SENTENZA N.227
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 110 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promosso, con ordinanza emessa il 19 marzo 1997, dalla Commissione tributaria regionale di Genova sul ricorso proposto dalla Direzione Regionale delle entrate per la Liguria — sezione staccata di Genova — contro la Fondazione Gerolamo Gaslini, iscritta al n. 553 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 1998 il Giudice relatore Massimo Vari.
Ritenuto in fatto
1.— Con ordinanza emessa il 19 marzo 1997 (r.o. n. 553 del 1997), la Commissione tributaria regionale di Genova — nel corso di un giudizio avente ad oggetto la richiesta di rimborso, avanzata dalla Fondazione Gerolamo Gaslini, delle maggiori imposte ILOR ed IRPEG indebitamente versate in conseguenza di "errati calcoli", che sarebbero stati compiuti in sede di redazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1989 — ha sollevato, in relazione all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 110 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella parte in cui non prevede la possibilità, per gli enti non commerciali, di dedurre dal reddito le indennità per la perdita dell'avviamento corrisposte, per disposizione di legge, al conduttore, in caso di cessazione della locazione di immobili urbani adibiti ad usi diversi da quelli di abitazione.
2.— Il rimettente, premesso che ai sensi dell’art. 134, comma 2, del menzionato testo unico, il reddito dei fabbricati strumentali concessi in locazione, non suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni, come nel caso di specie, va determinato in misura pari a quella del canone di locazione ridotto di un terzo, rileva che l'art. 110 del medesimo testo legislativo, nell'indicare gli oneri deducibili dal reddito complessivo degli enti non commerciali, non richiama l'art. 10, comma 1, lettera s), riguardante le indennità per perdita dell'avviamento corrisposte, per disposizioni di legge, al conduttore.
Dubita, pertanto, della legittimità costituzionale del predetto art. 110, per la ingiustificata disparità di trattamento, in ordine alla deduzione delle spese in argomento, tra le persone fisiche e gli enti commerciali, da una parte, per i quali é ammissibile tale detrazione, ex art. 10, comma 1, lett. h (già s), e gli enti non commerciali, dall'altra.
1.2.— E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione venga dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza e, comunque, infondata nel merito.
Osserva l’Avvocatura che la ricorrente non ha esposto nella dichiarazione dei redditi l'indennità in questione, con la conseguente preclusione ad ottenerne successivamente la chiesta deduzione, giusta la consolidata giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale, all'infuori del caso dell'errore materiale immediatamente riconoscibile dalla stessa dichiarazione dei redditi, presupposto del rimborso é la circostanza che i dati esposti restino immutati.
Sotto altro profilo, la inammissibilità discenderebbe dalla circostanza che tanto l'art. 10 del testo unico delle imposte sui redditi, relativo alle persone fisiche, quanto l'art. 110, relativo agli enti non commerciali, pongono, come condizione essenziale e ineludibile per la deducibilità, che gli oneri sostenuti risultino da idonea documentazione allegata alla dichiarazione.
Nel merito, la difesa erariale ritiene che il confronto, operato, isolatamente, tra la disciplina degli oneri deducibili dettata per gli enti non commerciali e quella dettata per gli enti commerciali e per le persone fisiche, non tenga conto delle differenze considerate dal legislatore tributario, in riferimento alla diversa natura giuridica dei soggetti e al diverso modo di calcolare il reddito complessivo prodotto dagli stessi.
Considerato in diritto
1.— Con l’ordinanza in epigrafe, la Commissione tributaria regionale di Genova solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 110 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella parte in cui non prevede la facoltà, per gli enti non commerciali, di dedurre, dal reddito imponibile, le indennità per la perdita dell’avviamento corrisposte, per disposizione di legge, al conduttore, in caso di cessazione della locazione di immobili urbani adibiti ad usi diversi da quello di abitazione.
Secondo il giudice rimettente, la predetta disposizione contrasta con l’art. 3 della Costituzione, per il diverso trattamento riservato, in violazione del principio di uguaglianza sul piano tributario, alle persone fisiche nonchè agli enti commerciali, da una parte, per i quali é ammissibile tale deduzione, rispetto agli enti non commerciali, dall’altra, per i quali la deduzione stessa non é consentita.
2.— Va esaminata, in via pregiudiziale, l’eccezione di inammissibilità prospettata dall’Avvocatura dello Stato, la quale sostiene l’irrilevanza della questione, risultando dall’ordinanza che la ricorrente ha presentato la dichiarazione dei redditi senza indicare l’onere in questione e che, solo successivamente, con la richiesta di rimborso, ha invocato la deducibilità dell’indennità di avviamento corrisposta al conduttore. La richiesta stessa non potrebbe, perciò, essere accolta, dal momento che il rimborso, secondo la consolidata giurisprudenza della Cassazione, ha il suo presupposto nella circostanza, salvo il caso dell’errore materiale immediatamente riconoscibile dalla stessa dichiarazione dei redditi, che i dati esposti restino immutati.
Non potrebbe, inoltre, essere tralasciato il fatto che tanto l’art. 10 del testo unico delle imposte sui redditi quanto l’art. 110 pongono, come condizione essenziale, per la deducibilità, che gli oneri risultino da idonea documentazione allegata alla dichiarazione.
Secondo costante giurisprudenza, il controllo che la Corte é chiamata a svolgere sulla valutazione di rilevanza compiuta dal giudice rimettente, nel ritenere di dover fare applicazione della norma al caso sottoposto al suo esame, consiste nella verifica di una ragionevole possibilità che la disposizione denunciata sia applicabile nel giudizio a quo. In questi limiti, l’eccezione va disattesa, non potendosi considerare implausibile il postulato dal quale muove il giudice tributario, facendo leva su un orientamento giurisprudenziale che, contrapponendosi a quello richiamato dall’Avvocatura, considera la rettifica della dichiarazione possibile fino a quando non sia divenuto definitivo il debito di imposta e, quindi, anche in sede contenziosa. Non diversamente, anche in tema di documentazione, si rinvengono precedenti giurisprudenziali secondo cui le carenze documentali, verificatesi in occasione della presentazione della dichiarazione tributaria, ben possono essere sanate negli stessi termini di cui sopra. Di tale orientamento di favore, inteso a superare le preclusioni d’ordine formale, costituisce, da ultimo, espressione, sia pure in epoca successiva a quella della fattispecie oggetto del giudizio principale, la normativa sulla semplificazione in materia tributaria (decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330, convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 1994, n. 473), che ha addirittura abrogato l’onere di allegazione.
3.— Ancorchè ammissibile in rito, la questione va dichiarata non fondata nel merito.
Giova, intanto, ribadire il costante generale orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale il legislatore gode di ampia discrezionalità nella previsione della deducibilità degli oneri ai fini della imposizione sui redditi, secondo criteri volti a conciliare — sulla base di valutazioni politico-economiche — le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino, chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva; esigenze non meno importanti di quelle della vita individuale (sentenze nn. 21 del 1996, 574 del 1988, 108 del 1983, 143 e 134 del 1982 nonchè ordinanze nn. 26 del 1989, 52 del 1988 e 556 del 1987).
Esaminando, poi, la questione dal punto di vista del principio di uguaglianza, che é quello al quale espressamente si richiama l’ordinanza nel lamentare il deteriore trattamento degli enti qui considerati rispetto alle persone fisiche e agli enti commerciali, si tratta di verificare se tale diversità di regime appaia o meno giustificata. Come già altra volta osservato, il principio di eguaglianza, implicando un giudizio di relazione in virtù del quale a situazioni eguali deve corrispondere l’identica disciplina e, all’inverso, discipline diverse andranno a coniugarsi a situazioni differenziate, postula una valutazione di ragionevolezza delle scelte operate dal legislatore nell’omologare ovvero nel distinguere le varie situazioni.
4.— Sulla base di una siffatta premessa, va considerato che l’art. 10, lettera s) — ora lettera h) — del testo unico delle imposte sui redditi prevede espressamente che, dal reddito complessivo delle persone fisiche, possa essere dedotta, quale onere personale, la spesa sostenuta dal locatore per il pagamento, in caso di cessazione del contratto di locazione, della indennità per la perdita di avviamento commerciale subita dal locatario.
Di consimile vantaggio, pur in mancanza di espressa previsione, beneficiano anche coloro che siano titolari di reddito d’impresa, derivando in tal caso la deducibilità della indennità di avviamento, quale costo di produzione, dagli stessi principi che, in base all’art. 52 del T.U.I.R., regolano la tassazione dell’utile di bilancio, a prescindere dalla qualità giuridica del soggetto percettore; e cioé sia che si tratti di persona fisica (v. art. 52 T.U.I.R.), ovvero di persona giuridica-ente commerciale (v. art. 89 e art. 95, comma 1, T.U.I.R., che rinviano all’art. 52 citato), oppure ancora di ente non commerciale che abbia tra i componenti del proprio reddito complessivo anche quello d’impresa (v. artt. 108 e 109 T.U.I.R.).
5.— Ma, nè l’una nè l’altra delle ricordate situazioni possono utilmente fungere da tertium comparationis, a sostegno dell’asserita illegittimità della disciplina che non prevede la deduzione della spesa suddetta per gli enti non economici che non svolgano anche una attività commerciale (v. art. 110 T.U.I.R.).
Nella diversificazione posta in essere dal legislatore non é dato ravvisare, infatti, alcuna irragionevolezza, nè rispetto alle persone fisiche, per l’evidente fondamentale diversità di natura sostanziale che non può non riflettersi anche nel campo tributario, nè rispetto agli enti commerciali, per la peculiarità delle regole che, come già ricordato, ne disciplinano la tassazione in base alle risultanze del bilancio. A riprova ulteriore della non comparabilità delle situazioni sta, inoltre, lo specifico regime tributario degli stessi enti non commerciali, oggetto, invero, di particolare considerazione da parte del legislatore, al fine di tener conto, tra l’altro, del rilievo sociale dell’attività dei medesimi, come dimostra anche la normativa di natura agevolativa, contenuta nell’art. 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, che prevede la riduzione dell’IRPEG a metà per gli enti appartenenti a detta categoria che non abbiano fini di lucro, secondo una tendenza di cui é ulteriore conferma anche il recente decreto legislativo di riordino della disciplina tributaria degli stessi enti e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460), al fine di attuare un esteso ampliamento delle agevolazioni fiscali.
Occorre soltanto aggiungere che quello in esame non é l’unico esempio di trattamento differenziato, in materia di deducibilità di oneri ai fini tributari, giustificato dalla diversa situazione di fatto e di diritto nella quale si trovano i soggetti posti a confronto, alla stregua di criteri che, in altre occasioni, hanno già portato la Corte a negare la comparabilità fra le situazioni concernenti: i redditi delle società semplici rispetto a quelli delle altre società di persone nonchè a quelli delle persone fisiche (ordinanza n. 368 del 1987); i redditi delle persone fisiche rispetto agli utili delle persone giuridiche e delle imprese (sentenze nn. 123 e 143 del 1982 e 107 del 1971).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 110 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Genova con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° giugno 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Massimo VARI
Depositata in cancelleria il 19 giugno 1998.