Sentenza n. 174/98

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SENTENZA N.174

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto legge 13 settembre 1996, n. 473 (Disposizioni urgenti in materia di trasparenza delle tariffe elettriche) convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1996, n. 577, e dell'art. 3, comma 240, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 18 gennaio 1997 dal Giudice di pace di Carpi nel corso di un procedimento civile, iscritta al n. 106 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1997.

  Visto l'atto di costituzione dell'ENEL, nonchè l'atto di intervento di Ciaperoni Anna e dell'Associazione Federconsumatori e del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 1998 il Giudice relatore Valerio Onida;

  uditi gli avvocati Alessandro Pace e Giovanni Gentile per l'ENEL, Maria Lorizio per Ciaperoni Anna e per l'Associazione Federconsumatori, e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1.– Nel corso di un giudizio civile, promosso nei confronti dell’ENEL S.p.a. dal responsabile provinciale di un’associazione di consumatori e da un utente, per ottenere la restituzione, a titolo di indebito, di quanto versato, dal 28 febbraio 1994 in poi, come cosiddetta "quota di prezzo" sulle forniture di energia elettrica, prevista dal provvedimento del Comitato interministeriale prezzi n. 32 del 1986, il Giudice di pace di Carpi, con ordinanza emessa il 18 gennaio 1997, pervenuta a questa Corte il 25 febbraio 1997, ha sollevato d’ufficio due questioni di legittimità costituzionale, entrambe in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione. La prima questione ha ad oggetto l’art. 1 del decreto legge 13 settembre 1996, n. 473 (Disposizioni urgenti in materia di trasparenza delle tariffe elettriche), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1996, n. 577, "nella parte in cui conferma e ritiene operanti le quote-prezzo di cui al provvedimento CIP n. 32/1986 per il periodo dal 1.01.1994 al 30.06.1996"; la seconda ha ad oggetto l’art. 3, comma 240, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), "che attribuisce al Fondo di ammortamento dei titoli di Stato le eccedenze di quote-prezzo pagate dagli utenti di energia elettrica dall’1.01.1994 al 30.06.1996".

  2.– La vicenda normativa nel cui contesto si inseriscono le questioni prende le mosse dalla legge 28 febbraio 1986, n. 41 (legge finanziaria per il 1986), che, all’art. 18, riduceva di complessivi 6.200 miliardi due preesistenti autorizzazioni di spesa – disposte rispettivamente dall’art. 3 del decreto legge n. 609 del 1981 e dal decreto legge n. 69 del 1982 – a titolo di conferimento dello Stato al fondo di dotazione dell’ENEL. L’art. 17, a sua volta, disponeva che il CIP, "nel determinare le tariffe elettriche", adottasse "i provvedimenti necessari anche per tener conto dei minori introiti derivanti all’ENEL (...) dalle disposizioni di cui al successivo articolo 18, a tal fine operando sulle agevolazioni attualmente previste a favore delle utenze domestiche".

  Alla luce e in attuazione di quest’ultima disposizione il CIP, con provvedimento n. 32 del 23 maggio 1986 (Modificazioni ai provvedimenti vigenti in materia di prezzi e condizioni di fornitura di energia elettrica. Cassa conguaglio per il settore elettrico), determinava, al capitolo I, nuove tariffe delle forniture elettriche con potenza impegnata fino a 3 Kw, rispettivamente effettuate nell’abitazione di residenza anagrafica dell’utente e in abitazioni diverse, prevedendo aumenti sia della quota fissa mensile (mantenuta però sempre a livelli inferiori a quelli della tariffa ordinaria), sia del prezzo di ogni Kwh consumato, parificato a quello della tariffa ordinaria per i consumi oltre 150 Kwh e per i consumi delle abitazioni diverse da quella di residenza, e portato a livelli superiori a quelli previgenti, ma sempre inferiori alla tariffa ordinaria, per gli scaglioni di consumo inferiori a 150 Kwh. Al capitolo II, il provvedimento istituiva le così dette "quote di prezzo", corrispondenti esattamente agli incrementi tariffari disposti dal capitolo I, che, "comprese nelle tariffe stabilite nel precedente capitolo I", sarebbero spettate all’ENEL e sarebbero state gestite con contabilità separata dalla Cassa conguaglio per il settore elettrico, a cui le aziende distributrici diverse dall’ENEL avrebbero dovuto versare gli importi corrispondenti relativi alle forniture di energia da esse effettuate. Il provvedimento non prevedeva un termine finale di efficacia delle disposizioni in esso contenute.

  A seguito del contenzioso avviato davanti al giudice amministrativo con i ricorsi promossi da aziende elettriche municipalizzate, il TAR del Lazio prima, con numerose pronunce, e poi il Consiglio di Stato, con la sentenza 7 marzo 1990, n. 347, confermavano la legittimità del provvedimento del CIP, annullandone solo una clausola relativa alla forfettizzazione, nei rapporti fra dette aziende e l’ENEL, degli importi inesigibili per morosità. Nelle motivazioni delle loro pronunce i giudici amministrativi affermavano che le quote di prezzo non concretavano un maggior corrispettivo della somministrazione di energia, ma un mezzo di riequilibrio finanziario dell’ENEL, e che l’intervento disposto nel provvedimento del CIP avrebbe dovuto essere ancorato nel tempo al raggiungimento dell'obiettivo di garantire all’ENEL i proventi venuti meno con la riduzione, disposta dalla legge, dei conferimenti statali al fondo di dotazione.

  Nel frattempo, successivi provvedimenti del CIP recavano nuovi aumenti delle tariffe elettriche, senza menzionare in alcun modo le quote di prezzo, il cui meccanismo, peraltro, continuò ad operare.

  Il 15 dicembre 1993 la Cassa conguaglio per il settore elettrico comunicava al Ministero dell’industria che, secondo le sue stime, con le bollette relative agli ultimi mesi del 1993 si sarebbe raggiunto un complessivo importo per quote di prezzo pari a 6.200 miliardi, corrispondente alla riduzione dei conferimenti al fondo di dotazione dell’ENEL.

  Rimaneva peraltro controverso il modo in cui dovesse calcolarsi il raggiungimento dell’obiettivo finanziario delle quote di prezzo, sostenendosi da una parte che esso fosse raggiunto con il conseguimento da parte dell’ente elettrico di ricavi lordi pari a 6.200 miliardi, dall’altra parte invece che dovesse realizzarsi un importo di ricavi tale che – tenendo conto della diversa cadenza temporale degli introiti e delle imposte che l’ENEL stesso pagava sui ricavi, e che non avrebbero invece gravato sui conferimenti al fondo di dotazione venuti meno – si conseguisse un risultato finanziario equivalente; e disputandosi altresì sugli effetti che in materia dovessero attribuirsi alle successive determinazioni del CIP, che non avevano più menzionato, nello stabilire le tariffe, dette quote di prezzo.

  Il legislatore intervenne in materia, dapprima con la legge 14 novembre 1995, n. 481, che istituiva fra l’altro l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, alla quale é attribuito il compito di stabilire i parametri per la determinazione delle tariffe, sulla base di criteri dettagliatamente fissati dalla stessa legge (art. 2, comma 12, lettera e, e commi 17, 18 e 19; art. 3). All’art. 3, comma 7, primo periodo, la legge disponeva che "i provvedimenti già adottati dal Comitato interministeriale prezzi e dal Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato in materia di energia elettrica e di gas conservano piena validità ed efficacia, salvo modifica o abrogazione disposta dal Ministro, anche nell’atto di concessione, o dalla Autorità competente".

  Poco dopo sopravveniva la legge 28 dicembre 1995, n. 549, il cui art. 3, comma 240, stabiliva che "gli incrementi al sovrapprezzo termico [così impropriamente venivano denominate le quote prezzo] di cui al capitolo II, punto 1, lettere A e B, del provvedimento CIPE [recte CIP] n. 32 del 23 maggio 1986, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 121 del 27 maggio 1986, dopo che il CIPE avrà accertato l’avvenuto conseguimento delle finalità dello stesso provvedimento, sono riassegnati al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato"; e che il CIPE avrebbe provveduto a detto accertamento entro sessanta giorni.

  Il Ministero dell’industria, che aveva nominato un apposito gruppo di lavoro per gli accertamenti in materia, sottoponeva in due riprese quesiti al Consiglio di Stato, il quale, con pareri in data 20 febbraio e 26 marzo 1996 (III Sezione, rispettivamente n. 93 e n. 353), riteneva che l’obiettivo di cui all’art. 3, comma 17, della legge n. 41 del 1986 dovesse intendersi raggiunto con il conseguimento da parte dell’ENEL di ricavi lordi pari a 6.200 miliardi; che le quote prezzo non avevano perso la loro identità a seguito delle modifiche tariffarie succedutesi dal 1990; e che, in forza dell’art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995, sarebbe risultata, a seguito dei doverosi accertamenti del CIPE, una esposizione debitoria dell’ENEL nei confronti del Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Il secondo parere concludeva suggerendo fra l’altro una modifica legislativa, che limitasse la riassegnazione delle somme al Fondo alle sole quote introitate a decorrere dal 1° gennaio 1996, affermando che tale soluzione avrebbe sanato interamente lo squilibrio finanziario a carico dell’ENEL, sostanzialmente addebitabile, secondo l’organo consultivo, "all’oscurità delle disposizioni di legge in materia ed all’incertezza che si é riscontrata riguardo alle modalità della loro corretta applicazione".

  Intervenne a questo punto il decreto legge 29 aprile 1996, n. 227, poi decaduto per mancata conversione nei termini, che, modificando il citato art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995, fissava al 15 maggio 1996 il termine per l’accertamento, da ripetere poi periodicamente; stabiliva che gli effetti del provvedimento CIP sarebbero cessati con decorrenza dalle fatture e bollette emesse successivamente alla data dell’accertamento dell’avvenuto conseguimento dell’obiettivo o comunque dalla data di entrata in vigore delle nuove tariffe adottate sulla base della legge n. 481 del 1995, e che se alla data dell’accertamento del CIPE fossero risultate delle eccedenze queste venissero versate all’entrata del bilancio dello Stato per esser riassegnate al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato; e stabiliva inoltre taluni criteri da osservare ai fini dell’accertamento, in sostanza accogliendo la tesi del calcolo degli introiti al netto degli oneri finanziari e fiscali.

  Sulla base di tali disposizioni il CIPE, con deliberazione del 9 maggio 1996, accertò che l’importo netto introitato dall’ENEL, sino al 31 dicembre 1995, a titolo di quote prezzo ammontava a 5.109,6 miliardi.

  Con il successivo decreto legge 15 luglio 1996, n. 371, si dispose invece la cessazione, a decorrere dal 30 giugno 1996, degli effetti delle disposizioni di cui ai capitoli I e II del provvedimento CIP n. 32 del 1986, e l’abrogazione dell’art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995.

  Decaduto anche questo decreto legge, il successivo, 13 settembre 1996, n. 473, convertito dalla legge n. 577 del 1996, riprodusse le medesime disposizioni nell’art. 1, in questa sede censurato.

  3.– Il giudice remittente muove da una duplice premessa: la prima, che il complessivo importo degli introiti destinati a compensare la riduzione degli apporti al fondo di dotazione dell’ENEL, dovendosi calcolare al lordo di ogni onere, é stato raggiunto nel dicembre 1993, secondo quanto comunicato dalla Cassa conguaglio con la nota del 15 dicembre 1993, e che conseguentemente "l’efficacia normativa e cioé la vigenza degli artt. 17 e 18 della legge n. 41 del 1986 e del provvedimento CIP n. 32/86 é cessata col 1.01.1994" (anche se egli ammette che la prosecuzione dell’applicazione della componente tariffaria in questione é dovuta alla circostanza che l’ENEL non era competente ad operare modifiche delle tariffe, e gli organi competenti non avevano provveduto a disporre la cessazione di detta componente tariffaria). In proposito il remittente ricorda le già citate sentenze del TAR e del Consiglio di Stato, e nega rilevanza alla delibera CIPE, anch’essa citata, del 9 maggio 1996, che accertava non essere stato ancora raggiunto l’obiettivo, perchè fondata su criteri fissati da un decreto legge decaduto.

  La seconda premessa é che l’art. 1 del decreto legge n. 473 del 1996, disponendo la cessazione degli effetti del provvedimento CIP dal 30 giugno 1996, avrebbe reintrodotto retroattivamente la prestazione tariffaria non più dovuta per il periodo dal 1° gennaio 1994 al 30 giugno 1996.

  Ciò premesso, il giudice a quo ritiene che detto art. 1 del decreto legge n. 473 del 1996, avendo introdotto una prestazione che non avrebbe "alcun aggancio, attinenza o connessione con le quote prezzo non più in vigore", avrebbe dato vita ad una imposizione vicina a quelle di natura tributaria, a carico di una "platea casuale" di cittadini identificati con gli utenti di energia elettrica, in violazione del principio di uguaglianza e del principio del concorso nelle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva, di cui all’art. 53 della Costituzione.

  Quanto all’art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995 (che disponeva il versamento delle eccedenze di quote prezzo, dopo l’accertamento del raggiungimento dell’obiettivo, al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato), il remittente ritiene che la sua abrogazione ad opera dell’art. 1, comma 3, del d.l. n. 473 del 1996 operi ex nunc, restando dunque la norma abrogata efficace per il periodo anteriore all’abrogazione stessa. Detta norma – che secondo il giudice a quo non avrebbe avuto la possibilità di esplicare alcuna concreta efficacia prima del d.l. n. 473 del 1996, posto che, secondo la tesi ricordata, era già stato accertato che, scaduta al 31 dicembre 1993 la vigenza del provvedimento CIP n. 32 del 1986, non si erano verificate eccedenze delle quote prezzo – avrebbe invece riacquistato efficacia normativa una volta che l’art. 1 del decreto legge n. 473 del 1996 ha, secondo l’impostazione del remittente, richiamato in vita retroattivamente le quote prezzo medesime. Di conseguenza, gli introiti versati a tale titolo dal 1° gennaio 1994 al 30 giugno 1996 andrebbero devoluti al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, e non restituiti agli utenti. Da ciò deriverebbe la necessità di sottoporre a vaglio di costituzionalità anche il citato comma 240, che sarebbe illegittimo in quanto avrebbe trasformato le eccedenze di quote prezzo in una imposta diretta ad una finalità generale di bilancio, applicata ai soli utenti di energia elettrica, e non in ragione della capacità contributiva: violando così gli artt. 3 e 53 della Costituzione.

  4.– Si é costituito in giudizio l’ENEL, parte nel giudizio a quo, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate.

  Richiamate le già descritte vicende normative rilevanti ai fini di causa, e sottolineato che il provvedimento CIP n. 32 del 1986 si limitò a ridurre delle agevolazioni tariffarie preesistenti, e che detto provvedimento non venne impugnato da parte di utenti o di associazioni di utenti, la parte afferma in primo luogo che entrambe le questioni sarebbero inammissibili per irrilevanza.

  Non sarebbe infatti configurabile alcun indebito oggettivo nei confronti dell’ENEL, poichè, come ammette lo stesso remittente, questo ente ha applicato semplicemente le tariffe stabilite dall’organo competente a fissare i prezzi amministrati, e non avrebbe potuto disapplicare il provvedimento del CIP. L’eventuale raggiungimento degli obiettivi per cui era stato adottato detto provvedimento avrebbe solo posto l’amministrazione nella necessità di valutare, nell’ambito della propria discrezionalità, se abrogare o meno il provvedimento medesimo, atteso altresì che l’art. 17 della legge n. 41 del 1986 demandava al CIP il compito di adottare i provvedimenti tariffari tenendo conto "anche", ma non esclusivamente, dei minori introiti derivanti all’ENEL dalla riduzione degli apporti al fondo di dotazione; in mancanza di detta abrogazione, il provvedimento non perdeva la sua efficacia e restava vincolante per le aziende distributrici.

  Nè, secondo l’ENEL, le tariffe potrebbero essere disapplicate dal giudice ordinario, non potendosi configurare un diritto soggettivo alla applicazione di una tariffa diversa da quella approvata nel regime di prezzi amministrati, e non essendovi nella specie un provvedimento illegittimo, ma, se mai, un provvedimento legittimo revocabile o modificabile dalla pubblica amministrazione nell’ambito della sua discrezionalità. D’altro canto, aggiunge la difesa dell’ENEL, non sarebbe comunque ipotizzabile una disapplicazione della tariffa per singoli utenti, avendo il monopolista l’obbligo di parità di trattamento.

  Secondo la parte, proprio in relazione a tale contesto giuridico-istituzionale il legislatore, persistendo una inerzia dell’amministrazione nel compiere le proprie valutazioni, sarebbe intervenuto, dapprima demandando al CIPE la verifica del raggiungimento degli obiettivi, e disponendo la riassegnazione al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato delle quote prezzo, applicate dopo il raggiungimento di tali obiettivi, con conseguente trasformazione del predetto elemento tariffario in prelievo forzoso para-fiscale; successivamente, disponendo la cessazione di efficacia del provvedimento CIP dopo l’accertamento del conseguimento dell’obiettivo; infine, dopo che il CIPE aveva accertato che l’obiettivo non era ancora stato raggiunto, disponendo che gli effetti del provvedimento cessassero comunque al 30 giugno 1996, indipendentemente dall’eventuale mancato raggiungimento dell’obiettivo medesimo: del che avrebbe avuto di che dolersi proprio l’ENEL.

  In secondo luogo, le due questioni sarebbero inammissibili, o in subordine infondate, per inesistenza dei presupposti di fatto assunti dal remittente, perchè non sarebbe provato che il recupero di quanto perduto dall’ENEL con la riduzione degli apporti al fondo di dotazione si sarebbe completato col dicembre 1993: si sarebbero infatti dovuti calcolare gli importi al netto degli oneri, come deliberò del resto il CIPE il 9 maggio 1996, con decisione non impugnata e non caducata per il fatto che essa sia stata adottata sulla base di un decreto legge poi decaduto, trattandosi di accertamento già previsto dalla legge.

  In via subordinata, la parte afferma la inammissibilità, per irrilevanza, della seconda questione in conseguenza della infondatezza manifesta della censura concernente l’art. 1 del decreto legge n. 473 del 1996. Il rigetto di quest’ultima infatti, a suo avviso, toglierebbe ogni spazio all’altra censura, in quanto le somme corrispondenti alle quote prezzo continuerebbero ad essere dovute dagli utenti o al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, ovvero all’ENEL, se si ritenga, come ritiene l’ENEL stesso, che l’abrogazione dell’art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995 abbia avuto effetto ex tunc.

  Ove, invece, l’autorità remittente avesse inteso ipotizzare una rilevanza della seconda questione a seguito dell’accoglimento della prima, detta seconda questione risulterebbe infondata in quanto non si potrebbe negare al legislatore la facoltà di novare il titulus retinendi delle somme già versate dagli utenti, in ordine alle quali gli utenti stessi non vantino uno specifico diritto costituzionale; donde discenderebbe l’inammissibilità per irrilevanza della prima questione, poichè le somme potrebbero al più spettare al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, ma non agli utenti, nemmeno pro parte.

  L’ENEL afferma poi l’infondatezza della prima questione, in quanto la riduzione di una preesistente agevolazione tariffaria non sarebbe una prestazione imposta, e tanto meno un prelievo fiscale in senso stretto, e la volontà del legislatore di mantenerla anche dopo il conseguimento delle finalità originarie del provvedimento del CIP rientrerebbe nella potestà tariffaria dell’amministrazione, e non ne muterebbe la natura.

  Poichè, d’altronde, non si configurerebbe un diritto costituzionale a fruire di agevolazioni tariffarie – peraltro legate a scelte di politica energetica e non a livelli reddituali degli utenti –, ne deriverebbe la perfetta legittimità costituzionale della norma, che si collocherebbe nell’ambito dell’esercizio della potestà tariffaria e non dei prelievi fiscali.

  Secondo l’ENEL, l’art. 1 del decreto legge n. 473 del 1996 non può essere interpretato come legge di sanatoria o di imposizione di un prelievo retroattivo: esso invece abroga le quote prezzo sopperendo alla mancanza di un provvedimento amministrativo modificativo delle tariffe, indipendentemente dall’effettivo raggiungimento degli obiettivi perseguiti dall’art. 17 della legge n. 41 del 1986. Gli utenti, pertanto, non avrebbero motivo di dolersi di tale misura legislativa.

  La stessa questione sarebbe poi infondata anche sotto un altro profilo, in quanto l’adeguamento tariffario di cui all’art. 17 della legge n. 41 del 1986 era previsto "anche", ma non esclusivamente, in relazione ai minori introiti derivanti all’ENEL dalla riduzione degli apporti al fondo di dotazione, onde era legittimo che un provvedimento tariffario, pur dopo l’accertamento del conseguimento di quell'obiettivo, conservasse la voce tariffaria in funzione di ulteriori esigenze. In ogni caso, anche supponendo che il decreto legge n. 473 del 1996 abbia carattere interpretativo, esso sarebbe egualmente legittimo in quanto non incide su diritti costituzionalmente protetti, e in quanto sarebbe possibile mantenere inalterato il sistema tariffario in vista di nuove finalità pubblicistiche. Nè potrebbe comunque parlarsi di un prelievo fiscale, ma semmai, in denegata ipotesi, di prestazione imposta, con conseguente inapplicabilità dell’art. 53 della Costituzione; e non si configurerebbe una violazione dell’art. 3 della Costituzione, poichè una riduzione di agevolazioni tributarie non può che applicarsi ai titolari di contratti di utenza. Infine, si ricorda che é stata riconosciuta la legittimità di imposte c.d. speciali, come il canone di abbonamento radiotelevisivo.

  5.– E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la prima questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, non fondata; e che la seconda sia dichiarata inammissibile ovvero, in subordine, inammissibile perchè manifestamente irrilevante, e comunque non fondata.

  La prima questione, secondo l’interveniente, muoverebbe da un presupposto erroneo ed indimostrato; inoltre, la conferma delle quote prezzo fino al 30 giugno 1996 non violerebbe l’art. 3 della Costituzione, poichè tale conferma altro non farebbe che proseguire nella manovra iniziata con il provvedimento CIP n. 32 del 1986. Nè sarebbe pertinente il richiamo all’art. 53 della Costituzione, dato che alla manovra confermata non può essere attribuita natura tributaria.

  Quanto all’art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995, la relativa questione di legittimità costituzionale sarebbe inammissibile, in quanto la norma é stata espressamente abrogata e, per il tempo in cui é rimasta in vigore, non ha spiegato effetti, quanto meno nella parte che prevedeva la devoluzione di somme al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Inoltre nella stessa prospettazione del giudice a quo tale questione si presenterebbe come non rilevante, oltre che infondata, in quanto, una volta stabilito dalla legge, in maniera costituzionalmente corretta, l’obbligo dell’utenza di sopportare la riduzione dell’agevolazione tariffaria sino al 30 giugno 1996, sarebbe del tutto indifferente, ai fini del giudizio a quo, che gli importi affluiscano all’ENEL o al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

  6.– Hanno spiegato intervento, con atti depositati oltre il termine di venti giorni di cui all’art. 25, secondo comma, della legge n. 87 del 1953 e all’art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la signora Anna Ciaperoni, attrice in un diverso giudizio pendente davanti al Giudice di pace di Roma, sospeso in attesa dell’esito del presente giudizio incidentale, e l’Associazione Federconsumatori, intervenuta ad adiuvandum nello stesso giudizio davanti al Giudice di pace di Roma, concludendo nel senso della irrilevanza e della manifesta infondatezza della questione relativa all’art. 1 del decreto legge n. 473 del 1996 qualora la Corte "ritenga che la disposizione non incida, con efficacia retroattiva, sul preesistente regime relativo alle c.d. quote prezzo", ovvero nel senso della rilevanza e della fondatezza nel caso contrario; nonchè nel senso della irrilevanza e della manifesta infondatezza della questione relativa all’art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995.

  7.– In prossimità dell’udienza ha depositato memoria l’ENEL, chiedendo che si dichiari l’inammissibilità degli interventi delle parti del giudizio davanti al Giudice di pace di Roma, o in subordine la loro irricevibilità per tardività, ovvero, sotto altro profilo, la loro inammissibilità nella parte in cui tenterebbero di estendere la questione a parametri non contemplati dal remittente. La memoria contesta poi le tesi affermate negli atti di intervento, e conclude insistendo per la dichiarazione di inammissibilità, e comunque di infondatezza, delle questioni.

  8.– Con ordinanza pronunciata all’udienza del 10 febbraio 1998 la Corte ha dichiarato inammissibili gli interventi spiegati in giudizio dalla signora Anna Ciaperoni e dalla Associazione Federconsumatori, parti non già del giudizio a quo, ma di un altro giudizio, pendente davanti al Giudice di pace di Roma, sospeso bensì in attesa della decisione sulle presenti questioni, ma nel cui corso non sono state sollevate, con ordinanza di rimessione a questa Corte, nè le questioni medesime, nè altre aventi analogo oggetto.

Considerato in diritto

  1.– Il giudice a quo solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, di due disposizioni: in primo luogo dell’art. 1 del decreto legge 13 settembre 1996, n. 473 (Disposizioni urgenti in materia di trasparenza delle tariffe elettriche), convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 1996, n. 577, più precisamente investito nel solo comma 1, ai cui sensi "gli effetti delle disposizioni di cui ai capitoli I e II del provvedimento CIP n. 32 del 23 maggio 1986 cessano a decorrere dal 30 giugno 1996"; in secondo luogo, dell’art. 3, comma 240, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) – abrogato dall’art. 1, comma 3, del medesimo decreto legge n. 473 del 1996 – il cui primo periodo, investito dalla censura, disponeva che "gli incrementi al sovrapprezzo termico" [recte: le quote di prezzo] di cui al capitolo II, punto 1, lettere A e B, del provvedimento CIPE [recte: CIP] n. 32 del 23 maggio 1986, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 121 del 27 maggio 1986, dopo che il CIPE avrà accertato l’avvenuto conseguimento delle finalità dello stesso provvedimento, sono riassegnati al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato".

  Ad avviso dell’autorità remittente, la prima disposizione avrebbe il contenuto e l’effetto di ridare vigore ed efficacia alle misure tariffarie disposte con il citato provvedimento CIP del 23 maggio 1986, che introdusse le "quote di prezzo" a favore dell’ENEL, e con ciò, essendosi esaurita – secondo la ricostruzione del giudice a quo – con il 31 dicembre 1993 la funzione originaria di dette quote, di compensazione del minore apporto del Tesoro al fondo di dotazione dell’ENEL, avrebbe in sostanza disposto una prestazione retroattiva simile ad una imposta, applicata alla sola "platea casuale" degli utenti domestici di energia elettrica, con violazione del principio di eguaglianza, e non correlata alla capacità contributiva dei soggetti colpiti. La seconda disposizione, che verrebbe a spiegare effetto per il periodo - successivo all’esaurimento della funzione originaria delle dette quote, e anteriore alla sua abrogazione ex nunc - dal 1° gennaio 1994 al 30 giugno 1996, avrebbe trasformato le eccedenze delle quote di prezzo rispetto al conseguito obiettivo originario in una imposta diretta a finalità generali di bilancio dello Stato, a sua volta applicata alla sola "platea casuale" degli utenti domestici di energia elettrica e non in ragione di una capacità contributiva.

  2.– In ordine alla prima delle questioni sollevate, non merita accoglimento l’eccezione di inammissibilità per irrilevanza formulata dalla difesa dell’ENEL.

Tale eccezione si fonda sul rilievo che il provvedimento CIP n. 32 del 23 maggio 1986, essendo privo di alcun termine finale di efficacia, e non essendo stato mai annullato nè revocato dall’amministrazione, ha continuato a produrre effetto fino alla data a decorrere dalla quale la legge ne ha disposto la cessazione, e cioé fino al 30 giugno 1996: tanto più che, successivamente, l’art. 3, comma 7, della legge 14 novembre 1995, n. 481, non impugnato, ribadì, a seguito della riforma del sistema e della creazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, che i provvedimenti già adottati dal CIP in materia di energia elettrica "conservano piena validità ed efficacia, salvo modifica o abrogazione disposta dal Ministro, anche nell’atto di concessione, o dalla Autorità competente". Pertanto, essendo l’ENEL tenuto ad applicare la tariffa risultante dai provvedimenti del CIP, stante il regime di prezzi amministrati allora vigente, non si potrebbe configurare alcun indebito oggettivo nei confronti degli utenti, tale da fondare l’azione di ripetizione esperita dagli attori nel giudizio a quo, ai cui fini risulterebbero dunque prive di rilevanza le questioni di legittimità costituzionale sollevate.

  La Corte osserva che il remittente fonda la propria ricostruzione del quadro normativo sulla premessa, controversa e opinabile, ma esplicitamente da esso accolta, secondo cui il provvedimento CIP n. 32 del 1986 avrebbe cessato di produrre effetto a seguito dell’avvenuto e accertato conseguimento dell’obiettivo finanziario cui – si assume – era finalizzato e vincolato, vale a dire con l’avvenuta maturazione da parte dell’ENEL di ricavi lordi, a titolo di quote di prezzo riscosse sia direttamente sia attraverso le altre aziende distributrici di energia e la Cassa conguaglio per il settore elettrico, pari a 6.200 miliardi, cioé alla cifra corrispondente ai minori apporti al fondo di dotazione dell’ente derivanti dall’applicazione dell’art. 18 della legge n. 41 del 1986. Per conseguenza, secondo l’interpretazione del giudice a quo, l’unico titolo giuridico che giustificherebbe, a posteriori, la avvenuta riscossione delle quote prezzo dopo il 1° gennaio 1994, e impedirebbe dunque di accogliere la domanda di ripetizione di quanto indebitamente riscosso dall’ENEL, sarebbe appunto la norma dettata dall’art. 1, comma 1, del decreto legge n. 473 del 1996, che, disponendo la cessazione degli effetti del provvedimento CIP a far tempo dal 30 giugno 1996, avrebbe implicitamente conferito, retroattivamente, efficacia fino a tale data ad una imposizione tariffaria, che si assume scaduta il 31 dicembre 1993.

  La Corte non deve, ai fini dello scrutinio di ammissibilità della questione, esaminare la fondatezza di tale ricostruzione del sistema normativo: é sufficiente, per ritenerla ammissibile, osservare che il remittente ha affermato la rilevanza della questione medesima, con motivazione che non appare prima facie priva di ogni plausibilità (cfr. sentenze n. 173 del 1994, n. 521 del 1995).

  3.– La questione é tuttavia infondata.

  Le quote prezzo furono introdotte, come si é visto, con il provvedimento CIP n. 32 del 1986, senza scadenze temporali e senza alcun diretto aggancio con un ammontare di ricavi esplicitamente definito, tale che con il suo conseguimento potesse ritenersi automaticamente cessata l’efficacia del provvedimento medesimo. Con esso il CIP si limitò ad esercitare la potestà tariffaria allora di sua spettanza, modificando le tariffe in vigore per le utenze domestiche e precisamente riducendo, come prevedeva l’art. 17, comma 3, della legge n. 41 del 1986, le agevolazioni prima di allora previste, con un provvedimento ritenuto necessario "anche per tener conto dei minori introiti derivanti all’ENEL" dalla riduzione, conseguente all’applicazione dell’art. 18 della stessa legge, degli apporti al relativo fondo di dotazione.

  Il provvedimento, come ritenne il giudice amministrativo, era finalisticamente legato al conseguimento dell’obiettivo di compensazione finanziaria dell’ENEL per tali minori apporti (e ciò spiega - stante l’unicità della tariffa nel territorio nazionale - il meccanismo del trasferimento a favore di questo ente anche delle quote riscosse a carico degli utenti ai quali l’energia veniva somministrata da aziende diverse dall’ENEL medesimo), e quindi era destinato ad avere un effetto solo temporaneo. Tuttavia esso era e resta un provvedimento operante sulle tariffe elettriche, espressione della potestà tariffaria allora spettante al CIP, e non assume dunque alcun carattere tributario, costituendo la tariffa, bensì, un prezzo pubblico imposto in base alla legge, soggetto ai vincoli dell’art. 23 della Costituzione (cfr. sentenza n. 72 del 1969), ma non un’imposta, cui si applichino i precetti dell’art. 53 della Costituzione, che valgono solo per la materia propriamente tributaria (cfr. sentenza n. 311 del 1995).

  Peraltro, mentre il carattere temporaneo, e vincolato allo specifico fine, della misura tariffaria in questione venne, come si é detto, affermato in sede giurisdizionale, nessun accertamento definitivo ed univoco ha avuto luogo per quanto attiene al punto controverso dei criteri con i quali dovesse valutarsi il conseguimento dell’obiettivo finanziario connesso alla misura stessa, e dunque del modo di determinare il momento a partire dal quale dovesse ritenersi esaurito il fine ad essa assegnato. La comunicazione effettuata in proposito dalla Cassa conguaglio con la nota del 15 dicembre 1993 non aveva alcun valore di accertamento amministrativo, ma era una semplice e neutra informazione su un dato contabile, peraltro non controverso. Restavano invece controverse ed incerte almeno due questioni: se l’obiettivo finanziario della misura tariffaria dovesse ritenersi raggiunto con il conseguimento di un ammontare di ricavi da quote prezzo pari, in termini monetari, ai minori apporti al fondo di dotazione dell’ENEL, o invece solo con il conseguimento di un ammontare di ricavi tale che, tenendo conto degli oneri fiscali e finanziari gravanti sull’ENEL, desse luogo ad un risultato equivalente in termini economici a quello che si sarebbe avuto con gli apporti al fondo di dotazione non più effettuati; e se, dopo le modifiche delle tariffe delle utenze domestiche, intervenute con i provvedimenti CIP n. 45 del 19 dicembre 1990 e n. 15 del 14 dicembre 1993, adottati senza tenere alcun conto delle quote prezzo e della loro specifica finalizzazione, potesse ancora ritenersi attuale la specifica finalità finanziaria di dette quote, o questa non dovesse invece ritenersi in qualche modo già soddisfatta in virtù del calcolo economico che stava alla base delle nuove tariffe.

  In particolare, per quanto riguarda la prima questione, dibattuta all’interno della stessa amministrazione statale, si contrapponevano da un lato i due pareri del Consiglio di Stato in data 20 febbraio e 26 marzo 1996, favorevoli al calcolo "al lordo" dei ricavi (peraltro in un contesto in cui non si discuteva della cessazione eventuale della misura tariffaria, ma della destinazione dei relativi proventi all’ENEL piuttosto che al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, ai sensi dell’art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995); dall’altro lato l’opinione opposta, favorevole ad un calcolo "al netto", in termini di equivalenza economica (sulle cui modalità peraltro gravavano ulteriori incertezze, dovute alle difficoltà di comparazione dei diversi elementi del rapporto), sostenuta dal Governo e tradotta poi esplicitamente nelle disposizioni dell’art. 1, commi 2 e 3, del decreto legge n. 227 del 1996, non convertito in legge, in applicazione dei quali la delibera del CIPE 9 maggio 1996 accertò il non ancora raggiunto conseguimento dell’obiettivo di compensazione cui erano finalizzate le quote prezzo. Entrambe le opinioni potevano, con almeno eguale fondamento, richiamarsi al generico dettato dell'art. 17, comma 3, della legge n. 41 del 1986, secondo cui il CIP avrebbe dovuto adottare i provvedimenti necessari "anche per tener conto dei minori introiti" derivanti all’ENEL dalla riduzione degli apporti al fondo di dotazione, senza che venissero precisate le modalità di tale "tener conto".

  Le due tesi convergevano peraltro nel ritenere comunque necessario un espresso accertamento in via amministrativa, a cui avrebbe dovuto fare seguito la cessazione della misura tariffaria o la devoluzione all’erario dei proventi che risultassero eccedenti rispetto all’obiettivo, una volta verificatone il conseguimento.

  Il decreto legge n. 473 del 1996, il cui art. 1 é stato censurato in questa sede, é intervenuto dunque in una situazione di obiettiva incertezza, discendente dalla genericità dei dettati legislativi e dai dubbi nell’applicazione dei medesimi: quella situazione rilevata dallo stesso Consiglio di Stato, che concludeva il secondo dei pareri espressi in argomento rilevando che lo squilibrio finanziario dell’ENEL, di cui si discuteva, "risulta sostanzialmente addebitabile all’oscurità delle disposizioni di legge in materia ed all’incertezza che si é riscontrata riguardo alle modalità della loro corretta applicazione" (Sez. III, parere n. 353 del 26 marzo 1996).

  Alla stregua di quanto si é detto, deve dunque ribadirsi che la disposizione legislativa impugnata non impone retroattivamente una prestazione di natura tributaria, bensì costituisce espressione del potere tariffario già oggetto della disciplina di cui all’art. 17 della legge n. 41 del 1986, ed é diretta a risolvere, anche in via sostanzialmente interpretativa, la situazione di incertezza circa la durata nel tempo della misura tariffaria adottata nel 1986, eliminando la necessità dell’accertamento amministrativo già demandato al CIPE, e sancendo direttamente – con una scelta volta, come si esprime la premessa del decreto legge, ad assicurare "la trasparenza dei meccanismi tariffari e la tutela degli utenti, senza alterare gli equilibri finanziari del bilancio statale e delle società operanti nel settore" – la cessazione degli effetti del provvedimento CIP n. 32 del 1986 a decorrere dal 30 giugno 1996. Nella sostanza, la norma impugnata, in continuità e in stretto collegamento con l’originaria disposizione della legge n. 41 del 1986, e nell’esercizio della stessa potestà statale in materia di tariffe elettriche, ha realizzato una non irragionevole composizione degli interessi coinvolti nella materia, afferenti da un lato all’ente erogatore dell’energia elettrica e al suo equilibrio finanziario, dall’altro lato agli utenti dell’energia medesima.

  La norma impugnata ha dunque bensì sganciato l’efficacia della misura tariffaria in questione da un accertamento amministrativo in termini di equivalenza matematica dei suoi risultati finanziari rispetto all’originario obiettivo di compensazione dei minori apporti al fondo di dotazione dell’ENEL - equivalenza matematica che peraltro non risultava nemmeno dalla originaria disposizione dell’art. 17 della legge n. 41 del 1986 -, ma non per questo ha modificato la natura esclusivamente tariffaria della misura, e della correlativa prestazione imposta agli utenti. Non trattandosi, come si é detto, di norma che imponga una prestazione di tipo tributario, risultano prive di fondamento le censure volte a lamentare una violazione dei principi di eguaglianza e di capacità contributiva nella imposizione.

  4.– La seconda questione, relativa all’art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995, é inammissibile per difetto di rilevanza.

  La disposizione censurata, come si é detto nell’esposizione in fatto, sopravvenne nel corso della complessa vicenda, quando era incerto e controverso il momento in cui dovesse ritenersi raggiunto l’obiettivo finanziario cui era collegata la modifica tariffaria varata nel 1986. Essa attribuiva al CIPE il compito di procedere in via amministrativa all’accertamento, stabilendo all’uopo un breve termine. La contestuale previsione della devoluzione delle eccedenze al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato non aveva il senso di voler imprimere stabilmente una nuova destinazione ad introiti tariffari. Poichè l’accertamento avrebbe potuto intervenire in un momento successivo a quello nel quale l’obiettivo finanziario in questione risultasse raggiunto, data l’accertabilità solo a posteriori, in termini finanziari precisi, dell’entità degli introiti (sul presupposto, evidentemente, che tale obiettivo non fosse già, all’epoca – siamo alla fine del 1995 –, senz’altro acquisito), la disposizione in esame introduceva un meccanismo che consentisse di conservare gli effetti già esplicati dalla misura tariffaria nei confronti degli utenti, privando però l’ENEL degli introiti che fossero risultati eccedenti rispetto all’obiettivo di compensazione finanziaria perseguito dal legislatore del 1986. Ciò trova conferma nel successivo intervento legislativo del Governo, attuato con il decreto legge n. 227 del 1996, non convertito in legge, il quale, all’art. 1, comma 1, riformulava la disposizione dell’art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995, stabilendo espressamente la cessazione degli effetti del provvedimento tariffario a seguito dell’accertato conseguimento dell’obiettivo, e la devoluzione all’erario della eventuale eccedenza delle quote già riscosse al momento di tale accertamento.

  Successivamente il Governo stesso cambiò soluzione, prima con l’art. 1 del decreto legge n. 371 del 1996, anch’esso decaduto (ma i cui effetti sono stati fatti salvi dall’art. 1, comma 2, della legge 14 novembre 1996, n. 577, di conversione del successivo decreto), poi, nel medesimo senso, con l’art. 1 del decreto legge n. 473 del 1996, censurato in questa sede. Abbandonata la strada - rivelatasi di incerto e difficile percorso - dell’accertamento in via amministrativa, ad opera del CIPE, del conseguimento in termini matematici dell’obiettivo finanziario connesso alla manovra tariffaria in questione, si passò a fissare direttamente per legge la data di cessazione dell’efficacia del provvedimento tariffario del 1986, prescindendo da un accertamento specifico sugli effetti finanziari prodotti a quella data rispetto al bilancio dell’ENEL, e quindi sganciando tale efficacia da una matematica corrispondenza con determinati risultati finanziari nell’ambito di detto bilancio; di conseguenza veniva meno il fondamento logico della prevista devoluzione all’erario delle eccedenze di introiti rispetto all’obiettivo, e per questo si stabilì l’abrogazione della disposizione che prevedeva tale devoluzione.

  L’abrogazione non comporta, in questo caso, come vorrebbe il remittente, la conferma dell’efficacia della norma abrogata per il tempo anteriore alla data dell’abrogazione: il venir meno dello stesso presupposto della norma, consistente, come si é detto, nell’accertamento amministrativo del conseguimento dell’obiettivo della misura tariffaria, e nella devoluzione all’erario delle eccedenze risultanti rispetto a tale obiettivo, definito in termini finanziariamente precisi, faceva venir meno la stessa possibilità di una siffatta devoluzione. Cadute la necessità e la previsione dell’accertamento amministrativo, e sganciata la durata nel tempo della misura tariffaria dal computo matematico dei suoi effetti finanziari, non sarebbe stato e non sarebbe più possibile devolvere all’erario alcunchè. Deve pertanto ritenersi che, con l’abrogazione disposta dall’art. 1, comma 3, del decreto legge n. 473 del 1996, accompagnata dalle altre innovazioni normative di cui si é detto, la disposizione in esame abbia perduto definitivamente e totalmente efficacia, e non sia dunque in grado di spiegare alcun effetto qualificatorio sui rapporti dedotti nel giudizio a quo e negli altri analoghi giudizi in corso: onde la questione é priva di rilevanza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legge 13 settembre 1996, n. 473 (Disposizioni urgenti in materia di trasparenza delle tariffe elettriche), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1996, n. 577, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal Giudice di pace di Carpi con l’ordinanza indicata in epigrafe;

  2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 240, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal Giudice di pace di Carpi con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 8 maggio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 20 maggio 1998.