SENTENZA N. 136
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 305 del codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 14 marzo 1991 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra il Fallimento della S.p.a. Finshipping e United Nations High Commissioner for Refugees ed altra iscritta al n. 393 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di costituzione del fallimento della S.p.a. Finshipping nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 febbraio 1992 il Giudice relatore Renato Granata;
udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri
Ritenuto in fatto
1. In un giudizio civile per risarcimento del danno interrotto ex art.300, co. 2, c.p.c., a seguito di dichiarazione di intervenuto fallimento della società attrice resa dal suo procuratore in udienza, e poi riassunto dal curatore del fallimento, l'adito Tribunale di Genova - rilevato che il convenuto aveva preliminarmente eccepito l'estinzione del processo per tardività della riassunzione e che questa risultava, in atti, effettivamente attuata < < oltre il termine perentorio di sei mesi dall'interruzione>> fissato dall'art. 305 c.p.c. - ha ritenuto rilevante, al fine del decidere sulla riferita eccezione, oltrechè non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 24 Cost., ed ha perciò sollevato - con ordinanza del 14 marzo 1991 - questione incidentale di legittimità costituzionale del predetto art. 305 nella parte appunto in cui anche nel caso di interruzione del giudizio a seguito di dichiarazione del procuratore della parte fallita, ex art. 300 cpv. cit., fa pur sempre decorrere il termine utile per la riassunzione del processo dal momento in cui l'interruzione si è verificata, anzichè da quello in cui il curatore del Fallimento ne abbia avuto conoscenza.
Secondo il Collegio a quo - che richiama in premessa le sentenze di questa Corte n. 139/67 e n. 159/71, relative a precedenti parziali declaratorie di illegittimità dello stesso art. 305 rese in fattispecie (a suo avviso) analoghe di decorrenza del termine per la riassunzione dalla data dell'evento interruttivo anzichè da quella della sua conoscenza da parte dei soggetti interessati alla prosecuzione del processo - si verificherebbe, infatti, pure nella specie (al pari che nelle ipotesi considerate dalle riferite pronunzie) una sostanziale elusione della garanzia della tutela giurisdizionale e della difesa. In danno, in questo caso, del curatore del fallimento che potrebbe in concreto ignorare od avere comunque solo tardiva notizia dell'evento interruttivo, assunto a dies a quo del termine utile per la riassunzione del giudizio.
2. Nel giudizio innanzi a questa Corte, si è costituito il Fallimento della s.p.a. Finshipping che, nell'aderire alle conclusioni dell'autorità rimettente, ha contestato (in particolare con successiva memoria) che possa anche nella specie (così come già sostenuto dalla Corte di Cassazione nel ritenere la manifesta infondatezza di analoga questione di costituzionalità dell'art. 305 c.p.c. con riguardo alla decorrenza del termine per la riassunzione del processo nei confronti degli eredi della parte defunta) ipotizzarsi un obbligo del procuratore, cui spetta di dichiarare il fatto interruttivo, di informare il soggetto o i soggetti interessati a proseguire il giudizio.
Un obbligo siffatto del procuratore mandatario non sarebbe infatti configurabile nei riguardi del curatore del fallimento. Sia perchè quest'ultimo non potrebbe equipararsi ad un successore del fallito; sia perchè non si avrebbe alcuna sopravvivenza della rappresentanza processuale in capo al procuratore costituito in caso di fallimento del mandante: "come dimostrato dal fatto che la parte non colpita dall'evento interruttivo per riassumere il processo deve notificare il ricorso ed il decreto di fissazione della nuova udienza al curatore, non avendo alcuna validità la notifica eseguita presso il procuratore del fallito che non ha più alcun titolo per riceverla".
Con la conseguenza che, in mancanza di un tale obbligo del procuratore di informare il curatore dell'esistenza del processo, la decorrenza del termine semestrale di cui all'art. 305 c.c. dalla data della dichiarazione dell'avvenuta interruzione, a prescindere dalla conoscenza in fatto da parte del curatore della pendenza del processo e della sua interruzione, comporterebbe appunto la denunciata violazione del diritto alla difesa, "dal momento che la possibilità di riassumere tempestivamente il processo finirebbe per dipendere dal fatto puramente casuale che il procuratore del fallito provveda ad informare il curatore del fallimento dell'avvenuta interruzione".
3. É intervenuto altresì in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura di Stato che ha eccepito: a) in linea preliminare, l'inammissibilità dell'impugnativa, in quanto prospettata "in via astratta ed ipotetica, non essendo stata dedotta dal curatore, a quanto emerge dall'ordinanza, una conoscenza del processo interrotto successiva alla dichiarazione in questo resa dal procuratore del fallito e la tempestività della riassunzione rispetto alla conoscenza avutane"; b) in linea subordinata, l'infondatezza della questione.
Invero, diversamente dalle situazioni di interruzione automatica - cui propriamente si riferiscono i precedenti costituzionali richiamati dal giudice a quo - nel caso di specie, come in tutte le altre ipotesi (riconducibili alle previsioni dei commi 1 e 2 dell'art. 300 c.p.c.) in cui l'interruzione del processo consegue ad una formale dichiarazione operata dal procuratore della parte colpita dall'evento che giustifica l'interruzione, sarebbe proprio il meccanismo di siffatta dichiarazione, specificamente inerente ad un obbligo cui è tenuto il procuratore nell'esercizio del suo mandato, ad attuare la garanzia di tutela della difesa degli interessi (rispetto ai quali la stessa dichiarazione si collocherebbe in posizione servente) dei soggetti cui compete di proseguire il processo.
Considerato in diritto
1. La Corte è chiamata a verificare se contrasti con l'art.24 Cost. la norma dell'art. 305 c.p.c. nella parte in cui - con specifico riferimento all'ipotesi di interruzione del giudizio per effetto di dichiarazione di intervenuto fallimento della parte costituita resa dal suo procuratore in udienza, ex art. 300, comma secondo c.p.c. - non fa decorrere il termine di sei mesi per la correlativa riassunzione dal giorno della effettiva conoscenza dell'evento interruttivo da parte del curatore del fallimento.
2. Della riferita questione l'Avvocatura di Stato, per l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità sotto il profilo del difetto di motivazione sulla rilevanza.
Ma tale eccezione va senz'altro respinta. Infatti la norma impugnata (statuendo che il giudizio ineludibilmente si estingue in conseguenza del mero fatto storico della mancata prosecuzione o riassunzione nel termine decorrente dal giorno della dichiarazione resa in udienza dal procuratore della parte fallita) rappresenta uno sbarramento - non superabile se non con la invocata dichiarazione di incostituzionalità - per il giudice a quo, che di tale tassativa regola deve fare - come testualmente egli sottolinea - < < senz'altro>> applicazione. Ed anche nel caso che - una volta emendata nel senso auspicato la norma censurata - la prosecuzione del giudizio risultasse in fatto egualmente tardiva pure alla stregua della nuova disciplina, si avrebbe soltanto identità di effetti pratici, ma diversità della < < ratio decidendi>>, cioè della regola giuridica applicata. E tanto basta per ritenere la questione rilevante (ord.409/1991; sent. 148/1983 n. 3).
3.1. Nel merito, deve però escludersi che nell'ipotesi considerata - di fallimento della parte costituita a mezzo di procuratore - sussista l'ipotizzata violazione del diritto di difesa in danno del curatore del fallimento, per il fatto che ai sensi del denunciato art. 305 il dies a quo del termine per la riassunzione coincida con la data stessa dell'interruzione.
Diversamente che nei casi di morte o perdita della capacità della parte non costituita (art. 299 c.p.c.) e di morte od impedimento del procuratore (art.301 c.p.c.) (ai quali, rispettivamente si riferiscono le sentenze 159/71 e 139/1967, qui non utilmente richiamate), ed in cui l'interruzione del processo interviene automaticamente nel momento nel quale si verifica l'evento impeditivo, nelle ipotesi invece di perdita delle capacità, anche in conseguenza di fallimento, come in quella di morte della parte costituita (art. 300 c.p.c.), l'interruzione non è automatica ma interviene soltanto se il procuratore della parte, cui l'evento si riferisce, ne renda nota la causa.
Per il disposto del comma primo del citato art. 300, la produzione degli effetti interruttivi è invero, in detti casi, subordinata alla dichiarazione (cui si attribuisce carattere di manifestazione di volontà e non di scienza) che il procuratore della parte fallita (o deceduta) - ed egli soltanto - faccia in udienza dell'evento in questione; ed in difetto della quale - per consolidata giurisprudenza - il processo prosegue regolarmente nei confronti della parte (dichiarata fallita o defunta).
La sopravvivenza (o ultrattività) - così codificata - della rappresentanza processuale al fallimento o morte del mandante si spiega, peraltro, proprio in funzione della esigenza (avuta di mira dal legislatore) di tutelare gli interessi degli aventi causa dal soggetto colpito dall'evento interruttivo: che sottintende di conseguenza un obbligo del procuratore di rendere noto a quei soggetti l'evento medesimo, concordando con essi la correlativa dichiarazione.
Un tale obbligo, anche se non esplicitato nel richiamato art.300, trova infatti il suo referente normativo, sul piano sostanziale, nel combinato disposto dell'art. 1728 comma primo c.c. [la cui applicabilità anche al caso del fallimento del mandante è ritenuta dalla prevalente dottrina, con cui concorda la giurisprudenza della Corte regolatrice, sia pur relativa alla parallela ipotesi, sub co. 2 della stessa norma, di fallimento del mandatario) e dell'art. 1710 cod. civ. A tenore dei quali < < quando il mandato si estingue per morte od incapacità sopravvenuta>> [come nel caso di fallimento] < < del mandante, il mandatario che ha iniziato l'esecuzione deve continuarla se vi è pericolo nel ritardo>> (art.1728 cit.): ed a lui di conseguenza incombe anche di rendere note le circostanze sopravvenute che incidono sulla sorte del mandato (art.1710).
Informazione, questa, che nel caso di mandato processuale ha appunto come naturali destinatari gli aventi causa del mandante che nel processo sono chiamati a succedergli (111 c.p.c.).
3.2. L'esistenza di un obbligo siffatto del difensore-mandatario di comunicare tempestivamente l'evento interruttivo agli aventi causa dalla parte da lui rappresentata, che ne è colpita, è stata del resto già ritenuta anche dalla Corte di Cassazione.
E - se pur la fattispecie in cui questa ha avuto occasione di pronunziarsi riguardava un caso di interruzione del processo per morte della parte costituita - i principi in quella sede enunciati sono certamente estensibili anche alla ipotesi dell'interruzione per fallimento.
Ciò per il parallelismo che esiste, agli effetti considerati, tra la posizione dell'erede che succede al de cuius ex art. 110 c.p.c. e quella del curatore che subentra al fallito < < nelle controversie ancora in corso relative a rapporti patrimoniali>>, ai sensi dell'art. 43 della legge fallimentare.
Nè rileva in contrario quanto dedotto dalla difesa della società sulla < < irritualità di una eventuale notifica dell'atto di riassunzione (ad istanza della controparte) nei confronti del curatore presso l'ex procuratore del fallito>>: poichè la regola che impone la notifica personale dell'atto riassuntivo - pacificamente applicabile anche nel caso di riassunzione nei confronti dell'erede o degli eredi della parte defunta (salvo la forma alternativa di cui al 2 comma dell'art. 303 c.p.c.) - non implica (come si pretende) una posizione di terzietà del soggetto convenuto in riassunzione rispetto alla parte colpita dall'evento interruttivo, essendo mera conseguenza della cessazione, per effetto della dichiarata interruzione, della rappresentanza tecnica che legittima la notifica degli atti al procuratore costituito nel paradigma dell'art. 170 c.p.c.
4. Stante quindi la possibilità per il curatore del fallimento - in dipendenza del riferito obbligo di informazione a carico del procuratore del fallito - di avere preventiva e comunque tempestiva conoscenza della pendenza del processo e della sua interruzione, nessuna violazione del diritto di difesa è di conseguenza prospettabile, in suo danno, sotto il profilo della integrale utilizzabilità del termine per la riassunzione del giudizio.
Nè a superare tale conclusione vale l'obiezione che l'effettività della difesa potrebbe essere nel concreto vanificata dall'eventuale inadempienza del procuratore del fallito: da un tale inconveniente pratico non potendo infatti derivare un vizio di incostituzionalità della norma, la cui legittimità va apprezzata in funzione della corretta osservanza dell'ordinamento giuridico complessivo e non delle possibili sue violazioni, mentre a prevenire e reprimere l'inconveniente stesso appaiono sufficienti, oltre alle sanzioni comminabili in seguito a giudizio disciplinare da parte degli ordini forensi, l'obbligo del risarcimento del danno che ne risulti derivato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità dell'art.305 c.p.c., nella parte in cui anche in caso di fallimento della parte costituita fa decorrere dalla interruzione del processo il termine utile per la sua riassunzione, sollevata, in riferimento all'art. 24 Cost., dal Tribunale di Genova, con l'ordinanza in epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/03/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 27 marzo del 1992.