SENTENZA N. 180
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 118, sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), promosso con ordinanza emessa l’8 aprile 1997 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra D’Errico Magni Marfisa e l’INPS, iscritta al n. 338 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di costituzione dell’INPS nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 1999 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
uditi l’avvocato Carlo De Angelis per l’INPS e l’Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri
Ritenuto in fatto
1.— Nell’ambito di un giudizio promosso dalla tutrice di due nipoti minorenni contro il diniego dell’INPS di cointestare anche a questi ultimi la pensione di reversibilità concessale a seguito della morte del marito e di corrisponderle l’assegno al nucleo familiare comprendente i due nipoti, il Pretore di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, dell’art. 38 del d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 118, sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), nella parte in cui non prevede che le provvidenze da esso elencate possano essere riconosciute, oltre che ai minori regolarmente affidati dagli organi competenti, anche ai minori dei quali risulti la vivenza a carico di altra persona assicurata, e non consente la prova di tale circostanza tramite atto notorio od altro mezzo.
2.— Il giudice a quo rileva che l’istruttoria ha confermato l’assunto della ricorrente, secondo cui i due minori, pur se da tempo convivevano ed erano a completo carico dei nonni, non erano stati formalmente affidati agli stessi, in quanto, nelle more del relativo procedimento, era sopravvenuta la morte del nonno.
Tuttavia – soggiunge il Pretore – la tutrice sostiene che la situazione di fatto sarebbe tale da consentire la concessione della contitolarità della pensione di reversibilità ed il pagamento dell’assegno al nucleo familiare, alla luce della ratio del suddetto d.P.R. n. 818 del 1957: che é quella di garantire il sostentamento a coloro che, incapaci di procurarsi da soli un proprio reddito, dipendono in tutto o in parte da quello del defunto, indipendentemente dall’accertamento di tale situazione in base a dati meramente formali.
3.— Secondo il giudice a quo la norma impugnata, "certamente ispirata dalla finalità di evitare facili abusi, sembra però peccare di eccessivo rigore, laddove non consente che la situazione di vivenza a carico, ove manchi un formale affidamento, possa essere accertata con qualunque altro mezzo": ad esempio, con l’atto notorio, richiamato dall’art. 5 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797 (Testo unico sugli assegni familiari).
Di conseguenza, persone prive di qualsiasi risorsa economica e della capacità di procurarsi un reddito, come i minori affidati di fatto ai parenti, ricevono una tutela inferiore rispetto a quella goduta da coloro che sono stati regolarmente e formalmente affidati, senza che nessuna colpevole inerzia possa loro addebitarsi.
Ne risulterebbero violati il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3, oltre all’art. 38 della Costituzione.
4.— Si é costituito in giudizio l’INPS, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.
Secondo l’Istituto, nella normativa previdenziale l’attribuzione delle prestazioni fa sempre riferimento alle situazioni giuridicamente rilevanti e non a quelle di fatto, proprio perchè, come ha ritenuto anche il giudice a quo, devono essere evitati facili abusi.
Quindi l’effettiva convivenza con il de cuius non costituirebbe un criterio sufficiente per l’attribuzione delle prestazioni, essendo necessaria una idonea situazione giuridica.
D’altra parte, la tutela inferiore di cui godrebbero i minori affidati di fatto ai parenti non sarebbe riconducibile alla previsione normativa, ma sarebbe l’effetto del mancato perfezionamento della fattispecie legale.
5.— E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
Secondo l’Avvocatura, la scelta compiuta dal legislatore di ancorare l’individuazione dei soggetti titolari del diritto alle prestazioni previdenziali a situazioni di diritto, quali la filiazione e l’affidamento, anzichè alla situazione di fatto della vivenza a carico, appare non solo pienamente razionale, ma altresì conforme ad esigenze di certezza delle situazioni giuridiche.
La norma, poi, non risulterebbe discriminatoria nei confronti dei minori che siano di fatto a carico dell’assicurato, non solo per la diversità della loro situazione giuridica, ma anche per la ragione che al loro mantenimento é comunque tenuto a provvedere il genitore o l’affidatario.
Parimenti, non costituirebbe idoneo tertium comparationis l’art. 5 del d.P.R. n. 797 del 1955, dato che lo stesso condiziona il diritto agli assegni familiari alla prova della vivenza a carico, che deve però aversi esclusivamente all’interno di un preesistente rapporto di filiazione.
Per quanto attiene poi al contrasto della norma impugnata con l’art. 38 della Costituzione, l’Avvocatura rileva che la questione potrebbe essere dichiarata inammissibile per assenza di specifica motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza. In ogni caso, per la difesa erariale l’attuazione del principio solidaristico di cui all’art. 38 Cost. "é assicurata dalla reversibilità del trattamento previdenziale, di cui godeva l’assicurato, in favore del minore, cui era già tenuto a provvedere in virtù del predetto rapporto di filiazione o di affidamento".
Considerato in diritto
1.— Il Pretore di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, dell’art. 38 del d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 118, sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), nella parte in cui non prevede che le provvidenze da esso elencate possano essere riconosciute, oltre che ai minori regolarmente affidati dagli organi competenti, anche ai minori dei quali risulti la vivenza a carico di altra persona assicurata, e non consente la prova di tale circostanza tramite atto notorio od altro mezzo.
2.— La questione é fondata nei limiti di seguito precisati.
Secondo la norma impugnata, i trattamenti previdenziali si estendono – entro certi limiti e condizioni – a determinati componenti della famiglia dell’assicurato. In particolare, "sono equiparati ai figli legittimi e legittimati i figli adottivi e gli affiliati, quelli naturali legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, quelli nati da precedente matrimonio dell’altro coniuge, nonchè i minori regolarmente affidati dagli organi competenti a norma di legge". Nel caso in cui i soggetti prioritariamente indicati manchino o non abbiano più titolo alla reversibilità, la pensione viene assegnata ad altri parenti (art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come sostituito dall’art. 22 della legge n. 903 del 1965). E’ necessario, comunque, che i suddetti familiari, al momento del decesso del lavoratore o del pensionato, vivessero a suo carico.
3.— Tra i destinatari diretti e immediati della pensione di reversibilità non sono, dunque, inclusi i nipoti, pur se minori e viventi a carico degli ascendenti, a meno che siano stati formalmente affidati a questi ultimi dagli organi competenti.
Tale esclusione risulta irragionevole e comporta la violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Infatti, la ratio della reversibilità dei trattamenti pensionistici consiste nel farne proseguire almeno parzialmente, anche dopo la morte del loro titolare, il godimento da parte dei soggetti a lui legati da determinati vincoli familiari, garantendosi così ai beneficiari la protezione dalle conseguenze che derivano dal decesso del congiunto (v. le sentenze n. 70 del 1999, n. 18 del 1998, n. 495 del 1993 e n. 286 del 1987). Si realizza in tal modo, anche sul piano previdenziale, una forma di ultrattività della solidarietà familiare.
Tanto premesso, nel presente caso é sufficiente osservare che il rapporto di parentela tra ascendenti e discendenti ha – non solo nella realtà concreta, ma anche sotto il profilo giuridico – un carattere peculiare e più intenso rispetto a quello che può instaurarsi fra un soggetto ed i minori affidatigli dagli organi competenti. Ed infatti tale rapporto é particolarmente disciplinato e privilegiato dal legislatore, sia sul piano dei diritti che su quello degli obblighi connessi: basti pensare al dovere di concorso negli oneri di mantenimento, istruzione ed educazione, sancito dall’art. 148 del codice civile a carico degli ascendenti quando i genitori non hanno i mezzi sufficienti; all’obbligo di prestare gli alimenti, che può essere assolto anche accogliendo e mantenendo nella propria casa gli aventi diritto (artt. 433 e 443 del codice civile); alla tutela penale di tali doveri ed obblighi (artt. 570 e 591 del codice penale).
A causa della suddetta peculiarità, la legge esenta gli ascendenti (e gli altri parenti entro il quarto grado), che accolgano stabilmente nella propria abitazione un minore, dal dovere di darne segnalazione al giudice tutelare (art. 9 della legge 4 maggio 1983, n. 184): i nipoti, infatti, fanno già parte della loro famiglia, di modo che non occorre alcun affidamento formale da parte delle pubbliche autorità.
Risulta dunque irragionevole che, mentre i minori formalmente affidati dagli organi competenti – legati da vincoli meno stretti di quelli familiari in linea retta – possono continuare a godere del trattamento pensionistico del de cuius, i minori che vivono a carico dell’ascendente assicurato ne siano esclusi. Se nel primo caso la ragion d’essere può rinvenirsi nella circostanza che l’ambito di famiglia presa in considerazione dal regime generale della previdenza sociale tende ad essere più ampio rispetto a quello che fa esclusivo riferimento al matrimonio ed alla filiazione, nel secondo caso l’esclusione non ha alcuna valida giustificazione.
Deve essere, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui non include tra i destinatari diretti e immediati della pensione di reversibilità i nipoti minori e viventi a carico degli ascendenti assicurati, che non siano stati formalmente affidati a questi ultimi dagli organi competenti.
4.— Resta assorbito il profilo relativo alla denunciata violazione dell’art. 38 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 38 del d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 118, sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), nella parte in cui non include tra i soggetti ivi elencati anche i minori dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1999.
Renato GRANATA , Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 20 maggio 1999.