Ordinanza n. 126/99

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ORDINANZA N. 126

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 413, quarto comma, del codice di procedura civile, nel testo introdotto dall'art. 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 128 (Determinazione della competenza territoriale per le controversie relative ai rapporti di cui al numero 3 dell’articolo 409 del codice di procedura civile), promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1995 dal Pretore di Roma sul ricorso proposto da Conti Luigi contro la Malesci S.p.a., iscritta al n. 6 del registro ordinanze 1998 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visto l'atto di costituzione di Conti Luigi nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1999 il Giudice relatore Massimo Vari;

  uditi l'avvocato Sergio Vacirca per Conti Luigi e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

  Ritenuto che, nel corso del giudizio civile promosso da Conti Luigi nei confronti della Malesci S.p.a., con sede in Firenze, il Pretore di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 22 gennaio 1995 (pervenuta alla Corte il 7 gennaio 1998 ed iscritta al r.o. n. 6 del 1998), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge 11 febbraio 1992, n. 128 (Determinazione della competenza territoriale per le controversie relative ai rapporti di cui al numero 3 dell’articolo 409 del codice di procedura civile) — il cui art. 1 (ed unico) ha introdotto il quarto comma dell'art. 413 del codice di procedura civile — "nella parte in cui non prevede che al giudice nella cui circoscrizione si trova il suo domicilio possa far ricorso anche il lavoratore subordinato che esplichi la sua attività al di fuori della sede dell’azienda ovvero di una dipendenza di essa";

  che il rimettente — nell'escludere la possibilità di applicare al caso di specie la "lettera della disposizione de qua, che si riferisce espressamente ai soli rapporti di c.d. parasubordinazione" — reputa la questione rilevante ai fini della decisione della controversia, "atteso che la esclusione del rapporto intercorrente tra le parti dal novero di quelli per cui é possibile il ricorso al giudice del luogo di residenza del prestatore imporrebbe una immediata pronuncia di incompetenza territoriale";

  che, inoltre, secondo il rimettente, la questione stessa si appalesa non manifestamente infondata, in considerazione del vulnus che la disposizione denunciata infliggerebbe al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, per la ingiustificata disparità di trattamento del lavoratore subordinato, che svolge attività al di fuori della sede aziendale o di una sua dipendenza, rispetto al "lavoratore subordinato che presta la propria attività presso la sede o una dipendenza dell’azienda" ed al lavoratore c.d. parasubordinato, essendo in entrambi questi casi agevolata "la proposizione del giudizio a tutela della parte più debole del rapporto, con il ricorso al giudice del luogo nel quale l’attività si é esplicata";

  che si é costituito Conti Luigi, ricorrente nel giudizio a quo, il quale ha concluso, in via principale, per "la emanazione di una sentenza interpretativa di rigetto" (tale da portare ad affermare la competenza del Pretore di Roma) e, in via subordinata, per l’accoglimento della questione "così come proposta dal giudice remittente";

  che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per sentir "dichiarare la manifesta inammissibilità" della proposta questione di costituzionalità, eccependo, da un lato, che "dal testo dell’ordinanza pretorile non risulta l’oggetto della domanda introdotta" e, dunque, "la rilevanza della questione stessa ai fini del decidere" e, osservando, dall’altro, che "analoga questione é stata dichiarata manifestamente inammissibile" con l’ordinanza n. 241 del 1993;

  che entrambe le predette parti hanno ribadito le rispettive conclusioni con memorie integrative depositate in prossimità dell’udienza.

  Considerato, preliminarmente, che l’eccezione — sollevata dalla parte pubblica intervenuta — di inammissibilità della proposta questione di costituzionalità, sotto il profilo della mancata motivazione in punto di rilevanza nel giudizio a quo, é da reputarsi infondata;

  che, difatti, avendo l’ordinanza di rimessione affermato, con motivazione non implausibile, la natura subordinata del rapporto lavorativo oggetto di cognizione nel giudizio principale e precisato le relative modalità di esplicazione (al di fuori della sede aziendale o di una sua dipendenza), risulta del tutto evidente il nesso di pregiudizialità tra la questione stessa e la decisione che il rimettente é tenuto ad adottare sull’eccezione di incompetenza territoriale avanzata dalla società convenuta nel giudizio a quo;

  che, peraltro, questa Corte, con ordinanza n. 241 del 1993, si é già pronunciata sul dubbio di costituzionalità concernente l’art. 413, quarto comma, del codice di procedura civile, introdotto dall’art. 1 della legge n. 128 del 1992, "nella parte in cui non prevede l’applicazione della norma anche ai rapporti di lavoro con modalità di esecuzione assimilabili a quelle di cui all’art. 409, numero 3, del codice di procedura civile (scissione tra attività lavorativa e struttura aziendale)", prospettato sotto il profilo della violazione dell’art. 3 della Costituzione, "per la disparità di trattamento che si verificherebbe fra i lavoratori di cui all’art. 409 c.p.c. e gli altri lavoratori subordinati che operano in una determinata zona del tutto svincolati dalle filiali o dipendenze, intese come strutture di riferimento dell’attività lavorativa";

  che, in quell’occasione, si é ritenuto frutto di corretta e ragionevole scelta legislativa, pur sempre discrezionale nel generale ambito di individuazione dei criteri di determinazione della competenza per territorio (secondo un costante orientamento, recentemente ribadito dall'ordinanza n. 370 del 1998 e dalla sentenza n. 228 del 1998), la previsione, per i soli rapporti di cui all’art. 409, numero 3, del codice di procedura civile, del foro territoriale esclusivo del "domicilio" del lavoratore parasubordinato e ciò in virtù di un "equo contemperamento degli interessi del lavoratore e dell’imprenditore";

  che, non emergendo a sostegno dell’ordinanza di rimessione argomentazioni e profili nuovi o, comunque, tali da indurre a diverso avviso, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 413, quarto comma, del codice di procedura civile, nel testo introdotto dall'art. 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 128 (Determinazione della competenza territoriale per le controversie relative ai rapporti di cui al numero 3 dell’articolo 409 del codice di procedura civile), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Roma con l’ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 aprile 1999.