SENTENZA N.418
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 177 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 22 aprile 1997 dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Stracuzzi Luciano, iscritta al n. 792 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Udito nella camera di consiglio del 30 settembre 1998 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di sorveglianza di Firenze, chiamato a decidere sulla revoca del beneficio della liberazione condizionale, concesso, dopo un lungo periodo di semilibertà, con provvedimento del 28 aprile 1994, avendo il condannato riportato una condanna per delitto divenuta definitiva, ha denunciato, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 3 della Costituzione, l’illegittimità dell’art. 177 del codice penale, nella parte in cui dispone che "la liberazione é revocata se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole". Nucleo essenziale delle censure del ricorrente é il rigido automatismo che contrassegna le ipotesi di revoca dei benefici penitenziari, un automatismo più volte dichiarato illegittimo dalla Corte a far tempo dalla sentenza n. 186 del 1995 che ebbe a pronunciare "l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione anticipata nel caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio anzichè stabilire che la liberazione anticipata é revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio", e secondo una linea ribadita, da ultimo, con la sentenza n. 173 del 1997, che ha dichiarato "l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, ultimo comma, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui fa derivare automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla presentazione di una denuncia per il reato di allontanamento del detenuto dalla propria abitazione".
Dopo aver trascritto gran parte dell’ordinanza con la quale lo stesso Tribunale di sorveglianza di Firenze aveva sollevato la questione di legittimità decisa con sentenza di questa Corte n. 186 del 1995, segnalando l’analogia della ratio sottostante a detta ordinanza rispetto a quella posta alla base della questione di legittimità ora sollevata, il giudice a quo segnala come i criteri della revoca della liberazione condizionale contenuti nell’art. 177 del codice penale "hanno caratteristiche completamente opposte a quelle che dovrebbero avere secondo la Corte costituzionale" essendo, in effetti, informati ad un rigoroso automatismo.
L’ordinanza si sofferma poi sul caso di specie per rilevare le caratteristiche del delitto per cui il liberato condizionalmente era stato condannato, sottolineando che non si tratta di un reato della stessa indole di quello per il quale il detenuto scontava la pena e che in ogni caso la nuova pena inflitta (di anni uno e mesi quattro di reclusione) sarebbe stata scontata per intero, mentre, all’opposto, dal coinvolgimento del detenuto nel nuovo delitto non potrebbero di per sè stesso trarsi conseguenze negative sul piano di una utile prosecuzione del periodo di prova in libertà vigilata.
Ciò premesso, l’ordinanza del tribunale di sorveglianza denuncia il contrasto dell’art. 177, primo comma, del codice penale, là dove questo pone alla base della revoca della liberazione condizionale la condanna per qualsiasi delitto, con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, perchè il mancato collegamento di tale norma fra cause di revoca e incompatibilità con la prosecuzione del regime di prova controllata, nonchè gli elementi di automatismo della revoca che contrassegnano il detto regime precludono di valutare "se il soggetto, che ha posto in essere una possibile causa di revoca, nonostante ciò, non abbia abbandonato, voglia proseguire e prosegua in effetti il percorso rieducativo, cui é finalizzata la esecuzione della pena". L’intervento della revoca frustrerebbe, pertanto, lo svolgimento di quel percorso, impedendo, quindi, la concreta attuazione della finalità rieducativa della pena. Ma a risultare vulnerato sarebbe pure l’art. 3 della Costituzione, in quanto le caratteristiche della normativa in esame, "possono consentire il realizzarsi di una disparità di trattamento, priva di ragionevolezza, fra casi di compatibilità o fra casi di incompatibilità con la prosecuzione della prova controllata: così, secondo il tipo di reato commesso durante la prova e non secondo il rilievo e il significato dello stesso (in termini di compatibilità con la prosecuzione della prova), si potrebbe configurare o meno una causa di revoca della liberazione condizionale".
2. – Nel giudizio non si é costituita la parte privata nè ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di sorveglianza di Firenze dubita della legittimità costituzionale dell’art. 177, primo comma, del codice penale, nella parte in cui pone a fondamento della revoca della liberazione condizionale la condanna per qualsiasi delitto senza operare in proposito distinzione alcuna e senza tener conto della concreta compatibilità o meno del fatto di aver riportato tale condanna con la prosecuzione della prova in regime di libertà vigilata.
La questione di legittimità costituzionale viene sottoposta alla Corte costituzionale sotto un duplice parametro: anzitutto, in riferimento al contrasto della disposizione citata con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto la genericità di tale disposizione, il mancato collegamento fra cause di revoca e incompatibilità con la prosecuzione del regime di prova controllata, nonchè gli elementi di automatismo della revoca nella disposizione stessa contenuti, non consentono di valutare se il soggetto, che ha posto in essere una possibile causa di revoca, nonostante ciò non abbia abbandonato ed effettivamente prosegua il percorso rieducativo cui é finalizzata l’esecuzione della pena. A causa di detto mancato collegamento l’intervento della revoca frustrerebbe lo svolgimento dell’anzidetto "percorso" e impedirebbe la concreta attuazione della finalità rieducativa della pena.
In secondo luogo l’art. 177, primo comma, del codice penale, nella parte sottoposta a scrutinio di costituzionalità, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in quanto le caratteristiche della normativa in esame, più sopra rilevate, possono consentire il realizzarsi di una disparità di trattamento, priva di ragionevolezza, fra casi di compatibilità e casi di incompatibilità con la prosecuzione della prova controllata.
2. – La questione é fondata.
L’eccessivo rigore dal quale il codice del 1930 appariva ispirato nel disciplinare le ipotesi di revoca della liberazione condizionale fu rilevato dalla dottrina sin dai primi anni successivi alla entrata in vigore della Costituzione, e ciò anche in considerazione del principio enunciato nell’art. 27, terzo comma, secondo il quale "le pene … devono tendere alla rieducazione del condannato". Tale rigore veniva rilevato sia con riferimento al presupposto consistente nella commissione, da parte della persona liberata condizionalmente, di un qualsiasi delitto o contravvenzione (anche se, quest’ultima, della stessa indole: v. art. 101 del codice penale), sia in relazione alla disposizione che includeva tra i presupposti obbligatori della revoca qualsiasi trasgressione agli obblighi inerenti alla libertà vigilata disposta, nei confronti del soggetto liberato condizionalmente, a’ termini dell’art. 230, numero 2. Senonchè, mentre ad evitare gli eccessi prodotti dalla formulazione dell’art. 177, primo comma, sotto questo secondo profilo, ha potuto provvedere oramai da vari anni la giurisprudenza ordinaria, segnatamente la giurisprudenza di legittimità – esigendo che le trasgressioni siano tali da far ritenere il mancato ravvedimento della persona cui sia stata concessa la liberazione condizionale, nel senso che il giudice deve compiere una penetrante indagine diretta ad accertare, senza ombra di dubbio, se l’addebito possa concretare, o non, una grave trasgressione al regime di vita cui il liberato é sottoposto, e se costituisca un sicuro elemento rivelatore della mancanza di ravvedimento e della non meritevolezza dell’anticipato reinserimento nella vita sociale –, nulla di simile é stato possibile disporre a proposito dei presupposti della revoca quando questi consistano in una condanna per delitto o per contravvenzione. La stessa giurisprudenza pone in rilievo il rigido automatismo di questa ipotesi, operare sulla quale in linea interpretativa appare impossibile. Secondo tale giurisprudenza il presupposto consistente nella commissione di un delitto (ovviamente ritenuto da sentenza di condanna passata in giudicato) non subisce nella legge alcuna limitazione, il requisito della stessa indole del reato dovendosi ritenere riferito alle sole contravvenzioni. Nè altra interpretazione restrittiva é comunque proponibile vuoi, ad esempio, con riferimento all’elemento soggettivo vuoi con riferimento alla natura o alla gravità della pena prevista dalla legge o della pena inflitta.
Nè, d’altra parte, tra le varie riforme legislative susseguitesi negli ultimi decenni in materia di liberazione condizionale, ve ne é stata alcuna che concerna i presupposti della revoca della liberazione stessa. Il problema proposto non può quindi essere risolto se non in riferimento ai parametri costituzionali.
3. – Assorbente si rivela in proposito il profilo di illegittimità costituzionale fatto valere dal giudice rimettente in riferimento al principio rieducativo.
Che l’istituto della liberazione condizionale si inserisca decisamente nell’ambito della finalità rieducativa della pena é stato affermato da questa Corte sin dalla sentenza n. 204 del 1974, i cui principî sono stati richiamati in varie sentenze degli anni successivi. Secondo tale giurisprudenza "l’istituto della liberazione condizionale si inserisce nel fine ultimo e risolutivo della pena, quello, cioé, di tendere al recupero sociale del condannato"; e "con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, l’istituto ha assunto un peso e un valore più incisivo di quello che non avesse in origine", sì che "il suo ambito di applicazione presuppone un obbligo tassativo per il legislatore di tenere non solo presenti le finalità rieducative della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle".
E’ alla luce di tale principio che va esaminata la disciplina legale della revoca, con particolare riguardo al modo di operare automatico di taluno dei suoi presupposti.
Del carattere automatico della revoca della liberazione condizionale questa Corte ebbe già ad occuparsi, sia pure incidentalmente. Nella sentenza n. 282 del 1989, dopo avere riaffermato che "con la liberazione condizionale la funzione rieducativa della pena prevale, oggi, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, Cost., sull’esigenza retribuzionistica", la Corte stessa prese ad esaminare analiticamente quei passi che la Relazione al re sul codice penale del 1930 dedica al tema della revoca della liberazione condizionale e al suo modo automatico di operare, inteso come risposta a chi non si sia dimostrato degno della fiducia in lui riposta al momento della concessione del beneficio; e concluse dicendo che le affermazioni del ministro dell’epoca non erano in armonia con la natura della liberazione condizionale emersa dopo la Costituzione repubblicana (n. 7 del Considerato in diritto). In quella circostanza la critica della opzione ideologica espressa al momento dell’emanazione del codice venne utilizzata per negare quella che la citata sentenza chiama "rigidità repressiva della revoca" e per dichiarare l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 177 nella parte in cui esso non consentiva, nel caso di avvenuta revoca, di tener conto, per determinare la residua quantità della pena detentiva ancora da espiare, del tempo trascorso in libertà condizionale nonchè delle restrizioni di libertà subite dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo. Oggi la Corte si trova a dover esaminare, alla luce degli stessi caratteri attribuibili in forza della Costituzione alla liberazione condizionale, i casi di revoca automatica della liberazione stessa.
4. – Ora non v’é dubbio che il carattere automatico di quello che é il primo gruppo di ipotesi in cui per legge deve farsi luogo alla revoca ("delitti" e "contravvenzioni della stessa indole") é in contrasto con una ragionevole applicazione del principio rieducativo.
Come ricorda il giudice rimettente, questa Corte ha già avuto modo di dichiarare l’illegittimità costituzionale di disposizioni che prevedevano casi di revoca automatica di benefici concessi in relazione alle esigenze proprie dei percorsi rieducativi del condannato: così, a proposito della revoca delle misure alternative alla detenzione disposte dall’art. 15, comma 2, del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356), la Corte ebbe a statuire che l’effetto della revoca di tali benefici deve essere proporzionato alla gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che lo ha determinato (sentenza n. 306 del 1993, n. 13 del Considerato in diritto); così a proposito della revoca del beneficio della liberazione anticipata a seguito di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione della pena successivamente alla concessione del beneficio (art. 54, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354), la Corte ebbe a rilevare l’illegittimità costituzionale di un meccanismo improntato a un rigido automatismo sanzionatorio che "relega nell’ombra la funzione di impulso e di stimolo ad una efficace collaborazione nel trattamento rieducativo" ed esclude ogni apprezzamento "in ordine alla compatibilità o meno degli effetti che scaturiscono dalla liberazione anticipata rispetto al valore sintomatico che in concreto può assumere l’intervenuta condanna" (sentenza n. 186 del 1995); e così, ancora, ha usato lo stesso filone di pensiero quando ha escluso che la sola presentazione di una denuncia, non seguita da accertamento sia pure incidentale e limitato sulla esistenza di un reato, possa determinare la sospensione automatica della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter della suddetta legge 26 luglio 1975, n. 354 (sentenza n. 173 del 1997). Ed anche dove la Corte ha dovuto dichiarare non fondate censure di illegittimità costituzionale pur riferite agli artt. 27, terzo comma, 3 e 101, secondo comma, della Costituzione, nelle quali si lamentava l’eccessivo rigore del regime vigente in tema di ammissione ai permessi-premio, la Corte non ha mancato di raccomandare al legislatore di rivedere "l’impiego dell’assoluto automatismo di cui al quarto comma dell’art. 30-ter (della legge 26 luglio 1975, n. 354) non tanto in relazione al momento processuale che determina l’effetto preclusivo, quanto in relazione alle tipologie di delitti dolosi la cui commissione effettivamente comprometta il giudizio sulla regolarità della condotta e, conseguentemente, faccia presumere la pericolosità del condannato" (sentenza n. 296 del 1997).
Alla stregua dei ricordati precedenti l’automatismo denunciato dal giudice rimettente a proposito della revoca della liberazione condizionale non può considerarsi costituzionalmente legittimo.
Anche se non può dirsi preclusa in senso assoluto al legislatore la potestà di assumere determinate condanne come criterio per escludere l’ammissione del condannato a determinati benefici o per sancire la revoca di benefici già ottenuti, occorre tuttavia che tali criteri siano sufficientemente circoscritti, in modo da non dar luogo a irragionevoli parificazioni e da non precludere, nelle ipotesi meno gravi, la funzione rieducativa della pena. Il parificare, come fa l’art. 177, primo comma, del codice penale, tutti i delitti, senza operare nel seno di questa vastissima categoria - comprensiva sia di delitti dolosi che di delitti colposi, sia di delitti puniti con pena restrittiva della libertà personale che di delitti puniti con la sola pena della multa, sia di delitti della stessa indole di quello per cui il soggetto stava espiando la pena al momento dell’intervenuta liberazione condizionale che di delitti di natura affatto diversa – alcuna selezione, é criterio che, collegato con l’automatica derivazione della revoca dalla condanna, rende tale disposizione manifestamente illegittima, perchè in essa sono violati congiuntamente il principio rieducativo e quello di ragionevolezza. Ed altrettanto deve dirsi per la contestuale parificazione delle contravvenzioni ai delitti, ancorchè tale parificazione sia limitata alle contravvenzioni della stessa indole del reato in relazione al quale il detenuto stava scontando la pena.
5. – A sottolineare, ad un tempo, la irragionevolezza della assenza di ogni selezione e il contrasto di questa assenza con le esigenze imposte dal principio rieducativo, basterebbe del resto esaminare altre disposizioni di legge prese variamente in considerazione da questa Corte in altre sentenze, sempre in collegamento con le esigenze della funzione rieducativa. Nell’art. 30-ter dell’ordinamento penitenziario, pocanzi ricordato, la concessione dei permessi-premio é ammessa entro tempi proporzionati alla gravità delle condanne inflitte ed anche al quantum di pena già espiata (comma 4 del suddetto articolo); quando si tratta (come nel comma 5 dell’articolo) di soggetti che hanno riportato condanna o sono imputati di reati commessi durante l’espiazione della pena, la esclusione ivi contemplata é limitata ai delitti dolosi. Egualmente l’art. 58-quater, al comma 5, prevede l’esclusione dell’assegnazione del lavoro all’esterno, dei permessi-premio e delle misure alternative alla detenzione per quegli autori dei gravi delitti contemplati nel comma 1 dell’art. 4-bis, ancorchè "collaboratori con la giustizia" quando gli stessi siano imputati o condannati per delitti dolosi puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni. E quando preclusioni del genere non sussistano, il criterio per la revoca d’altri benefici é quello dettato dalla constatazione giudiziale di un comportamento, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, incompatibile con la prosecuzione delle misure (v. art. 47, undicesimo comma, per l’affidamento in prova al servizio sociale e art. 47-ter, sesto comma, per la detenzione domiciliare) o, più semplicemente, dalla constatazione della non idoneità del soggetto al trattamento (v. art. 51, primo comma, per il regime di semilibertà). Questi ultimi sono senza dubbio i criteri più consoni alle misure alternative alla detenzione introdotte con la legge 26 luglio 1975, n. 354, e dalle integrazioni successive della stessa legge avutesi nel corso degli ultimi decenni, quando già da tempo la finalità rieducativa della pena era stata iscritta nella Costituzione. Tale criterio, la cui applicazione nei casi concreti é rimessa alla Magistratura di sorveglianza, non può non valere, in osservanza dello stesso principio costituzionale, anche per la revoca della liberazione condizionale.
6. – L’accoglimento della questione sotto il profilo dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, assorbe la questione sollevata dal giudice rimettente in riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento tra i casi di compatibilità della condanna riportata con la prosecuzione della prova in stato di libertà vigilata e casi di incompatibilità con tale prosecuzione. Del resto la prospettazione del dubbio di costituzionalità così formulata non fa che riprodurre, con specifico richiamo alla varietà dei casi che si presentano al giudice chiamato a disporre la revoca, il dubbio poi espresso in riferimento all’art. 27, terzo comma, della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 177, primo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione condizionale nel caso di condanna per qualsiasi delitto o contravvenzione della stessa indole, anzichè stabilire che la liberazione condizionale é revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Giuliano VASSALLI
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1998.