SENTENZA N.453
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1-quinquies, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), introdotto dall'art. 3 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, promosso con ordinanza emessa il 19 febbraio 1997 dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, nel giudizio di responsabilità a carico di Lovecchio Marco ed altri, iscritta al n. 7 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1998 il Giudice relatore Massimo Vari.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 19 febbraio 1997 (R.O. n. 7 del 1998) - emessa nel corso di un giudizio di responsabilità amministrativa instaurato dal Procuratore regionale nei confronti di alcuni dipendenti del Comune di Ponteranica nonchè della Banca popolare di Bergamo, tesoriere dello stesso Comune - la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Lombardia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1-quinquies, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), denunciandone il contrasto con gli artt. 3, 23, 24, primo comma, 28 e 97, primo e secondo comma, della Costituzione.
2.- Premette il rimettente che, con atto di citazione del 14 dicembre 1994, integrato da altro successivo del 9 giugno 1995, il Procuratore regionale della Corte dei conti conveniva in giudizio il ragioniere capo e l'economo del Comune di Ponteranica, nonchè l'istituto bancario tesoriere (unitamente ad alcuni addetti alla Tesoreria), quali presunti responsabili - sia pure a diverso titolo - di danno all'erario per l'importo di Lire 224.339.324 (oltre la rivalutazione, gli interessi legali e le spese di giudizio). Il ragioniere capo era, inoltre, chiamato a rispondere del mancato versamento in Tesoreria della somma di Lire 7.110.550, consegnatagli da un debitore privato, quale importo dovuto per l'estinzione di un'obbligazione pecuniaria nei confronti del Comune.
Definita con sentenza parziale del 23 maggio 1997 la posizione dei suddetti dipendenti comunali, chiamati a rispondere a titolo di dolo - e già ritenuti responsabili, dal Tribunale penale di Bergamo, di truffa aggravata, falso in atto pubblico ed altri reati connessi - la Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la Lombardia, nel condannare i medesimi alla refusione in solido della somma corrispondente ai mandati di pagamento illecitamente riscossi, ha sospeso la pronunzia nei confronti del tesoriere, chiamato a rispondere a titolo di colpa grave per aver incautamente liquidato i detti mandati di pagamento, ed ha sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione sopra specificata.
Rilevato che il principio della solidarietà passiva, per la generale portata assunta nell'ambito del codice civile vigente, sia per la responsabilità contrattuale sia per quella aquiliana, consente al creditore di chiedere la condanna per l'intero anche di uno solo dei condebitori solidali, godendo, quindi, di una posizione agevolata per la soddisfazione del credito, il giudice contabile osserva che, a causa della disposizione censurata, analoga facoltà sarebbe preclusa, invece, al Procuratore regionale della Corte dei conti, "con evidenti disparità di trattamento e limitazione del diritto di difesa" e, quindi, con violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
La ridotta capacità di reazione dell'ordinamento si rifletterebbe anche sui valori protetti dall’art. 23 della Costituzione per l’esigenza, comportata dalla probabile riduzione delle pubbliche risorse, di incrementare le prestazioni patrimoniali imposte ai cittadini, in contrasto con il principio di ragionevolezza e con il principio di eguaglianza.
La violazione del principio di eguaglianza, per disparità di trattamento ed irragionevolezza (art. 3), sarebbe ancora ravvisabile, secondo il rimettente, con riferimento all'art. 28 della Costituzione: infatti, mentre il terzo danneggiato può, in virtù di quest'ultima disposizione, ottenere l'integrale ristoro del danno, convenendo in giudizio l'Ente pubblico, quest'ultimo, in sede di rivalsa nei confronti dell'autore del pregiudizio, non può ottenere altrettanto, giacchè i dipendenti - che pur avrebbero potuto essere condannati in solido, in sede civile, ove convenuti in giudizio dal terzo medesimo - risultano, invece, sottratti, innanzi alla Corte dei conti, a tale tipo di condanna. L'applicazione della disposizione censurata presenterebbe aspetti di spiccata irragionevolezza specialmente nel caso di una fattispecie delittuosa per la quale siano convenuti in giudizio innanzi alla Corte dei conti, unitamente all'autore del reato, anche coloro che abbiano omesso colposamente l'osservanza dei doveri di vigilanza e di controllo. In tale ipotesi, esclusa la possibilità di condannare l'autore del reato ad un risarcimento del danno per un importo inferiore alla somma illecitamente conseguita, il giudice si troverebbe nell'esigenza irragionevole di determinare un "arricchimento ingiustificato del soggetto pubblico danneggiato", dovendo condannare per l'intero l'autore del reato e, per un'ulteriore quota, il soggetto corresponsabile per negligenza.
Per contro, secondo il regime previgente, la sussistenza del vincolo solidale tra i corresponsabili del danno erariale, che la Corte dei conti applicava anche pro-quota, consentiva, attraverso il meccanismo del regresso, di far gravare l'intero danno sull'autore del reato, mentre l'escussione del controllore negligente, per la quota a lui addebitata, portava ad una più agevole realizzazione del credito, senza eccedere la misura del danno subito dall'erario.
Infine, secondo il giudice rimettente, la disposizione censurata colliderebbe anche con i principi di correttezza e buon andamento della pubblica amministrazione, fissati nell'art. 97 della Costituzione; principi la cui salvaguardia rientra tra le finalità della giurisdizione contabile e con i quali sarebbe coerente il criterio della solidarietà passiva.
3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
L'Avvocatura erariale, nel fare rinvio alle deduzioni a suo tempo predisposte per altri giudizi instaurati innanzi a questa Corte, rammenta che, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale, le norme in tema di responsabilità dei dipendenti pubblici risultano sindacabili solo in caso di arbitrarietà e manifesta irragionevolezza delle scelte del legislatore.
Nel quadro di riferimento normativo costituito dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, dovrebbe, in ogni caso, escludersi che l'art. 97 della Costituzione implichi un principio di inderogabilità, per i pubblici dipendenti, delle comuni regole di responsabilità operanti fra i privati.
Considerato in diritto
1.- Con l'ordinanza in epigrafe la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1-quinquies, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), nella parte in cui limita, nell'ipotesi di danno erariale causato da più persone, la responsabilità solidale ai soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo.
Secondo il rimettente il predetto comma 1- quinquies, aggiunto all'art. 1 della legge n. 20 del 1994 dall'art. 3, comma 1, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, si pone in contrasto con:
- gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per la ingiustificata disparità di trattamento e per la limitazione del diritto di azione del Procuratore regionale della Corte dei conti, rispetto al regime di responsabilità civile del diritto privato, ispirato al principio generale della solidarietà passiva;
- il medesimo art. 3, sotto il profilo della disparità di trattamento e della irragionevolezza, in riferimento all'art. 28 della Costituzione, in quanto, mentre in base a detta ultima disposizione il terzo può ottenere l'integrale ristoro del danno nei confronti dell'ente pubblico, quest'ultimo incontrerebbe limiti, nel far valere il suo diritto, a causa della sottrazione dei dipendenti alla condanna in via solidale; ciò senza considerare che l'esclusione del vincolo di solidarietà passiva nei confronti di colui, che, venendo meno al dovere di vigilanza, ha concorso a provocare il danno, porrebbe il giudice nella necessità di determinare un arricchimento ingiustificato del soggetto danneggiato, dovendo condannare l’autore del reato ad un importo che non può essere inferiore all'intero, al quale si aggiunge la condanna, per una ulteriore quota, del soggetto corresponsabile a titolo di colpa grave;
- l'art. 23 della Costituzione, in quanto la ridotta reazione dell'ordinamento comporterebbe l'esigenza di imporre irragionevolmente ai cittadini ulteriori prestazioni patrimoniali;
- l'art. 97 della Costituzione, in quanto la limitazione introdotta inciderebbe negativamente sul buon andamento della pubblica amministrazione la cui promozione, attraverso il perseguimento delle responsabilità, rientra tra le finalità della giurisdizione contabile.
2.- La questione non é fondata.
La disposizione denunciata, al pari dell'altra, sulla quale questa Corte ha avuto recentemente occasione di pronunziarsi con una sentenza di infondatezza - e cioé quella che limita la responsabilità di dipendenti ed amministratori pubblici ai soli casi di dolo o colpa grave - si colloca nell’ambito di una nuova conformazione dell'istituto della responsabilità amministrativa e contabile, secondo linee volte, tra l'altro, ad accentuarne i profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori (sentenza n. 371 del 1998). Nel quadro di tale nuovo ordinamento il legislatore, in caso di danno cagionato da più persone, ha dettato una disciplina dei rapporti fra i corresponsabili tale da renderla più aderente, come emerge dai lavori parlamentari, alla misura della partecipazione avuta da ciascuno dei vari soggetti nella causazione dell'evento dannoso, disponendo che la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanni "ciascuno per la parte che vi ha preso" (art. 1, comma 1-quater, della legge n. 20 del 1994), salva l’ipotesi in cui i concorrenti "abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo", nel qual caso essi sono invece "responsabili solidalmente", così come espressamente dispone il successivo comma 1-quinquies, sul quale specificamente si appuntano le censure del rimettente.
Onde cogliere la reale portata innovativa della disposizione, va considerato che al precedente ordinamento della materia era tutt'altro che estraneo il criterio della parziarietà, il quale risulta sancito, in termini pressochè analoghi a quelli attuali, dall'art. 82 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, accanto alla norma sulla facoltà del giudice, "valutate le singole responsabilità", di "porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto" (art. 83). Tuttavia un consistente filone della giurisprudenza della Corte dei conti riteneva che la parziarietà riguardasse il rapporto interno fra condebitori e che, invece, nei confronti del danneggiato, i corresponsabili fossero comunque legati dal vincolo derivante dal principio di solidarietà, che, peraltro, veniva applicato, sovente, infliggendo a coloro che, ad avviso del giudice, avevano avuto minor peso nel cagionare l'evento, la condanna in solido con gli altri corresponsabili, ma limitando la quota dovuta fino a concorrenza di una parte del danno.
Di fronte ad un panorama giurisprudenziale non privo, invero, di profili di incertezza, il legislatore, con la norma denunciata, nel ribadire come regola generale il principio di parziarietà, individua, espressamente, nei casi di dolo o di illecito arricchimento le ipotesi derogatorie in cui più soggetti corresponsabili restano legati dal vincolo della solidarietà passiva.
3.- La scelta così operata non può reputarsi illegittima, in quanto, per i pubblici dipendenti, la responsabilità per il danno ingiusto può essere oggetto, come questa Corte ha avuto occasione di affermare, di discipline differenziate rispetto ai principi comuni in materia.
E' sufficiente, perciò, rifarsi al predetto orientamento per dissipare il dubbio di violazione dell'art. 3, prospettato dal rimettente, richiamando, tra l'altro, la diversa disciplina che, a suo avviso, si desumerebbe, per i rapporti fra pubblica amministrazione e terzo danneggiato, dall'art. 28 della Costituzione.
Inoltre, proprio con riguardo a fattispecie consimile a quella dalla quale ha tratto spunto l'ordinanza di rimessione, questa Corte ha avuto modo di affermare che non può certo essere la mancata applicabilità del principio di solidarietà a dar fondamento a censure di violazione del principio di eguaglianza, giacchè proprio il trasferimento del peso del risarcimento dal maggiore al minore colpevole rischierebbe di non essere consono con tale principio, nonchè con le prescrizioni di cui all'art. 97 della Costituzione (sentenza n. 773 del 1988).
4.- Quanto, poi, all'art. 24 della Costituzione é sufficiente rilevare, a tacer d’altro, che la garanzia apprestata da tale articolo opera attribuendo la tutela processuale delle situazioni giuridiche soggettive nei termini in cui queste risultano riconosciute dal legislatore; di modo che quella garanzia trova confini nel contenuto del diritto al quale serve, e si modella sui concreti lineamenti che il diritto riceve dall’ordinamento.
5.- Per corroborare la tesi dell’incostituzionalità della censurata disposizione, l’ordinanza si sofferma sugli esiti irragionevoli cui essa darebbe luogo, imponendo al giudice di infliggere, in una fattispecie quale quella all'esame del rimettente, condanne per importi superiori alla perdita subita dall’erario. In proposito, nel rammentare il principio secondo il quale (cfr. sentenze n. 307 del 1996 e n. 354 del 1997) é compito del giudice dare, per quanto sia possibile, alle norme denunciate una interpretazione secundum Constitutionem, si osserva che l'inconveniente segnalato deriva da una scelta interpretativa che appare tutt'altro che scontata, risultando, infatti, disattesa da quella giurisprudenza, che, proprio per evitare le illogiche conseguenze prospettate dal rimettente, in casi analoghi afferma che l'agente il quale, a titolo di colpa, risponde soltanto per una quota del danno, resti obbligato solo in via eventuale dopo l'infruttuosa escussione di coloro che abbiano agito con dolo.
Tale orientamento, già accolto in passato dalla giurisprudenza contabile nell'ambito del regime che tendeva a coniugare, come si é detto, solidarietà e parziarietà, é stato recentemente ribadito (v. Corte dei conti, Sezioni riunite, 25 febbraio 1997, n. 29) nei confronti della nuova disciplina, valendo, perciò, ad evitare proprio gli effetti paventati dall’ordinanza.
6.- Ugualmente infondate sono le censure prospettate in riferimento agli artt. 23 e 97 della Costituzione. Infatti, mentre va rilevata l'estraneità alla problematica qui in esame della prima disposizione, la quale contempla la riserva di legge per le prestazioni personali e patrimoniali, é da escludere, del pari, la lesione della seconda, sotto il profilo del buon andamento, attesa la non irragionevolezza della denunciata disciplina.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1-quinquies, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), sollevata in riferimento agli artt. 3, 23 e 24, primo comma, 28 nonchè 97, primo e secondo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Lombardia, con l'ordinanza in epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Massimo VARI
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.