Sentenza n. 161

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SENTENZA N. 161

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI

- Dott.   Cesare RUPERTO

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof.    Valerio ONIDA

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 177, primo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 6 febbraio 1996 dal Tribunale di sorveglianza di Firenze sull'istanza proposta da Renella Nicola, iscritta al n. 632 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 marzo 1997 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale di sorveglianza di Firenze, posto di fronte alla richiesta di liberazione condizionale formulata da un condannato alla pena dell'ergastolo, al quale lo stesso beneficio, precedentemente concesso dal Tribunale di sorveglianza di Napoli, era stato da questo Tribunale revocato per avere il condannato più volte violato le prescrizioni impostegli, premesso che, a norma dell'art. 177, primo comma, ultimo periodo, del codice penale, l'interessato non avrebbe potuto più essere riammesso al beneficio, ha, con ordinanza del 6 febbraio 1996, sollevato, in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità della detta norma del codice penale, nella parte in cui, così disponendo, ha l'effetto di rendere immodificabile la perpetuità della pena inflitta al condannato all'ergastolo.

Il Tribunale di sorveglianza ricorda anzitutto la sentenza n. 270 del 1993 di questa Corte, che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità della stessa disposizione ora denunciata nella parte in cui, nel caso di revoca della liberazione condizionale, non consente di rideterminare la pena residua nei confronti del condannato all'ergastolo, diversamente da quanto invece previsto per i condannati a pena temporanea (v. su questo la sentenza n. 282 del 1989), aveva tuttavia riconosciuto l'esistenza di un problema di costituzionalità. Aggiunge tuttavia il giudice a quo che detto problema potrebbe trovare ora soluzione dichiarando l'illegittimità della preclusione ad una nuova concessione della liberazione condizionale nonostante la revoca precedentemente intervenuta.

D'altro canto - prosegue il Tribunale rimettente - la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 264 del 1974, ha individuato proprio nell'istituto della liberazione condizionale "l'argomento più solido" per affermare la compatibilità della pena dell'ergastolo con la Costituzione; ma a tale affermazione contraddice - osserva il tribunale - proprio la norma ora denunciata perchè ad essa consegue l'irreversibile effetto della pena perpetua. Di qui, appunto, il contrasto con il principio rieducativo espresso nell'art. 27, terzo comma, della Costituzione.

Nè il fatto che un simile effetto consegua alla revoca può valere, ad avviso del giudice a quo, a salvare dalla illegittimità costituzionale la norma denunciata: la realizzazione della finalità rieducativa perseguita dall'art. 27, terzo comma, Cost., comporta, infatti, non già la certezza della riammissione al beneficio, bensì soltanto la possibilità di riammissione al beneficio stesso a seguito della verifica che il Tribunale di sorveglianza dovrà compiere circa le ragioni che dettero luogo alla revoca e della nuova valutazione di merito, pure demandata al Tribunale medesimo, circa la nuova concedibilità della liberazione condizionale.

Nè infine - conclude l'ordinanza di rimessione - sarebbe necessario "ricavare un termine che deve decorrere dalla revoca perchè si possa avere una nuova ammissione", potendosi solo discutere "se valgano in questo caso le regole dettate per la rinnovazione della istanza dopo il provvedimento di rigetto, con una equiparazione a questo del provvedimento di revoca (v. art. 682, comma 2, c.p.p. e anche art. 4, comma 2 l. 12 febbraio 1975, n. (se ancora vigente)". Quel che é certo - conclude il Tribunale di sorveglianza - é che per quasi tutti i benefici penitenziari mancano previsioni generali che contemplino preclusioni a successivi benefici dopo la revoca degli stessi.

2. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Deduce, in primo luogo, l'Avvocatura che questa Corte, con la sentenza n. 264 del 1974, ha osservato che la pena non ha soltanto finalità (tendenzialmente) rieducative, ma anche di prevenzione, difesa sociale, ed altre, e che, comunque, la finalità rieducativa può essere conseguita, non soltanto attraverso la prospettiva di una possibile liberazione, ma anche mediante l'ammissione al lavoro e a modalità esecutive rispettose della dignità della persona; mezzi e modalità che non risultano preclusi dall'impossibilità di accedere alla liberazione condizionale.

In secondo luogo, l'impossibilità di reiterare il beneficio coinvolge non soltanto il condannato all'ergastolo ma tutti i condannati a pena detentiva; con la conseguenza che il richiesto intervento demolitorio della Corte, se, per un verso, é in grado di produrre, ove esteso anche ai soggetti diversi dal condannato all'ergastolo, effetti ben più vasti ed incisivi di quelli prospettati dal giudice a quo, fino ad invadere l'area della discrezionalità legislativa, per un altro verso, restando limitato ai condannati alla pena perpetua, rischierebbe di determinare una ingiustificata disparità di trattamento fra condannati.

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di sorveglianza di Firenze solleva, in relazione ai condannati alla pena dell'ergastolo, incidente di legittimità costituzionale dell'art. 177, primo comma, ultimo periodo, del codice penale nella parte in cui detta norma dispone che i condannati nei cui confronti la liberazione condizionale già concessa sia stata revocata non possono essere riammessi a detto beneficio.

Per i condannati alla pena dell'ergastolo questa preclusione varrebbe a rendere immodificabile la perpetuità della pena loro inflitta, e ciò in contrasto con la finalità rieducativa assegnata a tutte le pene dall'art. 27, comma terzo, della Costituzione.

A sostegno della denuncia di incostituzionalità della disposizione menzionata l'ordinanza del giudice a quo fa valere le varie sentenze rese in passato dalla Corte costituzionale in materia di ergastolo, e segnatamente la sentenza n. 264 del 1974, con la quale la Corte stessa, nel respingere la tesi della incostituzionalità di detta pena, ha posto in rilievo il valore rappresentato dalla ammissibilità del condannato all'ergastolo alla liberazione condizionale (a quell'epoca dopo ventotto anni di esecuzione della pena, secondo la prima riforma dell'istituto intervenuta con la legge 25 novembre 1962, n. 1634), nonchè la sentenza n. 270 del 1993, la quale pur dichiarando la inammissibilità della questione allora sollevata in relazione alla computabilità nella durata della pena del periodo trascorso in libertà vigilata dal condannato all'ergastolo liberato condizionalmente, ebbe a riconoscere espressamente che le argomentazioni svolte nella sentenza n. 282 del 1989 circa la necessità di computare, ai fini di determinare la pena residua, in caso di revoca della liberazione condizionale il periodo scontato in libertà vigilata "vanno ribadite anche nei confronti del condannato all'ergastolo, riguardo al quale la perpetuità della pena irrogata non può costituire un ostacolo sufficiente per precludere in assoluto la medesima opera di scomputo". E ciò, sia perchè altrimenti - prosegue la Corte nel passo della predetta sentenza n. 270 del 1993 richiamato dal Giudice rimettente - al condannato all'ergastolo "sarebbe riservato un trattamento di maggior rigore rispetto al condannato a pena temporanea sia perchè alla funzione rieducativa della pena non può essere sottratto il condannato all'ergastolo senza che ne risulti vulnerato l'art. 27, terzo comma, della Costituzione".

Per risolvere questo problema, la cui esistenza é già stata riconosciuta dalla Corte costituzionale, non rimarrebbe - osserva l'ordinanza del giudice a quo - che riconoscere la fondatezza della questione ora sollevata eliminando come incostituzionale, per il condannato all'ergastolo, la preclusione ad una nuova concessione della liberazione condizionale.

Nè - conclude sempre l'ordinanza - vi sarebbero altri ostacoli a detta soluzione, dato che anche la nuova eventuale concessione dovrebbe essere subordinata ad una valutazione di merito del Tribunale di sorveglianza, che verifichi l'entità delle ragioni che hanno portato alla revoca e valuti se e quando sussistano i presupposti per una nuova ammissione all'esperimento della liberazione condizionale.

2. - La questione, rigorosamente limitata, nella impostazione e negli svolgimenti dell'ordinanza del giudice a quo, ai problemi posti dalla vigente disciplina nei confronti dei soli condannati all'ergastolo, é fondata.

3. - L'art. 177 del codice penale, il cui primo comma é dedicato alla disciplina della revoca della liberazione condizionale, trae origine dall'art. 17 del codice penale del 1889, che per la prima volta introdusse in Italia l'istituto della liberazione condizionale e di questa disciplinò i presupposti (art. 16). Esso ricalcava tutto il sistema del detto articolo 17, nel quale figuravano, come presupposti della revoca, la commissione di un reato che importi pena restrittiva della libertà personale o, alternativamente, l'inadempimento delle condizioni imposte al condannato, e, come conseguenze della revoca stessa, il divieto di computare nella pena residua il periodo trascorso in liberazione condizionale e il divieto di ammissione ad una nuova liberazione condizionale.

Questo sistema era relativo, tanto nel codice del 1889 quanto nella formulazione originaria del codice vigente, ai soli condannati a pena detentiva temporanea, non essendo allora considerata l'ammissibilità alla liberazione condizionale per i condannati alla pena dell'ergastolo. Viceversa, per i condannati all'ergastolo, l'ammissione alla liberazione condizionale fu prevista dall'art. 2 della legge 25 novembre 1962, n. 1634 (Modificazioni alle norme del codice penale relative all'ergastolo e alla liberazione condizionale) e ribadita con l'art. 8 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), la quale ultima ridusse il periodo di esecuzione della pena richiesto per l'ammissibilità al beneficio da ventotto a ventisei anni.

Con quest'ultima legge veniva inoltre disciplinato in modo più favorevole ai condannati l'istituto denominato "liberazione anticipata", già introdotto con l'art. 54 dell'ordinamento penitenziario del 1975 per i condannati che nell'espiazione della pena abbiamo dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione, ai fini del loro più efficace reinserimento nella società (questa la prima formulazione dell'art. 54). Veniva infatti elevato a quarantacinque giorni per ogni semestre di pena scontata il periodo massimo di detrazione e veniva sancita la detrazione di pena anche per i condannati all'ergastolo. Quest'ultima modificazione consacrava anche formalmente, sul piano legislativo, la pronuncia resa da questa Corte con sentenza n. 274 del 1983, che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo il suddetto art. 54 dell'ordinamento penitenziario "nella parte in cui non prevede la possibilità di concedere anche al condannato all'ergastolo la riduzione di pena, ai soli fini del computo della quantità di pena così detratta nella quantità scontata, richiesta per l'ammissione alla liberazione condizionale". Per effetto di tali modificazioni il periodo minimo di durata della pena effettivamente scontata perchè il condannato all'ergastolo potesse essere ammesso alla liberazione condizionale, stabilito nel 1962 in anni ventotto e ridotto nel 1986 ad anni ventisei, veniva a poter essere diminuito, in caso di fruizione delle riduzioni proprie della liberazione anticipata, in modo assai consistente.

4. - Riassunti come sopra i precedenti legislativi relativi all'ammissione alla liberazione condizionale dei condannati all'ergastolo, oggetto, con gli altri presupposti generali dell'istituto stesso, dell'art. 176 del codice penale, deve ricordarsi che anche l'art. 177 dello stesso codice, concernente la revoca, ha conosciuto, nel corso dei decenni successivi al 1930, modificazioni ad opera del legislatore, decisioni di parziale illegittimità costituzionale e messe a punto della giurisprudenza ordinaria, segnatamente della giurisprudenza di legittimità.

Le modificazioni legislative, intervenute ad opera dell'art. 2 della menzionata legge 25 novembre 1962, n. 1634, hanno rappresentato soltanto un allineamento alle modificazioni introdotte con la stessa disposizione nell'articolo 176: sospensione, in caso di ammissione alla liberazione condizionale, della misura di sicurezza detentiva a cui eventualmente il condannato a pena detentiva temporanea sia stato sottoposto, e, nel secondo comma, previsione di un termine (cinque anni) per la liberazione definitiva del condannato all'ergastolo a seguito di esperimento positivo del periodo di liberazione condizionale.

L'intervento di questa Corte si concretò invece nella declaratoria di illegittimità costituzionale di una delle due proposizioni dell'ultimo periodo del primo comma, e precisamente del comma suddetto "nella parte in cui, in caso di revoca della liberazione condizionale, non consente al tribunale di sorveglianza di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionale, nonchè delle restrizioni di libertà subite dal condannato e del suo comportamento in tale periodo" (sentenza n. 282 del 1989). Ovviamente detta sentenza si riferiva soltanto alle pene detentive temporanee.

Infine é da considerarsi rilevante l'intervento compiuto dalla giurisprudenza di legittimità su uno dei due presupposti alternativamente previsti per la revoca, e precisamente sul presupposto attinente alla "trasgressione agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, disposta ai termini dell'articolo 230 n. 2". Con alcune sentenze dell'ultimo decennio la Corte di cassazione ha statuito che ai fini di stabilire l'esistenza di una trasgressione degli obblighi inerenti alla libertà vigilata "non é sufficiente la mera segnalazione degli organi di polizia incaricati della sorveglianza, ma occorre accertare in primo luogo la volontarietà del fatto, dovendosi ovviamente escludere le infrazioni incolpevoli, ed in particolare, poi, se la violazione degli obblighi inerenti la libertà vigilata sia di tale gravità da investire tutto il regime di vita al quale il liberato é stato sottoposto e da costituire sicuro elemento per ritenere, con giudizio penetrante e completo tradotto in adeguata motivazione, la insussistenza nella realtà di quel ravvedimento, sicchè il liberato sia immeritevole dell'anticipato reinserimento nella vita sociale".

Con questi interventi la Corte di cassazione, svolgendo opera interpretativa guidata da criteri di razionalità e di aderenza alle finalità degli istituti in questione, veniva incontro non solo ad un voto formulato sin dai tempi delle prime revisioni del codice penale vigente, ma anche ad una chiara presa di posizione incidentale (sorretta peraltro da una serie di analitiche proposizioni) di questa Corte, che nella ricordata sentenza n. 282 del 1989 aveva ricordato le critiche all'automatismo della revoca, qualificando tale automatismo come "frutto di una visione ingiustificatamente punitiva" di tale istituto.

Tale il quadro normativo e giurisprudenziale nel quale si deve collocare la presente decisione, la quale riguarda - così come richiesto dall'ordinanza del giudice a quo - entrambi i casi di revoca della liberazione condizionale: quello determinato dalla commissione di un "delitto o contravvenzione della stessa indole" e quello determinato dalla "trasgressione agli obblighi della libertà vigilata, disposta a' termini dell'art. 230, n. 2" del codice penale.

5. - Della compatibilità della pena dell'ergastolo con la funzione rieducativa assegnata alla pena in generale dall'art. 27, comma terzo, della Costituzione, e più in generale della pena dell'ergastolo, questa Corte ebbe ad occuparsi più di una volta.

Con la sentenza n. 264 del 1974, la Corte, chiamata a riesaminare la legittimità dell'ergastolo, espose a sostegno della infondatezza della questione vari argomenti, tra i quali assume indubbiamente valore preminente quello incentrato sulla legge 25 novembre 1962, n. 1634 che ammise la liberazione condizionale anche per i condannati a detta pena. Scrisse allora la Corte che "l'istituto della liberazione condizionale disciplinato dall'art. 176 cod.pen. - modificato dall'art. 2 della legge 25 novembre 1962, n. 1634 - consente l'effettivo reinserimento anche dell'ergastolano nel consorzio civile senza che possano ostarvi le sue precarie condizioni economiche: invero... la concessione della liberazione condizionale é subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili, semprechè il condannato abbia la possibilità di provvedervi, che altrimenti potrà dimostrare di trovarsi nell'impossibilità di adempierle senza subire alcun pregiudizio". E questa posizione fu rinforzata, nella sentenza stessa, con il dare rilievo alla precedente sentenza n. 204 dello stesso anno 1974, con la quale era stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma attributiva della facoltà di concedere la liberazione condizionale al Ministro della giustizia (art. 43 r.d. 28 maggio 1931, n. 602), conseguentemente attribuendosi la facoltà stessa all'autorità giudiziaria "che con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale accerterà se il condannato abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento".

Questi motivi furono ripetutamente ripresi in decisioni successive, tra le quali spicca la sentenza n. 274 del 1983, nella quale - a premessa della estensione del già ricordato istituto della riduzione di pena, che va sotto il nome di 'liberazione anticipata', ai condannati all'ergastolo - può leggersi che la finalità rieducativa voluta dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione si riferisce senza ombra di dubbio anche a detti soggetti e che ciò "é fatto palese dalla estensione in loro favore dell'istituto della liberazione condizionale, operata dalla legge n. 1634 del 1962": a proposito della quale - prosegue la sentenza - fu enunciato, nella relazione governativa che accompagnava la presentazione alla Camera dei deputati del disegno di legge, il proposito di "completare ed integrare, con speciale riferimento all'ergastolo, la progressiva umanizzazione della pena, rendendo più concreta e funzionale anche nell'ergastolo l'azione intesa alla rieducazione del condannato". La recuperabilità sociale del condannato all'ergastolo, mediante la possibilità della sua liberazione condizionale, segnava perciò nella nostra legislazione penale una svolta di evidente rilievo: una svolta sottolineata anche da questa Corte, la quale, nel dichiarare, con la ricordata sentenza n. 264 del 1974, non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 del codice penale, sollevata in riferimento all'art. 27, comma terzo, della Costituzione, faceva perno, tra l'altro, proprio sulla intervenuta ammissione della liberazione condizionale, in quanto essa "consente l'effettivo reinserimento dell'ergastolano nel consorzio civile".

6. - Alla stregua di queste premesse non può non essere rilevata la illegittimità costituzionale della disposizione che, vietando per i condannati all'ergastolo la riammissione alla liberazione condizionale, li esclude in modo permanente ed assoluto dal processo rieducativo e di reinserimento sociale.

La pena dell'ergastolo, per il suo carattere di perpetuità si distingue dalle altre pene restrittive della libertà personale; oltre a comportare, per chi vi é sottoposto, una serie di conseguenze, di tipo interdittivo e di tipo penitenziario, che sono, in tutto o in parte, estranee alle altre pene. Ma questo suo connotato di perpetuità non può legittimamente intendersi, alla stregua dei principii costituzionali, come legato, sia pure dopo l'esperimento negativo di un periodo trascorso in liberazione condizionale, ad una preclusione assoluta dell'ottenimento, ove sussista il presupposto del sicuro ravvedimento, di una nuova liberazione condizionale. Il mantenimento di questa preclusione nel nostro ordinamento equivarrebbe, per il condannato all'ergastolo, ad una sua esclusione dal circuito rieducativo, e ciò in palese contrasto - come già si é visto - con l'art. 27, comma terzo, della Costituzione, la cui valenza é stata già più volte affermata e ribadita, senza limitazioni, anche per i condannati alla massima pena prevista dall'ordinamento italiano vigente.

Se la liberazione condizionale é l'unico istituto che in virtù della sua esistenza nell'ordinamento rende non contrastante con il principio rieducativo, e dunque con la Costituzione, la pena dell'ergastolo, vale evidentemente la proposizione reciproca, secondo cui detta pena contrasta con la Costituzione ove, sia pure attraverso il passaggio per uno o più esperimenti negativi, fosse totalmente preclusa, in via assoluta, la riammissione del condannato alla liberazione condizionale.

Certamente, in concreto, il condannato all'ergastolo potrà dalla competente autorità giudiziaria essere ritenuto non meritevole della riammissione al beneficio della liberazione condizionale; e l'autorità stessa potrà graduare anche nei tempi la nuova ammissione, tenuto conto sia della prova data dal detenuto durante la detenzione sia della prova data durante i precedenti periodi trascorsi in libertà vigilata, prendendo ovviamente in considerazione anche la concreta gravità delle violazioni che ebbero a dar luogo alla revoca. Ma questa possibilità di non riammissione o di riammissione dilazionata nel tempo non equivale ad una esclusione totale per divieto di legge.

7. - A quest'ultimo proposito, e cioé in relazione ai presupposti di una nuova concessione del beneficio della liberazione condizionale al condannato all'ergastolo nei cui confronti precedenti concessioni siano state revocate, é necessaria qualche precisazione ulteriore.

L'ordinanza del giudice a quo si occupa espressamente di questo tema quando scrive che la normativa che deriverebbe dalla sentenza di accoglimento prospettata alla Corte costituzionale non richiederebbe integrazione alcuna. Si potrebbe cioé discutere se debbano valere "le stesse regole dettate per la rinnovazione della istanza dopo il provvedimento di rigetto, con una equiparazione a questo del provvedimento di revoca", mentre per le altre condizioni di ammissibilità "non vi é ragione che non debbano valere le stesse condizioni richieste per la ammissione al beneficio, come accade, ad esempio, per la semilibertà dopo una precedente revoca". Inoltre l'ordinanza stessa aggiunge che dovrà essere valutato seriamente, nel merito, il ravvedimento del condannato in presenza dell'insuccesso della prima concessione; e che in tale quadro dovranno essere valutate anche le ragioni della revoca, la cui gamma "é assai ampia e può andare da situazioni di gravità relativa ad altre di gravità estrema".

Ora, quanto al problema dei termini da osservare in vista di una nuova ammissione alla liberazione condizionale, é evidente che non é dato a questa Corte alcun potere di intervento, spettante soltanto, nel rispetto dei presupposti e dei limiti costituzionali, ad una eventuale iniziativa legislativa. In particolare non sembra possibile estendere in modo automatico i presupposti temporali fissati dalle leggi vigenti per la riproposizione della domanda del condannato dopo che é stata respinta una sua domanda diretta ad ottenere la liberazione condizionale: diverse sono infatti le due situazioni, anche se una certa analogia tra le stesse non può essere negata. A carico di chi sia incorso nella revoca del beneficio, può rilevarsi che l'esperienza fatta in concreto ha segnato in modo negativo l'effettività del suo ravvedimento, mentre, a suo favore, non si può dimenticare che il lungo periodo precedentemente trascorso in carcere lo aveva fatto ritenere meritevole del beneficio, diversamente da colui al quale il beneficio aveva dovuto essere negato. Solo una penetrante valutazione condotta dal tribunale di sorveglianza, competente ai sensi dell'art. 70 dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni), potrà portare a concludere per la maggiore rilevanza delle valutazioni concernenti l'uno o l'altro periodo (quello trascorso in detenzione e quello trascorso in libertà vigilata), tenuto ovviamente conto anche della prova data dal condannato nel periodo di privazione della libertà personale successivo alla revoca. In assenza di un intervento legislativo sul punto, il termine richiesto dalla legge vigente per la riproposizione della domanda respinta potrebbe essere per il giudice un utile punto di riferimento.

Altrettanto deve dirsi per le altre condizioni per la nuova ammissione al beneficio successivamente alla revoca. Varranno ovviamente anche qui i parametri propri dell'istituto della liberazione condizionale, fissati nell'art. 176 del codice penale, che nell'ultima sua redazione esige che durante l'esecuzione della pena sia stato tenuto dal condannato "un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento". Ovviamente, in caso di condannato che, come nella fattispecie qui considerata, abbia già usufruito di un periodo di liberazione condizionale in libertà vigilata, dovrà il tribunale tener conto anche di tale periodo; e in questo contesto di valutazioni rientrerà anche un esame delle ragioni che dettero luogo alla revoca e della loro maggiore o minore gravità. Su tutto dovrà operare il rispetto della finalità rieducativa, intesa come reinserimento del reo nella società, secondo le formule più volte adottate dalla Corte in questa materia (v. particolarmente, anche per la liberazione condizionale del condannato all'ergastolo, la sentenza n. 274 del 1983).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 177, primo comma, ultimo periodo, del codice penale, nella parte in cui non prevede che il condannato alla pena dell'ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, possa essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio ove ne sussistano i relativi presupposti.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 giugno 1997.

Renato GRANATA: Presidente

Giuliano VASSALLI: Redattore

Depositata in cancelleria il 4 giugno 1997.