Sentenza n. 450/2000
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ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria  FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), promosso con ordinanza emessa il 17 novembre 1999 dalla Corte di appello di Genova, iscritta al n. 39 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2000.

 Visto l’atto di costituzione di Del Vigo Carlo;

 udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2000 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso del giudizio d’appello nell’ambito di un procedimento instaurato per la dichiarazione di ineleggibilità del Sindaco di un Comune ligure, la Corte d’appello di Genova, con ordinanza emessa il 17 novembre 1999 e pervenuta il 24 gennaio 2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 51 della Costituzione, dell’art. 6 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), “nella parte in cui prevede come ostativo alla nomina a sindaco (e, quindi, come causa di ineleggibilità) il fatto di trovarsi in rapporto di parentela o affinità entro il secondo grado con persona che sia appaltatore di lavori o di servizi comunali”.

Osserva la Corte remittente che l’art. 6 del d.P.R. n. 570 del 1960, in vigore pur dopo l’avvento della nuova disciplina delle ineleggibilità e delle incompatibilità alla carica di consigliere comunale e di quella relativa all’elezione diretta del sindaco, prevede che non possa “essere nominato” sindaco, fra l’altro, “chi ha ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado, che coprano nell’amministrazione del Comune il posto di segretario comunale, di esattore, collettore o tesoriere comunale, di appaltatore di lavori o di servizi comunali, o in qualunque modo di fideiussore”; che il tenore letterale di tale norma indicherebbe che l’avere parenti o affini entro il secondo grado titolari di appalti per il Comune costituirebbe una causa di ineleggibilità, come sarebbe confermato anche dal richiamo dell’art. 9-bis, ottavo comma, dello stesso d.P.R. n. 570 del 1960 alle “cause di ineleggibilità alla carica” previste dall’art. 6; che pertanto non si potrebbe pervenire in via interpretativa a considerare tale situazione – come invece ha ritenuto il giudice di primo grado, il quale ha perciò dato rilievo alla successiva intervenuta rimozione della causa ostativa - come causa di incompatibilità, rimovibile dopo la presentazione della candidatura.

Il giudice a quo rileva poi che, dopo l’abrogazione dell’art. 15, numero 7, del d.P.R. n. 570 del 1960 e l’entrata in vigore della disciplina di cui alla legge 23 aprile 1981, n. 154, costituisce causa di incompatibilità, e non più di ineleggibilità, alla carica di consigliere comunale (e quindi non costituisce più causa di ineleggibilità alla carica di sindaco, in relazione alla quale l’art. 6 – primo alinea – del d.P.R. n. 570 del 1960 si richiama ai soli casi di ineleggibilità a consigliere comunale previsti dalla legge) l’aver parte in appalti nell’interesse del Comune (art. 3, numero 2, della legge n. 154 del 1981), dal che conseguirebbe che per il sindaco quest’ultima situazione costituirebbe causa di incompatibilità, mentre sarebbe causa di ineleggibilità quella della quale si discute; e osserva che non si vedrebbe per quale ragione l’impedimento derivante dal fatto di avere un rapporto di parentela o affinità con un appaltatore sia più grave del fatto di essere, in proprio, appaltatore, e che anzi l’impedimento derivante da tale rapporto apparirebbe, semmai, meno grave.

Ad avviso del remittente, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, non risponderebbe al principio di ragionevolezza il prevedere come causa di ineleggibilità un impedimento oggettivamente meno grave di quello che, per lo stesso soggetto, comporta oggi solo l’esistenza di una causa di incompatibilità. Né la previsione di ineleggibilità potrebbe dirsi conseguenza ineluttabile del fatto che l’impedimento non possa essere rimosso dall’interessato, poiché, al contrario, la causa ostativa potrebbe venir meno prima della convalida delle elezioni o addirittura prima della stessa elezione a seguito della chiusura del rapporto d’appalto, o per la perdita da parte del parente o affine della qualità che rileva ai fini della causa ostativa in questione.

In questi casi dunque, secondo il giudice a quo, l’esclusione dall’elettorato passivo apparirebbe irragionevolmente lesiva del diritto all’accesso alle cariche pubbliche sancito dall’art. 51 della Costituzione, comportandone una limitazione non necessaria né ragionevolmente proporzionata.

La questione sarebbe rilevante in quanto la norma denunciata imporrebbe di riformare la sentenza appellata, e di non annettere rilievo al fatto che la causa ostativa sia venuta meno dopo la presentazione della candidatura.

2.- Si è costituita in giudizio la parte appellata nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione.

In prossimità della data fissata per la camera di consiglio, la difesa della parte costituita ha segnalato alla Corte l’avvenuto decesso della stessa parte (senza che, peraltro, ciò possa produrre effetti sul presente giudizio, non trovando in esso applicazione le norme sulla interruzione del processo: art. 22 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale), richiamando tuttavia adesivamente le considerazioni in diritto dell’ordinanza di rinvio.

3.- Non è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.– La questione sollevata dalla Corte d’appello di Genova investe l’art. 6 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), nella parte in cui, al quarto alinea, prevede che non possa essere nominato sindaco chi abbia parenti o affini entro il secondo grado i quali siano appaltatori di lavori o di servizi comunali.

Secondo il giudice a quo la norma – che sancirebbe una causa di ineleggibilità, non rimovibile dopo la scadenza del termine per la presentazione delle candidature, e non una causa di incompatibilità – sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 51 della Costituzione, perché configurerebbe irragionevolmente come causa di ineleggibilità una situazione di impedimento meno grave di quella – che costituisce causa di incompatibilità, ai sensi dell’art. 3, numero 2, della legge n. 154 del 1981 – del candidato che sia parte, in proprio, in appalti del Comune; e perché, in tal modo, comporterebbe una limitazione non necessaria, né ragionevolmente proporzionata, al diritto di accedere alle cariche pubbliche, garantito dall’art. 51 della Costituzione.

2.– La questione è fondata.

L’art. 6 del testo unico del 1960 stabiliva le condizioni ostative alla nomina alla carica di sindaco (“Non può essere nominato sindaco ...”), e fra di esse enumerava quella derivante dall’avere “ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado, che coprano nell’amministrazione del Comune il posto (…) di appaltatore di lavori o di servizi comunali …” (quarto alinea).

Oggi il contenuto di tale disposizione, applicabile nel giudizio a quo, è trasfuso, senza sostanziali mutamenti (salva la sua estensione al presidente della provincia) nell’art. 61, numero 2, del nuovo testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ai sensi del quale “non può essere eletto alla carica di sindaco o di presidente della provincia” chi ha prossimi congiunti che rivestano la qualità di appaltatore di lavori o di servizi comunali o provinciali.

Quando la disposizione impugnata fu dettata, la legge prevedeva che il sindaco fosse eletto dal consiglio comunale nel proprio seno (art. 5 dello stesso t.u. n. 570 del 1960): onde, da un lato, tutte le cause ostative all’elezione alla carica di consigliere comunale si traducevano anche in cause di ineleggibilità alla carica di sindaco (come, d’altra parte, ribadiva espressamente il primo alinea dello stesso art. 6); dall’altro lato, la stessa distinzione fra cause di ineleggibilità e cause di incompatibilità alla carica di sindaco assumeva scarso rilievo, in assenza di un procedimento elettorale che prevedesse termini per la presentazione delle candidature, campagna elettorale, votazione da parte del corpo elettorale.

Per altro verso, all’epoca, il legislatore aveva configurato quasi tutte le cause ostative all’assunzione della carica di consigliere comunale come cause di ineleggibilità (art. 15 del testo unico n. 570 del 1960: “Non sono eleggibili a consigliere comunale …”), senza distinzione fra quelle fondate sul timore di distorsione della volontà degli elettori a causa dell’influenza che su di essi poteva essere esercitata da chi ricopriva determinati uffici, o comunque fondate su elementi personali che lo stesso legislatore riteneva tali da dover condurre alla privazione dell’elettorato passivo, e quelle fondate sull’esistenza di conflitti di interessi o comunque di elementi suscettibili di perturbare l’esercizio della carica, ma non di viziare l’elezione. Le uniche situazioni configurate da detto testo unico come cause di incompatibilità con la carica di consigliere comunale erano quelle contemplate dagli articoli 16 e 17 (divieto di far parte contemporaneamente dello stesso consiglio comunale per ascendenti e discendenti, affini in primo grado, adottante e adottato, affiliante e affiliato, e rispettivamente divieto per i membri della giunta provinciale amministrativa di far parte di alcun consiglio comunale compreso nella provincia).

Da ciò, fra l’altro, era discesa una serie di questioni di legittimità costituzionale, nonché una serie di pronunce di questa Corte che dichiararono la illegittimità dell’art. 15 nella parte in cui considerava ineleggibili anche coloro per i quali determinate cause ostative fossero cessate prima della convalida delle elezioni (cfr. sentenza n. 46 del 1969, e sentenza n. 45 del 1977, relativa quest’ultima a due diverse cause ostative): in tal modo trasformando di fatto quelle che il legislatore aveva configurato come vere e proprie cause di ineleggibilità in cause di incompatibilità (così, esplicitamente, sentenza n. 171 del 1984), poiché quella che restava impedita non era più l’elezione, bensì solo l’assunzione della carica o la permanenza in essa dopo l’elezione, ove la causa ostativa non venisse tempestivamente rimossa.

In questo quadro, restava contemplata come causa di ineleggibilità alla carica di consigliere comunale (e non diede luogo a pronunce di questa Corte) quella prevista dall’art. 15, numero 7, relativa alla situazione di coloro i quali, “direttamente o indirettamente, hanno parte in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni ed appalti nell’interesse del Comune, o in società ed imprese aventi scopo di lucro, sovvenzionate in qualsiasi modo dal medesimo”. A tale causa di ineleggibilità – operante, come si è detto, anche per la carica di sindaco – l’art. 6, quarto alinea, aggiungeva la ulteriore causa ostativa – avente lo stesso effetto – consistente nell’avere “ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado, che coprano nell’amministrazione del Comune il posto di segretario comunale, di esattore, collettore o tesoriere comunale, di appaltatore di lavori o di servizi comunali, o in qualunque modo di fideiussore”. In sostanza, per la carica di sindaco la causa di ineleggibilità si estendeva dalla personale titolarità in capo al candidato della qualità di appaltatore anche alla titolarità della stessa qualità in capo ad uno stretto congiunto. Ciò però non dava luogo ad alcuna contraddizione, stante la maggiore importanza e delicatezza della carica di sindaco rispetto a quella di consigliere comunale, che poteva giustificare la previsione più severa e più restrittiva della legge.

3. – Il contesto normativo è però profondamente cambiato, da un lato, con la legge n. 154 del 1981 (oggi trasfusa nel testo unico approvato con d. lgs. n. 267 del 2000), che disciplinò ex novo l’intera materia delle ineleggibilità e incompatibilità alle cariche elettive locali; dall’altro, con la legge 25 marzo 1993, n. 81 (a sua volta oggi in parte confluita nel citato testo unico n. 267 del 2000), che sancì l’elezione popolare diretta del sindaco.

La legge n. 154 del 1981 accolse e sviluppò esplicitamente la distinzione fra cause di ineleggibilità, che impediscono l’elezione e la viziano se essa avviene, le quali debbono essere rimosse, per evitare tale conseguenza, entro la data fissata per la presentazione delle candidature (cfr. art. 2, secondo e terzo comma; e oggi art. 60, comma 3, del d.lgs. n. 267 del 2000); e cause di incompatibilità, che impediscono semplicemente di “ricoprire la carica di consigliere” (art. 3; e oggi art. 63 del d.lgs. n. 267 del 2000), per le quali è previsto un apposito procedimento di contestazione, al cui termine soltanto esse danno luogo, ove non siano state rimosse, a decadenza dalla carica (cfr. artt. 6 e 7; e oggi artt. 68 e 69 del d.lgs. n. 267 del 2000). Di conseguenza venne abrogato, fra l’altro, l’art. 15 del testo unico n. 570 del 1960 (cfr. art. 10, numero 2, della legge n. 154 del 1981).

In questo quadro, la titolarità della qualità di appaltatore del Comune, già prevista dall’art. 15, numero 7, del testo unico come causa di ineleggibilità, fu invece prevista come causa di incompatibilità (art. 3, numero 2, della legge n. 154 del 1981; e oggi art. 63, comma 1, numero 2, del d.lgs. n. 267 del 2000).

Non venne invece modificato né abrogato l’art. 6 dello stesso testo unico, relativo alle cause ostative alla nomina a sindaco. E tuttavia la disarmonia fra tale immutato art. 6, che prevedeva cause di ineleggibilità alla carica di sindaco, e la nuova disciplina delle cause di ineleggibilità e incompatibilità alla carica di consigliere comunale non veniva in evidenza, perché l’elezione del sindaco era ancora affidata al consiglio comunale: onde nulla impediva, in ipotesi, al consiglio comunale che intendesse eleggere sindaco un soggetto eleggibile alla carica di consigliere comunale, ma non a quella di sindaco (così, per esempio, a motivo della causa di ineleggibilità prevista dal quarto alinea dell’art. 6), di attendere o sollecitare la rimozione della causa ostativa, e di procedere successivamente all’elezione o alla nuova elezione del candidato. Non si verificava, infatti, alcun definitivo ostacolo all’assunzione della carica di sindaco. L’effetto pratico non era dunque lontano da quello che si sarebbe verificato in presenza di una semplice causa di incompatibilità, la quale, una volta rimossa, non impedisce l’assunzione della carica.

Le cose sono cambiate radicalmente, invece, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 81 del 1993. Logica avrebbe voluto che, prevedendo per la prima volta l’elezione diretta del sindaco, la legge disciplinasse altresì le cause di ineleggibilità e di incompatibilità rispetto a tale carica. Viceversa il legislatore lasciò ancora una volta immutata la disposizione dell’art. 6 del testo unico del 1960, dettato per regolare l’eleggibilità del sindaco nel precedente sistema, caratterizzato dall’elezione di secondo grado.

Mentre il rinvio alle cause di ineleggibilità stabilite per la carica di consigliere comunale, contenuto nel primo alinea di detto art. 6, consentiva un adeguamento automatico alla disciplina prevista a tale proposito dalla legge n. 154 del 1981, che aveva eliminato una serie di cause di ineleggibilità trasformandole in cause di incompatibilità, e mentre la qualità di componente del consiglio comunale, che continua ad essere propria del sindaco, consentiva, in via interpretativa, di applicare anche al sindaco le cause di incompatibilità previste per i consiglieri comunali, fra cui quella relativa all’aver parte in appalti del Comune (cfr. sentenza n. 44 del 1997; e cfr. oggi, per tale estensione, espressamente, l’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000), la causa di ineleggibilità discendente dalla circostanza che un prossimo congiunto abbia parte in appalti del Comune (art. 6, quarto alinea, del t.u. n. 570 del 1960, e, oggi, art. 61, n. 2, del t.u. n. 267 del 2000) dà luogo ormai ad una contraddizione palese. Il candidato che sia in proprio titolare di un appalto del Comune è, infatti, solo incompatibile in quanto perduri tale situazione, onde la rimozione di essa prima della convalida dell’elezione, o anche dopo la contestazione della stessa, nei termini all’uopo fissati dalla legge (art. 9-bis dello stesso testo unico, applicabile – doveva intendersi – anche al sindaco direttamente eletto; e cfr. oggi, espressamente, l’art. 69 del d.lgs. n. 267 del 2000), consente di evitare la decadenza. L’essere solo prossimo congiunto del titolare dell’appalto continua invece a dar luogo ad una non rimediabile ineleggibilità, con conseguente perdita della carica conseguita e inevitabile rinnovo dell’intero procedimento elettorale, anche nel caso in cui detta situazione venga meno (ad esempio, per esaurimento del rapporto di appalto) prima della convalida dell’elezione o addirittura prima dell’elezione stessa.

4. – Tale contraddizione si traduce in un profilo di illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio di eguaglianza-ragionevolezza. Dal momento che la situazione di chi abbia parte in appalti del Comune è oggi configurata come semplice causa di incompatibilità, non può ragionevolmente ammettersi che dia luogo invece ad una causa di ineleggibilità, non rimovibile dopo l’elezione, la circostanza, analoga ma meno grave sotto il profilo della ratio della causa ostativa all’assunzione della carica, consistente nell’essere prossimo congiunto di chi abbia parte in un appalto del Comune.

In altri termini, ciò che nell’originario contesto normativo si configurava come un plausibile aggravamento delle condizioni di eleggibilità del sindaco rispetto a quelle previste per la carica di consigliere comunale, oggi appare come un irrazionale, diverso e più gravoso trattamento giuridico di una circostanza impediente non di uguale, ma addirittura di minor peso rispetto a quella – consistente nell’essere lo stesso sindaco eletto titolare di un appalto per conto del Comune – che dà luogo ad una semplice situazione di incompatibilità. E ciò, si noti, indipendentemente da ogni considerazione che si volesse fare circa la idoneità di siffatte situazioni di conflitto di interessi ad essere considerate dalla legge come cause di ineleggibilità anziché di incompatibilità.

5. – La disposizione impugnata deve pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima, restando assorbito ogni altro profilo, nella parte in cui stabilisce una causa di ineleggibilità, anziché di incompatibilità, rispetto alla carica di sindaco.

6. – La stessa norma, come si è detto, si trova oggi trasfusa nell’art. 61, numero 2, del nuovo testo unico approvato con d. lgs. n. 267 del 2000. Pertanto anche tale disposizione sopravvenuta deve essere dichiarata, nella parte corrispondente, costituzionalmente illegittima, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 6, quarto alinea, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), nella parte in cui stabilisce che chi ha ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che rivestano la qualità di appaltatore di lavori o di servizi comunali non può essere nominato sindaco, anziché stabilire che chi si trova in detta situazione non può ricoprire la carica di sindaco;

b) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimità costituzionale dell’art. 61, numero 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui stabilisce che chi ha ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che rivestano la qualità di appaltatore di lavori o di servizi comunali non può essere eletto alla carica di sindaco, anziché stabilire che chi si trova in detta situazione non può ricoprire la carica di sindaco.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 ottobre 2000.