ORDINANZA N. 429
ANNO 1999REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 303, comma 4, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 17 dicembre, il 23 novembre (n. 2 ordinanze), il 7 dicembre e il 23 novembre 1998 dal Tribunale di Napoli, il 26 marzo 1999 dalla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere, il 13 novembre (n. 2 ordinanze) e il 23 dicembre 1998 dal Tribunale di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn. 194, 216, 217, 260, 293, 324, 335, 336 e 384 del registro ordinanze 1999 e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 14, 16, 19, 21, 23, 24 e 28, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 ottobre 1999 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto che il Tribunale di Napoli, con otto ordinanze di contenuto pressoché identico, e la Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere, hanno sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 303, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorché si verifichi la situazione descritta nel comma 2 dello stesso art. 303;
che al riguardo i giudici rimettenti hanno evidenziato che, non condividendo le affermazioni poste a fondamento della sentenza di questa Corte n. 292 del 1998, con la quale venne dichiarata non fondata “nei sensi di cui in motivazione” l’identica questione a suo tempo sollevata dal Tribunale di Reggio Calabria, e tenuto conto dell’efficacia che occorre riconoscere alle decisioni interpretative di rigetto secondo la giurisprudenza delle Sezioni unite penali della Corte di cassazione, si imponeva la riformulazione del quesito di costituzionalità negli stessi termini e per le stesse ragioni già prospettate nella ordinanza di rimessione allora pronunciata dal Tribunale di Reggio Calabria;
che in alcuni dei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano l’identica questione e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un unico provvedimento;
che le doglianze prospettate dai giudici rimettenti, anziché concentrarsi sulla disposizione formalmente attinta dal dubbio di costituzionalità, si diffondono nel contestare la validità degli argomenti sviluppati nella sentenza “interpretativa” di questa Corte n. 292 del 1998;
che a tal proposito i giudici a quibus, nel sottolineare come ciascuno di tali argomenti possa essere ribaltato sul piano della ricostruzione ermeneutica, ritengono insuperabile il dato offerto dalla collocazione della specifica norma dettata dal comma 6 dell’art. 394 cod. proc. pen., sicché la stessa troverebbe applicazione soltanto nel caso di sospensione dei termini di custodia cautelare; conclusione, questa, che i rimettenti ritengono essere in linea, non soltanto con la lunga e travagliata “storia” della disciplina che viene qui in esame, ma anche con i valori di razionalità intrinseca del sistema, che la norma, diversamente interpretata, soddisferebbe appieno;
che la soluzione interpretativa prospettata dai giudici rimettenti, pur se degna di ogni attenzione, non sfugge agli stessi rilievi di cui è stata fatto oggetto la richiamata sentenza di questa Corte, giacché ciascuno degli argomenti giuridici addotti può essere invertito nei risultati, ove se ne contesti la premessa fondante (affermare, ad esempio, che l’avverbio “comunque” varrebbe soltanto “a sottolineare la correlazione tra la norma sui «limiti finali» e tutte le varie ipotesi di sospensione dei termini previste nei cinque commi che precedono…”, equivale null’altro che ad affermare un giudizio ipotetico sul piano interpretativo, dotato di un tasso di persuasività astrattamente identico alla ipotesi reciproca);
che al contrario deve qui riaffermarsi che è proprio l’uso di quell’avverbio dal valore assoluto e non condizionato a imporre di ritenere, come soluzione ermeneutica costituzionalmente obbligata, “che il superamento di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione, determina la perdita di efficacia della custodia, anche se quei termini sono stati sospesi, prorogati o - per stare al caso che qui interessa - sono cominciati a decorrere nuovamente a seguito della regressione del processo”,
che, pertanto, non essendo stati addotti argomenti di concludenza tale da indurre questa Corte a mutare le affermazioni poste a fondamento della citata sentenza n. 292 del 1998, la questione ora proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALEriuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 303, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli e dalla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 1999.
Giuliano VASSALLI, Presidente (e Redattore).
Depositata in cancelleria il 19 novembre 1999.