ORDINANZA N.359
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis,
comma 1, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) - introdotto dal decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa), convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, e successivamente modificato dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - promosso con ordinanza emessa il 29 giugno 2000 dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, iscritta al n. 173 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha sollevato, in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante <<Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà>> - introdotto dal decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa), convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, e successivamente modificato dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - nella parte in cui impedisce, in assenza della collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordinamento, l'ammissione alla liberazione condizionale dei soggetti condannati all'ergastolo per taluno dei delitti ivi indicati;
che il rimettente premette:
- di essere investito di una richiesta di liberazione condizionale da parte di un soggetto in espiazione della pena dell'ergastolo, risultante dal cumulo di due condanne, rispettivamente a ventisei anni di reclusione e all'ergastolo, per due delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione;
- che il condannato ha già usufruito di permessi premio dal 1987 al 1992, e che, dopo un'interruzione conseguente all'entrata in vigore del decreto-legge n. 306 del 1992, é stato di nuovo ammesso a tale beneficio;
- che nel 1993 l'istante ha commesso una estorsione in danno di un altro detenuto, a seguito della quale é stato sottoposto al regime di massima sicurezza dall'ottobre 1993 al marzo 1994, e che per tale delitto é stato condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione con sentenza passata in giudicato nel 1998;
- che successivamente al delitto di estorsione il condannato, oltre ad essere stato nuovamente ammesso ai permessi premio, ha continuato a fruire della liberazione anticipata, sino a vedersi riconosciuti 1605 giorni di riduzione della pena;
che, ai fini della rilevanza della dedotta questione di legittimità costituzionale, il rimettente espone che sussistono <<le condizioni temporali di ammissibilità>> al beneficio della liberazione condizionale, in quanto alla pena effettivamente espiata - circa ventidue anni di reclusione - debbono essere aggiunti quattro anni e sei mesi di pena scontata a titolo di liberazione anticipata;
che, al riguardo, il rimettente precisa però che il passaggio in giudicato della condanna riportata per il delitto di estorsione commesso nel 1993 <<comporterà la verifica della revocabilità o meno di parte della riduzione pena in relazione alla condanna subita e alla incompatibilità della stessa con il mantenimento del beneficio>>;
che, quanto al requisito della collaborazione con la giustizia, richiesto dall'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, dell'ordinamento penitenziario in relazione ai titoli di reato ivi indicati, il rimettente rileva che l'istante non si trova in una situazione di collaborazione inesigibile, equiparabile - alla stregua della giurisprudenza costituzionale (in particolare, viene richiamata la sentenza n. 68 del 1995) - alla condotta descritta dall'art. 58-ter del medesimo ordinamento;
che la non ammissibilità al beneficio della liberazione condizionale non sarebbe neppure superabile sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 445 del 1997, in quanto, se é vero che il condannato aveva intrapreso prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 306 del 1992 un valido percorso riabilitativo, il delitto di estorsione commesso nel 1993 ha comportato l'interruzione del processo di rieducazione in atto;
che, ai fini della non manifesta infondatezza della questione, il rimettente rileva che tale situazione <<determina la perpetuità effettiva e definitiva della pena dell’ergastolo>>, precludendo, in violazione del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena, il reinserimento sociale del condannato;
che, in particolare, il rimettente sottolinea l'analogia tra la disciplina censurata e l'art. 177, primo comma, del codice penale, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 161 del 1997 nella parte in cui non prevede che il condannato alla pena dell'ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, possa essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio, ove ne sussistano i relativi presupposti;
che da questa pronuncia, e dalle precedenti decisioni della Corte costituzionale su questioni concernenti il tema dell'ergastolo, emerge che la liberazione condizionale é l'unico istituto che rende l'ergastolo non contrastante con la finalità rieducativa della pena, con la conseguenza che, ove la possibilità di accedere a tale beneficio risulti preclusa in via totale e assoluta, ne deriverebbe l'illegittimità costituzionale della relativa disciplina;
che secondo il giudice a quo le analogie tra la preclusione dichiarata illegittima dalla sentenza n. 161 del 1997 e la disciplina censurata sono strettissime, in quanto in entrambi i casi l'inammissibilità alla liberazione condizionale impedisce <<l'effettivo reinserimento anche dell'ergastolano nel consorzio civile>>;
che dall'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, dell'ordinamento penitenziario conseguirebbe infatti una vera e propria preclusione ai benefici penitenziari, analoga a quella stabilita dall'art. 177, primo comma, cod. pen. prima dell'intervento della sentenza n. 161 del 1997, dal momento che la collaborazione non può <<ritenersi obbligata, scelta necessaria nel rapporto giudiziario e penitenziario>>, ma si pone come <<una scelta libera>>, della quale, quando possibile, non si possono <<conoscere le ragioni del silenzio>>, e che <<potrebbe, comunque, essere sovente non possibile>>, anche al di fuori delle ipotesi in cui l'inammissibilità ai benefici penitenziari <<viene temperata in vario modo, per la previsione diretta della legge>> o per la <<lettura della stessa da parte della giurisprudenza costituzionale>>.
Considerato che il Tribunale di sorveglianza di Firenze dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, dell'ordinamento penitenziario, in quanto applicabile anche alla liberazione condizionale, nella parte in cui prevede che il soggetto condannato all'ergastolo per taluno dei delitti ivi indicati, ove non collabori con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordinamento, non può essere ammesso al predetto beneficio e rimane quindi privato della possibilità di tornare in libertà, in violazione del principio della funzione rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione;
che, in ordine alla rilevanza della questione, ai fini dell’ammissione al beneficio della liberazione condizionale il giudice é tenuto a verificare se si é realizzato il requisito temporale di cui all'art. 176, terzo comma, del codice penale, determinato per i condannati alla pena dell’ergastolo nella misura di ventisei anni di reclusione;
che, al riguardo, il rimettente espone che il condannato ha effettivamente espiato circa ventidue anni di reclusione, ai quali andrebbe aggiunto il periodo di quattro anni e sei mesi di pena scontata a titolo di liberazione anticipata ex art. 54, commi 1 e 4, dell'ordinamento penitenziario, ma nello stesso tempo precisa che la condanna ad anni due e mesi sei di reclusione per il delitto di estorsione commesso nel 1993, passata in giudicato nel 1998, <<comporterà la verifica della revocabilità o meno di parte della riduzione di pena in relazione alla condanna subita e alla incompatibilità della stessa con il mantenimento del beneficio>>;
che, in effetti, a norma dell'art. 54, comma 3, dell'ordinamento penitenziario - come integrato dalla sentenza di questa Corte n. 186 del 1995 - la revoca della liberazione anticipata non consegue più automaticamente alla condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione della pena, ma é disposta solo se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio;
che secondo la giurisprudenza di legittimità la revoca della liberazione anticipata va estesa a tutte le riduzioni di pena già maturate prima della condanna per il delitto commesso nel corso dell'esecuzione;
che, alla stregua di quanto esposto dallo stesso rimettente, é indubbio che nel caso di specie la decisione in ordine alla revoca della liberazione anticipata - attribuita anche d’ufficio a norma dell’art. 678 del codice di procedura penale al medesimo tribunale di sorveglianza competente a deliberare sulla liberazione condizionale - influisce sulla sussistenza del requisito temporale richiesto per l'ammissione a quest'ultimo beneficio;
che il rimettente avrebbe quindi dovuto preliminarmente decidere sulla revoca della liberazione anticipata a norma dell'art. 54, comma 3, dell'ordinamento penitenziario, così da accertare l'effettiva durata del periodo di pena scontata dal condannato e dirimere qualsiasi incertezza in ordine alla sussistenza del requisito temporale di ammissione alla liberazione condizionale;
che l'incertezza su tale requisito si traduce in un difetto di rilevanza della questione che, in quanto condizionata dall’esito del procedimento sulla revoca della liberazione anticipata, risulta meramente ipotetica;
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt, 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 375 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) - introdotto dal decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa), convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, e successivamente modificato dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - sollevata, in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2001.
Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2001.