ORDINANZA N. 214
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 303, comma 4, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 23 novembre 1998 (n. 2 ordinanze), il 15 marzo 1999, il 23 e il 13 novembre 1998, il 5 e il 15 marzo 1999 (n. 2 ordinanze), il 25 novembre 1998 e il 15 marzo 1999 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Napoli, sezione per il riesame, rispettivamente iscritte ai nn. 547, 548, 549, 551, 585, 608, 680, 681, 696, 697 e 698 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 41, 43, 44, 51 e 52, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che il Tribunale di Napoli, con undici ordinanze di contenuto pressoché identico, ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 303, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento complessivo della durata massima della custodia cautelare, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorché si verifichi la situazione descritta dal comma 2 dello stesso art. 303, e cioè nel caso in cui, a seguito dell’annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice;
che il giudice remittente, non condividendo le argomentazioni con le quali questa Corte, nella sentenza n. 292 del 1998, ha dichiarato non fondata “nei sensi di cui in motivazione” l’identica questione a suo tempo sollevata dal Tribunale di Reggio Calabria, e affermando di aderire alla giurisprudenza delle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione in ordine all’efficacia delle decisioni interpretative di rigetto, ripropone la questione di costituzionalità negli stessi termini;
che nei giudizi relativi alle ordinanze di remissione nn. 547, 548, 549, 551, 585, 680, 681, 696, 697 e 698 del 1999 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata o manifestamente infondata.
Considerato che tutte le ordinanze di remissione, provenienti dallo stesso giudice, sollevano un’identica questione e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi unitariamente;
che l’interpretazione alla quale è pervenuta questa Corte nella sentenza n. 292 del 1998 è contrastata dal remittente sulla base del rilievo che la norma secondo cui la durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 303 del codice di procedura penale è contenuta nel comma 6 dell’art. 304 sotto la rubrica “Sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare”, sicché solo nelle ipotesi di sospensione dei termini essa dovrebbe trovare applicazione;
che una siffatta delimitazione della sfera di operatività dell’art. 304, comma 6, risponderebbe per di più alla razionalità intrinseca del sistema;
che identica questione di costituzionalità, sollevata con numerose ordinanze negli stessi termini, è già stata dichiarata da questa Corte manifestamente infondata con l’ordinanza n. 429 del 1999, nella quale si è rilevato come la soluzione interpretativa prospettata dai giudici remittenti non intaccasse la validità degli argomenti svolti nella sentenza n. 292 del 1998;
che deve essere qui ulteriormente ribadito che l’uso dell’avverbio “comunque” nell’art. 304, comma 6, cod. proc. pen. esprime in tutta la sua pregnanza l’idea del carattere assoluto e non condizionato della imposizione di un termine finale alla custodia cautelare, con la conseguenza che deve essere ritenuta costituzionalmente obbligata, in forza del valore espresso dall’art. 13 della Costituzione, l’interpretazione secondo cui la custodia cautelare perde efficacia allorquando la sua durata abbia superato un periodo pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione, anche se quel termine sia stato sospeso, prorogato o sia cominciato a decorrere nuovamente a seguito della regressione del processo;
che a una diversa considerazione della questione non inducono orientamenti tra loro contrastanti, anche della Corte di cassazione, antecedenti e successivi alle citate pronunce di questa Corte;
che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motiviLA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 303, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 19 giugno 2000.