sostanziale imprescrittibilità, senza che ciò sia stato in alcun modo imposto dalla sentenza n. 421 del 1995 di questa Corte: il legislatore avrebbe infatti dovuto prendere atto che il periodo considerato era coperto da prescrizione. Tale deroga al regime prescrizionale si sarebbe risolta, inoltre, in una discriminazione nei confronti dei datori di lavoro che avevano istituito forme di previdenza integrative.
4.1.— Nel giudizio relativo all’ordinanza n. 3 del 2001 sono inoltre intervenute, pur non essendo parti nel giudizio a quo, il Banco di Sicilia s.p.a., l’A.P.I. Anonima Petroli Italiana s.p.a. e l’A.P.I. Raffineria di Ancona s.p.a.
Il Banco fonda la propria legittimazione ad intervenire sull’asserita esistenza di un interesse giuridicamente qualificato che potrebbe essere compromesso (o soddisfatto) dall’esito del giudizio, richiamando sul punto la recente sentenza di questa Corte n. 31 del 2000 in materia di ammissibilità del referendum abrogativo, nonchè altre decisioni dalle quali dovrebbe desumersi il principio per cui l’intervento risulterebbe ammissibile ove sorretto da un interesse anche di fatto, ovvero meramente riflesso ed eventuale. Allo scopo di connotare tale interesse, la parte privata espone di avere in corso dinanzi al Tribunale di Palermo un giudizio di contenuto identico a quello oggetto del giudizio a quo, in cui coincidono anche i periodi non coperti dall’efficacia interruttiva dei verbali ispettivi.
4.2.— Argomentazioni del tutto identiche a sostegno dell’intervento vengono svolte nei due analoghi atti depositati dall’A.P.I. Anonima Petroli Italiana s.p.a. e dall’A.P.I. Raffineria di Ancona s.p.a., le quali espongono di avere in corso, dinanzi al Tribunale di Roma, due giudizi di oggetto uguale al giudizio a quo, il che determinerebbe la natura qualificata del loro interesse ad intervenire.
5.1.— In prossimità dell’udienza l’INPS ha presentato una memoria illustrativa, insistendo perchè la proposta questione venga dichiarata inammissibile ovvero infondata.
Preliminarmente l’ente previdenziale si sofferma sul problema dell’ammissibilità dell’intervento nel giudizio costituzionale di parti diverse da quelle dei giudizi a quibus, sostenendo la tardività dell’intervento stesso e, comunque, la sua inammissibilità.
Regola generale, infatti, che trova sostegno nell’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonchè nell’art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vuole che le "parti" del processo costituzionale siano le medesime del giudizio principale, come la stessa giurisprudenza ha ribadito nella grande maggioranza dei casi.
Gli attuali intervenienti, d’altra parte, hanno ammesso di avere in corso giudizi del tutto analoghi a quelli oggi in discussione, nei quali hanno sollecitato i giudici a sollevare la stessa questione di legittimità costituzionale, senza però che le loro richieste siano state accolte; sicchè ammetterne l’intervento equivarrebbe a consentire a dette parti di superare il filtro del giudice naturale davanti al quale pendono le rispettive controversie.
Ciò posto, l’ente previdenziale ricapitola le ragioni di merito per le quali la presente questione dovrebbe ritenersi infondata.
Per quanto riguarda l’ipotizzata violazione del principio della certezza del diritto, si rileva che la norma oggi impugnata ha in effetti introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 1997, un nuovo contributo di solidarietà sostitutivo, in sanatoria, della precedente contribuzione obbligatoria. Da ciò deriva che il termine di prescrizione comincia a decorrere ex novo dalla data ora menzionata, il che priva di fondamento l’osservazione del Tribunale di Firenze secondo cui la norma impugnata avrebbe inciso su di una vecchia contribuzione rendendola sostanzialmente imprescrittibile.
Anche a voler ritenere, tuttavia, che l’art. 1, comma 194, della legge n. 662 del 1996 abbia modificato il termine prescrizionale di un credito pregresso, ciò comunque non potrebbe determinarne l’incostituzionalità, perchè l’obiettivo della citata norma era solo quello di derogare al criterio della prescrizione quinquennale introdotto dall’art. 3 della legge n. 335 del 1995.
Parimenti infondata sarebbe, secondo l’INPS, la censura riguardante una presunta disparità di trattamento dei debiti in questione rispetto ad altri debiti contributivi. Nel caso in esame, infatti, l’intervento legislativo si é reso necessario in forza della sentenza di accoglimento di questa Corte più volte menzionata, nè si vede come la posizione di chi era totalmente inadempiente rispetto all’obbligo contributivo possa essere collocata sullo stesso piano di quella di chi aveva, invece, regolarmente adempiuto.
Tali argomentazioni danno ragione anche dell’infondatezza della lamentata censura di irragionevolezza conseguente al fatto che il contributo di solidarietà é stato disciplinato solo fino al 30 giugno 1991 e non anche per il periodo successivo. Le somme versate ai fondi di previdenza integrativa dopo tale data, infatti, avevano già una loro peculiare regolamentazione legislativa, sicchè l’intervento di cui alla norma impugnata non poteva che limitarsi al passato.
5.2. Nel giudizio relativo all’ordinanza n. 483 del 2001 l’INPS, in prossimità dell’udienza pubblica, ha presentato un’ulteriore memoria, osservando che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze é stata già dichiarata non fondata da altri tribunali italiani, nel corso di giudizi del tutto analoghi a quello presente, con sentenze in parte già passate in giudicato.
Nel merito, l’ente previdenziale svolge un riepilogo cronologico della questione, rilevando che fino al giugno 1991 era certa solo l’esistenza di un generalizzato obbligo contributivo a carico di tutti i datori di lavoro che versavano somme a titolo di previdenza complementare. Una volta intervenuto l’art. 9-bis del d.l. n. 103 del 1991, la situazione é mutata, venendosi a differenziare per il passato la posizione di chi aveva regolarmente pagato e di chi, viceversa, era totalmente inadempiente. Prima che la Corte emettesse la sentenza n. 421 del 1995, inoltre, i termini di prescrizione sono stati ridotti da dieci a cinque anni, sicchè é evidente che l’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995 non poteva che riguardare il contributo di solidarietà già stabilito, e non quello che sarebbe sorto in virtù della sentenza costituzionale ora menzionata.
Da tanto consegue che la norma impugnata é intervenuta a creare un nuovo contributo di solidarietà, per il quale si giustifica pienamente la deroga al regime della prescrizione quinquennale.
6.— La Banca toscana ed il Credito agrario hanno presentato memorie illustrative di identico contenuto, la prima delle quali fuori termine, insistendo per l’accoglimento della questione.
Prima di tutto, dette parti osservano che la questione é rilevante nei giudizi a quibus, in quanto attuale ed idonea a determinare effetti concreti. Il Tribunale ha puntualmente motivato su quest’aspetto, specificando anche quale sia la propria interpretazione della norma denunciata, la quale, del resto, rappresenta una deroga retroattiva al regime ordinario della prescrizione.
Le medesime parti, quindi, rammentano che la prescrizione é un modo di estinzione dei diritti riguardante anche quelli costituzionalmente garantiti e che neppure la retroattività delle sentenze di accoglimento di questa Corte può andare ad infrangere il limite dei rapporti esauriti (art. 30 della legge n. 87 del 1953). Il principio di irretroattività, pur essendo stato elevato al rango costituzionale solo in materia penale, non esclude che una norma retroattiva possa essere costituzionalmente illegittima, come avviene nel caso di specie, in cui l’art. 1, comma 194, della legge n. 662 del 1996, rimettendo in discussione rapporti giuridici ormai esauriti, é in evidente contrasto col principio di ragionevolezza.
7.— I tre intervenienti – ossia il Banco di Sicilia, l’A.P.I. Anonima Petroli Italiana s.p.a. e l’A.P.I. Raffineria di Ancona s.p.a. – hanno presentato un’unica memoria, con la quale ricapitolano l’intera questione.
Quanto all’ammissibilità dell’intervento, la memoria ribadisce che le tre società sono titolari di uno specifico interesse all’accoglimento della questione, interesse che verrebbe inevitabilmente ad essere frustrato dall’impossibilità di interloquire in questa sede; ed a conferma dell’ammissibilità stanno anche il nuovo testo dell’art. 111 Cost. – che garantisce il principio del contraddittorio – nonchè la sentenza n. 76 del 2001 di questa Corte, che ha ammesso l’intervento anche in un giudizio per conflitto di attribuzione.
Ciò posto, la memoria si sofferma sul punto della rilevanza. A tal proposito, essa fa presente che la contribuzione previdenziale ordinaria e quella di solidarietà sono legate da un nesso inscindibile, come la stessa sentenza n. 421 del 1995 ha confermato riconoscendo che l’imposizione di un contributo di solidarietà é condizione indispensabile per l’esenzione dalla contribuzione ordinaria. Da ciò consegue che la prescrizione di quest’ultima comporta anche la prescrizione del contributo di solidarietà, cosa che il legislatore non ha tenuto presente, reintroducendo un obbligo relativo ad un periodo per il quale la prescrizione era ormai decorsa.
Per quanto riguarda specificamente il punto della decorrenza dei termini prescrizionali, l’assunto fondamentale delle parti intervenienti é che l’INPS si sarebbe dovuto attivare per chiedere il pagamento del contributo di solidarietà relativo al periodo precedente il 30 giugno 1991 (ossia quello preso in considerazione dalla norma impugnata) già dopo l’entrata in vigore dell’art. 9-bis del d.l. n. 103 del 1991 o, quantomeno, dal settembre 1995, cioé dopo la pubblicazione della sentenza n. 421 del 1995; vero é che la disposizione appena richiamata escludeva ogni obbligo contributivo per il passato, ma é altrettanto vero che il vizio di illegittimità costituzionale dal quale essa era affetta (vizio poi esplicitato dalla sentenza n. 421 del 1995) non costituiva altro che una mera difficoltà di fatto all’esercizio del diritto, sicchè al caso non poteva applicarsi il disposto dell’art. 2935 codice civile (vengono richiamate in argomento le sentenze n. 2429 del 1994 e n. 12067 del 1995 della Corte di cassazione). Ne consegue che l’inerzia dell’ente previdenziale, protrattasi fino all’entrata in vigore della legge n. 662 del 1996, non può essere in alcun modo giustificata, risolvendosi la norma in discussione in un illegittimo tentativo di supplire a siffatta inerzia.
In ordine ai termini di prescrizione, inoltre, la memoria rammenta che il termine decennale é diventato quinquennale solo in virtù della legge n. 335 del 1995, entrata in vigore il 1° gennaio 1996; la norma sottoposta a scrutinio, invece, non si é limitata a far rivivere per il passato l’ormai abrogato termine decennale, ma ha anche preteso il pagamento di debiti a ritroso oltre il decennio, essendo tale norma entrata in vigore il 1° gennaio 1997.
Passando poi al merito della questione, la memoria delle parti intervenienti si sofferma sulle singole censure prospettate dal giudice a quo, sostenendone l’integrale fondatezza.
In primis, infatti, si palesa una chiara violazione del principio dell’affidamento, che questa Corte ha in più occasioni ribadito; fra le numerose pronunce in argomento, viene richiamata la sentenza n. 416 del 1999 a proposito di cumulo tra pensione di anzianità e redditi di lavoro autonomo, nella quale la Corte ha sancito l’illegittimità costituzionale di una norma previdenziale retroattiva in quanto lesiva del principio della certezza del diritto, e ciò ha stabilito proprio in riferimento all’art. 3 Cost., parametro oggi correttamente evocato dal Tribunale di Firenze. Le leggi retroattive, del resto, vanno scrutinate con un particolare rigore, non essendo assistite da alcuna "presunzione di legittimità"; e ciò vale ancor di più nel presente caso, in cui la norma retroattiva ha finito col far risorgere crediti già prescritti, rendendoli imprescrittibili per il futuro.
8.— Con ordinanza letta all’udienza pubblica del 12 febbraio 2002 la Corte, provvedendo alla riunione dei giudizi, contestualmente ha dichiarato l’inammissibilità degli atti di intervento del Banco di Sicilia, dell’A.P.I. Anonima Petroli Italiana s.p.a. e dell’A.P.I. Raffineria di Ancona s.p.a.
Considerato in diritto
1.— La questione posta oggi all’esame della Corte si collega a quelle che sono state oggetto della sentenza n. 178 del 2000, la quale ha dichiarato l’inammissibilità di ordinanze di oggetto analogo a quelle attuali in quanto contenenti una motivazione carente sul requisito preliminare della rilevanza.
Il Tribunale di Firenze torna a sollevare, con motivazione non implausibile in punto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 194, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ponendo tre diverse censure in parte connesse. Il giudice a quo, infatti, lamenta la violazione del principio dell’affidamento e della certezza del diritto, in quanto la norma impugnata avrebbe reso imprescrittibili ed esigibili in ogni tempo le contribuzioni dovute dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991, comprese quelle che si sarebbero dovute considerare estinte per intervenuta maturazione della prescrizione decennale ai sensi dell’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995; oltre a ciò, la norma violerebbe il principio di eguaglianza di trattamento con gli altri debiti contributivi, riguardando la deroga soltanto le contribuzioni previdenziali insorte in quel periodo, nonchè il principio di ragionevolezza, concernendo il contributo dovuto fino al 30 giugno 1991 e non quello da versare successivamente.
2.— La questione non é fondata.
Lo scrutinio di costituzionalità della norma denunciata deve essere condotto alla luce della vicenda legislativa che l’ha preceduta e delle sentenze di questa Corte in subiecta materia.
In una situazione di diffuso inadempimento dell’obbligo, previsto dall’art. 12 della legge 12 aprile 1969, n. 153, di includere nella retribuzione imponibile ai fini previdenziali anche i contributi versati dai datori di lavoro per trattamenti di previdenza integrativa, istituiti da contratti collettivi anche aziendali o da regolamenti, il legislatore intervenne con l’art. 9-bis del d.l. n. 103 del 1991, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 166 del 1991.
Con tale disposizione, definita di interpretazione autentica, si stabilì: a) che l’art. 12 citato doveva essere interpretato nel senso che fossero escluse dalla base imponibile dei contributi di previdenza e assistenza sociale le contribuzioni e somme versate o accantonate per il finanziamento dei trattamenti integrativi previdenziali o assistenziali; b) che restavano salvi i versamenti effettuati anteriormente all’entrata in vigore della legge; c) che dal primo periodo di paga successivo all’entrata in vigore della nuova normativa, per le contribuzioni o le somme destinate al finanziamento dei trattamenti integrativi era dovuto, ad esclusivo carico dei datori di lavoro, un contributo di solidarietà del dieci per cento in favore delle gestioni pensionistiche di legge cui erano iscritti i lavoratori.
3.— Fu sollevata questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., del citato art. 9-bis, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 103 del 1991, nella parte in cui disponeva che per i contributi versati anteriormente all’entrata in vigore di tale norma valesse il principio della soluti retentio in favore delle gestioni degli istituti ed enti previdenziali esercenti la previdenza e l’assistenza obbligatorie.
Questa Corte, con ordinanza di autoremissione, dispose la trattazione davanti a sè della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 38 e 81 Cost., della norma (assunta dal remittente come tertium comparationis) di cui al primo periodo del citato art. 9-bis, comma 1, nella parte in cui esonerava dal pagamento dei contributi di previdenza e assistenza sociale dovuti fino all’entrata in vigore della legge di conversione, sulle contribuzioni o somme versate o accantonate a finanziamento di casse, fondi, gestioni o forme assicurative previsti da contratti collettivi o da accordi o regolamenti aziendali, i datori di lavoro che alla data suddetta non avessero ancora provveduto al pagamento o avessero adempiuto posteriormente.
Con la sentenza n. 421 del 1995, la Corte accolse quest’ultima questione e, conseguentemente, dichiarò non fondata quella originariamente sollevata.
La Corte non soltanto dichiarò l’illegittimità della norma suindicata espungendola quindi dall’ordinamento, ma, nel motivare la statuizione di accoglimento, individuò i principi costituzionali cui il legislatore avrebbe dovuto uniformarsi nel disciplinare la materia e la cui applicazione gli interessati dovevano quindi attendersi.
La Corte definì la norma non di interpretazione autentica, bensì innovativa con efficacia retroattiva e rilevò che non era la retroattività a determinarne l’illegittimità, quanto piuttosto l’aver essa stabilito per gli inadempienti l’esonero totale dal versamento dei contributi senza alcuna "contropartita", "in contrasto con il principio di razionalità-equità (art. 3 Cost.) coordinato con il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) col quale deve integrarsi l’interpretazione dell’art. 38, secondo comma, Cost.".
Nella sentenza venne anche affermato che gli appartenenti alla categoria privilegiata non potevano "fondare un’aspettativa legittima sopra una norma costituzionalmente illegittima" e che, secondo un indirizzo generale della giurisprudenza della Corte (cfr. sentenza n. 6 del 1994), "dalla disciplina costituzionale in vigore non era dato desumere, per i diritti di natura economica, una particolare protezione contro l’eventualità di norme retroattive, salvo soltanto il limite del principio di ragionevolezza".
Con tale pronuncia la Corte, infine, ha affermato che, per rendere la normativa esaminata conforme alla Costituzione, sarebbe stata necessaria l’istituzione anche per il passato di una contropartita analoga al contributo di solidarietà, idonea a dare ragione dell’esonero dalla contribuzione in favore della previdenza obbligatoria, com’é stato chiarito dalla successiva sentenza n. 178 del 2000 (punto 3.6 del Considerato in diritto).
4.— In ottemperanza alla suindicata decisione, i commi 193 e 194 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, hanno nuovamente disciplinato la materia. Con la prima delle citate disposizioni é stato riprodotto, privandolo della definizione di interpretazione autentica, il comma 1 dell’art. 9-bis del d.l. n. 103 del 1991; con la seconda é stato istituito per il passato il richiesto contributo di solidarietà.
Il legislatore, nei limiti della discrezionalità delineati dalla Corte, ne ha determinato la misura nel quindici per cento dei contributi ed ha autonomamente, ma non irragionevolmente – come si vedrà in seguito – fissato il periodo di retroattività, in deroga alle norme sulla prescrizione degli obblighi contributivi di cui all’art. 3, commi 9 e 10, della legge 8 agosto 1995, n. 335, nel decennio anteriore all’emanazione della citata sentenza n. 421 del 1995.
Il contributo che il legislatore ha effettivamente istituito per il passato, sostanzialmente identico (fuorchè nella misura) al contributo di solidarietà esistente nel sistema "a regime", ha dei connotati che portano questa Corte a ritenere trattarsi a tutti gli effetti di un contributo nuovo rispetto alla contribuzione originaria, dotato di quella autonomia propria che gli deriva dalla necessità di regolare tutte le situazioni di inadempienza che, in conseguenza della sentenza n. 421 del 1995, dovevano considerarsi ancora pendenti.
5.— Sollevate da numerosi giudici di merito questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 193 e 194, della legge n. 662 del 1996, tra le quali quella riproposta nel presente giudizio, la Corte, con la sentenza n. 178 del 2000, mentre ha dichiarato l’inammissibilità di quest’ultima per carenza di motivazione sulla rilevanza, ha dichiarato l’infondatezza delle altre attinenti alla disparità di trattamento tra datori di lavoro che avevano adempiuto all’obbligo della contribuzione e datori inadempienti, nonchè tra datori che avevano istituito trattamenti di previdenza integrativa e datori che non lo avevano fatto, ed alla eccessività della misura del quindici per cento determinata per il passato rispetto a quella del dieci per cento stabilita per il contributo di solidarietà a regime, ormai svincolato da ogni riferimento all’art. 12 della legge n. 153 del 1969 ed alla composizione della retribuzione imponibile.
La Corte ha rilevato che "numerosi elementi – quali lo stretto collegamento con le specifiche particolarità del caso; la delimitazione temporale del periodo contributivo di riferimento; la necessità di disciplinare ex novo in generale, per tale periodo, l’obbligazione contributiva dei datori di lavoro esonerati dalla contribuzione (senza alcuna contropartita), in forza dell’art. 9-bis, comma 1, prima parte, del decreto legge n. 103 del 1991, norma dichiarata illegittima da questa Corte con sentenza n. 421 del 1995 – danno, poi, nel loro complesso, piena ragione dell’efficacia retroattiva e della funzione di sanatoria assolta dalla norme denunciate, così da doversi escludere, anche sotto tali profili, la violazione dell’art. 3 Cost.".
6.— Ai principi individuati dalla Corte nelle citate sentenze n. 421 del 1995 e n. 178 del 2000 vanno aggiunte alcune considerazioni.
Nel caso in esame, in ottemperanza alla sentenza n. 421 del 1995, il legislatore doveva stabilire una contropartita per poter ribadire l’esonero dal pagamento dei contributi previdenziali obbligatori secondo i criteri di cui all’art. 12 della legge n. 153 del 1969. Delimitando il periodo di retroattività cui riferire il contributo del quindici per cento in cui si realizza la suindicata contropartita, il legislatore non é andato sostanzialmente oltre il decennio anteriore alla pubblicazione della sentenza n. 421 del 1995 di questa Corte, sul presupposto che per i debiti scaduti in tale periodo non poteva essere decorso il termine di prescrizione all’atto della pubblicazione stessa e che da tale momento i datori inadempienti non potevano nutrire alcun legittimo affidamento. Infatti il definitivo esonero dal pagamento degli ordinari contributi, per non porsi in contrasto con i principi di razionalità-equità e di solidarietà, avrebbe dovuto necessariamente essere bilanciato da una contropartita, analoga al contributo di solidarietà; e d’altra parte, la determinazione del contributo in misura notevolmente inferiore al debito originario, senza oneri accessori e con modalità di pagamento rateale, costituisce un indubbio beneficio per i datori di lavoro.
In conclusione, la norma denunciata non ha violato il principio della certezza del diritto, non avendo reso imprescrittibili ed esigibili in ogni tempo le contribuzioni dovute per il periodo anteriore all’entrata in vigore della legge n. 166 del 1991, di conversione con modifiche del d.l. n. 103 del 1991.
Nessun altro profilo di illegittimità residua che non sia stato già scrutinato e rigettato da questa Corte con la citata sentenza n. 178 del 2000.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 194, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale di Firenze con le ordinanze di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 aprile 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2002.