Ordinanza n. 102 del 2002

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ORDINANZA N. 102

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Massimo VARI, Presidente

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 300 e 305 del codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 31 gennaio 2000 dal Tribunale di Prato nel procedimento civile vertente tra il Comune di Prato (subentrato alla Casa di riposo di Prato) e Preti Andrea, iscritta al n. 225 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2002 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che il Tribunale di Prato, nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha sollevato, con ordinanza del 31 gennaio 2000, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 300 e 305 del codice di procedura civile "nella parte in cui prevedono l’estinzione del processo in corso per mancata riassunzione nel termine perentorio di sei mesi dall’interruzione, anche nel caso di estinzione di un ente pubblico";

che il giudizio a quo, interrotto nel febbraio del 1998 a causa della estinzione della originaria parte opponente IPAB Casa di riposo di Prato, era stato riassunto dal Comune di Prato, succeduto all’ente estinto, nel novembre del 1999 e, quindi, oltre il termine perentorio di sei mesi dall’interruzione;

che la parte opposta aveva, pertanto, chiesto, ai sensi dell’art. 307, quarto comma, del codice di procedura civile, la dichiarazione di estinzione del giudizio;

che il rimettente, richiamata la giurisprudenza di questa Corte, ritiene che in caso di evento interruttivo riguardante un ente pubblico costituito a mezzo di procuratore, il combinato disposto degli artt. 300 e 305 del codice di procedura civile sia in contrasto con l’art. 24 della Costituzione;

che, secondo lo stesso rimettente, infatti, la precitata normativa non garantirebbe che l’ente pubblico che giuridicamente succede a quello estinto sia o venga a conoscenza dell’evento interruttivo e della necessità di procedere alla riassunzione del processo, essendo la conoscibilità dell’evento suddetto rimessa solo al difensore dell’ente estinto;

che, qualora, come nella specie, il successore sia un ente pubblico e, quindi, di difficile individuazione, esso sarebbe obbligato a "seguire iter e procedure legislativamente vincolanti", che non gli consentirebbero "di utilizzare pienamente il termine dei sei mesi" o che richiederebbero un tempo talvolta anche superiore a detto termine, con conseguente disparità di trattamento rispetto agli altri soggetti di diritto e violazione del diritto di difesa;

che, ad avviso del giudice a quo, sarebbe irrilevante la circostanza che l’art. 300 del codice di procedura civile consenta al procuratore della parte costituita di dilazionare il termine in cui dichiarare l’evento interruttivo, trattandosi sempre di una condotta riferibile al "procuratore di una parte terza rispetto a quella che si deve costituire";

che, infine, la questione sarebbe rilevante per la definizione del giudizio a quo in quanto, in mancanza della declaratoria di incostituzionalità della norma censurata, il rimettente dovrebbe dichiarare la estinzione del giudizio stesso;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

che, in particolare, secondo la parte pubblica, l’esclusione degli enti pubblici dal meccanismo estintivo per il caso di mancata riassunzione nel termine perentorio di sei mesi dall’interruzione, consentirebbe la riassunzione del processo sine die, con evidente compromissione del principio di certezza delle situazioni giuridiche inerenti al processo e determinerebbe un’inaccettabile discriminazione in favore degli enti pubblici in violazione del principio generale della soggezione, nei rapporti di carattere privatistico, della pubblica amministrazione "ai medesimi oneri gravanti sui privati";

Considerato che la questione investe, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, il combinato disposto degli artt. 300 e 305 del codice di procedura civile nella parte in cui prevede la estinzione del processo in caso di mancata riassunzione nel termine di sei mesi dal momento della dichiarazione di interruzione, anche nel caso in cui la parte costituita, al venir meno della quale é connessa la interruzione del processo, sia un ente pubblico;

che la violazione dell’art. 24 Cost. é affermata dal rimettente in base alla considerazione che la parte onerata della riassunzione potrebbe, senza sua colpa, ignorare sia la esistenza dell’evento interruttivo sia la necessità di procedere alla riassunzione dipendendo la conoscibilità dell’interruzione dal procuratore della parte venuta meno o che abbia perso la capacità processuale;

che, in tal modo, il rimettente omette di considerare che nell’attuale sistema del processo civile la interruzione del processo per morte o perdita di capacità processuale della parte costituita non é frutto di un automatismo ma consegue esclusivamente ad apposita dichiarazione fatta dal procuratore della parte stessa;

che l’esistenza a carico di tale procuratore dell’obbligo, rilevante sia in sede civile che disciplinare, di informare dell’evento interruttivo il successore della parte originaria al fine di concordare con questo se e quando dichiarare in giudizio l’evento stesso, vale a tutelare adeguatamente detta parte potenziale (cfr. sentenza n. 136 del 1992 nonchè ordinanza n. 151 del 2000);

che la tutela in tal modo assicurata dalla presenza del procuratore costituito é identica sia per i soggetti privati che per quelli pubblici, mentre eventuali difficoltà che gli uni e gli altri possano incontrare nell’esercizio del diritto di difesa, in quanto riferibili non alla norma impugnata ma alla sua concreta applicazione, non valgono a configurare vizi di costituzionalità della norma stessa (cfr. sentenza n. 309 del 1995, ordinanze n. 356 del 1999 e n. 434 del 1998);

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudici davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 300 e 305 del codice di procedura coivile, sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dal Tribunale di Prato con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 2002.

Massimo VARI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2002.