Sentenza n. 139 del 1967
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SENTENZA N. 139

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 301 e 305 del Codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 17 gennaio 1966 dal Tribunale di Catania nel procedimento civile vertente tra Rapisarda Placido e la Società Carlo Mattone e figli, iscritta al n. 23 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 del 12 marzo 1966;

2) ordinanza emessa il 16 febbraio 1966 dalla Corte suprema di cassazione - sezione prima civile - nel procedimento civile vertente tra la Società Ital. Coop. Import-Esport Coltd e la Società Polskie Linje Oceanicze, iscritta al n. 122 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 27 agosto 1966;

3) ordinanza emessa il 10 novembre 1966 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Sabatucci Fortunato e Primucci Annibale contro Benedini Romolo, Vincenzo e Vittorio, iscritta al n. 236 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1967;

4) ordinanza emessa il 28 novembre 1966 dalla Corte d'appello di Bologna nel procedimento civile vertente tra Grutti Carlo e Musolesi Lucia, iscritta al n. 64 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 22 aprile 1967.

Visti gli atti di costituzione della Società Carlo Mattone e figli e di Rapisarda Placido, Sabatucci Fortunato e Benedini Romolo, Vincenzo e Vittorio;

udita nell'udienza pubblica del 7 novembre 1967 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi gli avvocati Vincenzo Vacirca ed Enrico La Pergola, per la Società Mattone, e l'avv. Corrado Noulian, per Sabatucci Fortunato.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Corte é chiamata a giudicare, in riferimento all'art. 24 della costituzione, sulla legittimità costituzionale delle norme del Codice di procedura civile che dispongono l'interruzione del processo nel caso di morte o impedimento del procuratore e l'estinzione del processo medesimo ove esso non sia proseguito o riassunto entro il termine perentorio di sei mesi dall'interruzione. Il giudizio é stato promosso con ordinanze 17 gennaio 1966 del Tribunale di Catania, 16 febbraio 1966 della Corte suprema di cassazione, 10 novembre 1966 del Tribunale di Roma, 28 novembre 1966 della Corte di appello di Bologna. Dalla prima e dalla terza ordinanza sono denunciati specificatamente gli artt. 301, primo comma, e 305, primo comma, del Codice predetto; dalla seconda e dalla quarta vengono denunciati genericamente gli artt. 301 e 305.

Il Tribunale di Catania muove dalla giurisprudenza della Corte di cassazione per cui la morte del procuratore di una delle parti produce senz'altro l'interruzione del processo, indipendentemente da qualsiasi comunicazione o notificazione, sicché dal giorno della morte del procuratore decorre il termine per la riassunzione o la prosecuzione del processo. Codesto automatismo, se giova alla parte interessata, impedendo o invali dando l'attività processuale eventualmente svolta dopo l'evento interruttivo, può tradursi in irreparabile danno per la stessa quando la medesima non abbia avuto notizia della morte o dell'impedimento del proprio difensore: nell'ipotesi che essa abbia impugnato un provvedimento giurisdizionale, l'ignoranza dell'evento interruttivo potrebbe, decorsi i termini di durata dell'interruzione, con la estinzione del processo, provocare il passaggio in giudicato del provvedimento e menomare il diritto di difesa della stessa parte a cui favore é disposta l'interruzione del processo. La parte non ha il dovere di mantenere frequenti contatti col difensore, e, del resto, circostanze varie possono farli diradare; pertanto diviene assai discutibile la presunzione di conoscenza dell'evento interruttivo su cui le norme impugnate si fondano.

Le altre tre ordinanze, ritenuto infondato l'assunto che l'interruzione del processo decorra dalla data in cui la parte ne ebbe notizia, osservato che l'interruzione automatica del processo serve a tutelare la parte a danno della quale si é verificato l'evento interruttivo e che, in tempi in cui le cause civili si trascinano di rinvio in rinvio talora per anni, non sembra lecito escludere che l'evento predetto rimanga ignoto sia alla controparte che al cliente, rilevano che il concetto di difesa in giudizio, di cui all'art. 24 della costituzione, implica, non soltanto la possibilità di avere un difensore, ma anche il diritto di essere tempestivamente informato, in regolare contraddittorio, delle situazioni di fatto obiettive o subiettive cui la legge ricollega, condiziona o subordina il concreto esercizio della difesa stessa.

L'ordinanza del Tribunale di Catania é stata notificata alle parti il 20 e 21 gennaio 1966, al Presidente del Consiglio dei Ministri il 28 successivo. É stata comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in data 21 e 22 gennaio 1966; é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 12 marzo 1966 n. 64.

L'ordinanza della Corte di cassazione é stata notificata alle parti il 30 aprile ed il successivo 2 maggio 1966, al pubblico ministero lo stesso giorno 2 maggio e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 30 aprile 1966; é stata comunicata ai Presidenti delle due Camere in data 2 maggio 1966 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 27 agosto 1966 n. 213.

L'ordinanza del Tribunale di Roma é stata notificata alle parti il 3 e 6 dicembre 1966 ed in quest'ultima data anche al pubblico ministero; é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 3 dicembre 1966 e comunicata ai Presidenti delle due Camere il successivo 7 dicembre; é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 28 gennaio 1967, n. 25.

L'ordinanza della Corte d'appello di Bologna é stata notificata alle parti e al pubblico ministero il 20 febbraio 1967, al Presidente del Consiglio dei Ministri il giorno 23 successivo; é stata comunicata ai Presidenti delle due Camere il 18 febbraio 1967 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 22 aprile 1967, n. 102.

Nella causa promossa dal Tribunale di Catania e da quello di Roma sono comparse le parti private, rispettivamente, Placido Rapisarda e Carlo Mattone e figli, Fortunato Sabatucci e Benedini Romolo, Vincenzo e Vittorio; nessuna parte privata é comparsa per le altre cause. Non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

2. - Placido Rapisarda esclude che la norma dell'art. 301 possa ricondursi ad una presunzione di conoscenza degli eventi considerati interruttivi, e comunque ad una presunzione iuris et de iure e ritiene invece che essa ha riguardo all'esigenza di tutela della parte a carico della quale si é determinato l'evento, e quindi é rigorosamente informata ai principi che regolano la difesa. É l'art. 305 che contrasta con tali principi perché accomuna i due ordini di eventi previsti dagli artt. 300 e 301, e cioè quelli che riguardano la parte, i quali producono l'interruzione a decorrere dalla comunicazione che se ne dà, e quelli che riguardano il procuratore, per i quali non é richiesta alcuna comunicazione; cosicché, mentre l'art. 300 ha concesso alla parte il diritto di conoscere l'evento interruttivo, l'art. 301 non glielo ha consentito, e pertanto l'istituto dell'interruzione, ideato per il rispetto del principio del contraddittorio, é suscettibile di subire uno sviluppo decisamente contrario a quello scopo. La Corte costituzionale ha sancito la necessità di una difesa effettiva e adeguata, e deve ritenersi che la difesa non é garantita tutte le volte che la parte sia nell'impossibilità di condurre il processo alla decisione del giudice, non solo per assoluta ignoranza, ma anche solo per imperfetta conoscenza delle circostanze che nel processo giuocano a suo svantaggio. La parte che non ha notizia degli eventi considerati nell'art. 301 non ha modo e ragione per impedire che si compia il periodo di tempo previsto per l'estinzione del processo e che si producano a suo danno, sempre se attrice, ma eventualmente se convenuta, effetti irreparabili sul piano del diritto processuale e sostanziale. Non é in pratica improbabile che la parte resti priva di contatti con il suo difensore per lunghi periodi di tempo ed anzi questa lunga mancanza di contatti é l'id quod plerumque accidit; il principio dell'interruzione può rientrare nell'ambito della costituzionalità se si fa decorrere il termine per l'estinzione dalla notificazione ad opera della parte interessata, del giudice e del cancelliere.

Sabatucci Fortunato si riporta alle ordinanze del Tribunale di Catania e di quello di Roma, e contrasta la razionalità della presunzione iuris et de iure di conoscenza dell'evento, sia per la parte al cui difensore si riferisce l'evento stesso, sia per la controparte.

3. - Mattone e figli si richiamano ad una dottrina secondo la quale esiste un onere di informazione reciproco, quanto ai rispettivi status, tra le parti e tra questi e i difensori e la questione di costituzionalità si riducono ad un giudizio di congruità dello spatium deliberandi, che rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore. L'evento interruttivo si presume noto e l'inerzia diventa un fatto volontario della parte, a lei solo imputabile. Se si dichiarasse incostituzionale l'art. 301 verrebbe meno l'effetto interruttivo automatico, con pregiudizio della parte rimasta senza procuratore e se si dichiarasse l'incostituzionalità dell'art. 305, cadrebbe l'istituto dell'estinzione del processo. Se poi l'art. 305 si dichiarasse incostituzionale per la parte che si riferisce all'art. 301, si sacrificherebbe all'interesse di chi non si cura dei propri affari l'interesse pubblico alla speditezza dei processi: la parte é in grado di sostituire il suo procuratore, purché sia diligente, e non si può parlare perciò di violazione del diritto di difesa. Vengono infine richiamate alcune sentenze di questa Corte sulla congruità dei termini processuali.

Romolo, Vincenzo e Vittorio Benedini escludono che l'art. 301 ponga in discussione il diritto di difesa, essendo posto proprio a tutelare gli interessi della parte rimasta priva di difensore; la controparte però può benissimo accertarsi circa l'evento produttivo dell'interruzione.

4. - Mattone e Benedini hanno depositato memorie nelle quali ribadiscono i loro assunti.

All'udienza del 7 novembre 1967 le difese delle parti hanno illustrato le rispettive tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le cause vanno riunite perché riguardano la medesima questione.

2. - Essa é più logicamente impostata dalla Corte di cassazione sotto il profilo, non tanto dell'illegittimità dell'art. 301 del Codice di procedura civile che dispone l'interruzione automatica del processo nei casi ivi previsti, quanto dell'illegittimità della norma dell'art. 305 dello stesso Codice che fa decorrere il termine per la prosecuzione o la riassunzione del processo, non dalla notizia che dell'evento interruttivo abbia avuto la parte, ma dalla data in cui questo evento si é verificato.

L'automaticità dell'interruzione é posta proprio a tutela del diritto di difesa della parte, che resta priva delle ius postulandi: resta immediatamente impedito lo svolgimento di qualsiasi attività processuale, alla quale la parte non potrebbe convenientemente provvedere e contro la quale non potrebbe reagire. Far risalire l'effetto interruttivo alla data dell'evento, com'é disposto nell'art. 301, risulta pertanto del tutto coerente al dettato dell'art. 24 della costituzione; e non si può far richiamo al diverso sistema previsto nell'art. 300, che fa iniziare l'interruzione causata dalla morte e dall'incapacità della parte dalla dichiarazione che se ne fa in giudizio o dalla sua notificazione, perché in questo secondo caso v'é continuità di assistenza tecnica, per cui resta assicurata una sufficiente difesa agli interessi dedotti in giudizio, in attesa della dichiarazione o della notificazione, dato il carattere fondamentale del principio per cui é il procuratore costituito che rende la parte presente in giudizio a tutti gli effetti.

Ciò che non concorda con il precetto dell'art. 24 della costituzione é invece la regola dell'art. 305 dello stesso Codice, perché fa decorrere dalla data dell'evento ivi previsto, anziché dalla dichiarazione o dalla notificazione del medesimo, il termine stabilito per la prosecuzione o la riassunzione del processo.

Questo sistema acquista speciale rilievo quando la parte colpita é attrice nei procedimenti d'impugnazione: l'ignoranza del fatto interruttivo può determinare il passaggio in giudicato o l'esecutività, rispettivamente, della sentenza impugnata e dell'ingiunzione opposta. La giurisprudenza infatti ha giudicato che il termine dell'art. 305 decorre dal giorno del fatto interruttivo anche nei giudizi d'impugnazione, facendo così prevalere la formulazione generica della normativa alla sua ratio, che si esaurisce nel predisporre la protezione della parte cui viene a mancare l'assistenza del procuratore.

La difesa deve essere garantita in ogni grado del processo; ma non la si protegge in tal estensione quando la disposizione di tutela, utile per un grado, é causa di pregiudizio se applicata nel grado successivo. La difesa deve essere garantita in ogni stato del processo, ma non la si garantisce in relazione alla vicenda interruttiva se l'interruzione é ordinata in maniera produttiva di svantaggi ad alcune dei contendenti. Il modo di tale ordinamento deve essere apprezzato in senso integrale, vale a dire, non solo per ciò che giova a chi é rimasto privo del procuratore, ma altresì perciò che gli nuoce. E perciò non basta che, mediante l'interruzione automatica, la parte sia preservata dal rischio di un'attività processuale compiuta in danno di lei, ma occorre, perché le sia assicurato il diritto di difesa, che sia altresì posta al riparo dal pericolo che, persistendo tale inscientia, maturino preclusioni in suo danno.

Non convince assumere che la parte deve presumersi a conoscenza della vicenda che colpisce il suo procuratore o ha l'onere di tale conoscenza, perché ciò é in contrasto col fatto che l'evento produce e deve produrre l'interruzione del processo, e cioè un vantaggio per colui contro il quale si indirizzerebbe la presunzione o al quale sarebbe imposto l'onere.

Non é persuasivo nemmeno ridurre la questione ad un argomento di congruità dello spatium deliberandi concesso nell'art. 305.

Il problema dell'adeguatezza di un termine legale di deliberazione sorge in quanto sia certo che la norma ponga il soggetto in grado di utilizzare nella sua interezza il tempo da essa assegnato; e nella specie invece, per quel che si é detto, deve escludersi questa utilizzabilità. Una cosa, vale a dire, é la valutazione dell'opportunità di fissare un termine per il compimento di un atto e della discrezionalità usata nel fissarne i limiti, altra cosa é la questione della legittimità del criterio adottato per la decorrenza del termine, ove questo cominci dalla data di un evento di cui il soggetto non é messo in condizione di conoscere l'avverarsi.

Questo secondo problema tocca il diritto di difesa quando il termine é di natura processuale, in quanto quel diritto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve essere assicurato in modo effettivo ed adeguato, indipendentemente dal fatto che la parte voglia valersene. In tal caso può venire in giuoco anche l'esigenza di non rendere impossibile il contraddittorio, che non si può svolgere, come esattamente si rileva nell'ordinanza della Cassazione, senza la conoscenza delle situazioni di fatto obiettive e subiettive cui la legge ricollega, condiziona e subordina, in virtù di oneri, preclusioni e decadenze, il concreto esercizio del diritto di difesa.

3. - Deve dichiararsi perciò l'illegittimità costituzionale dell'art. 305 del Codice di procedura civile per ciò che riguarda la decorrenza del termine, con riferimento alle ipotesi di interruzione ex art. 301 dello stesso Codice.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 305 del Codice di procedura civile per la parte in cui fa decorrere dalla data dell'interruzione del processo il termine per la sua prosecuzione e la sua riassunzione anche nei casi regolati dal precedente art. 301.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI 

 

Depositata in cancelleria il 15 dicembre 1967.