SENTENZA N. 521
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, quarto e quinto comma, della legge 18 aprile 1984, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 febbraio 1984, n. 19, recante proroga dei termini ed accelerazione delle procedure per l'applicazione della legge 14 maggio 1981, n. 219, e successive modificazioni) e dell'art. 1, comma 1, numero 3, del decreto-legge 28 febbraio 1986, n. 48, convertito nella legge 18 aprile 1986, n. 119 (Proroga dei termini e interventi urgenti per la rinascita delle zone terremotate della Campania e della Basilicata), promosso con ordinanza emessa il 21 giugno 1994 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Massari Maria ed altre contro il Commissario straordinario del Governo per le zone terremotate della Campania e della Basilicata ed altri iscritta al n. 7 del registro ordinanze dell'anno 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di costituzione di Massari Maria e Massari Arcangela, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella udienza pubblica del 7 novembre 1995 il Giudice relatore Enzo Cheli;
uditi l'avvocato Vincenzo Colacino per Massari Maria e Massari Arcangela e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza del 21 giugno 1994 (R.O. n. 7 del 1995) il Consiglio di Stato Sezione IV giurisdizionale, giudicando in sede di appello avverso la sentenza del TAR della Basilicata n. 512 del 1987, che aveva respinto alcuni ricorsi contro provvedimenti di occupazione di urgenza e successiva espropriazione, relativi a terreni utilizzati per l'insediamento di prefabbricati nel territorio di Muro Lucano, colpito dal terremoto del 23 novembre 1980, ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 6, quarto e quinto comma, della legge 18 aprile 1984, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 febbraio 1984, n. 19, recante proroga dei termini ed accelerazione delle procedure per l'applicazione della legge 14 maggio 1981, n. 219, e successive modificazioni) e dell'art. 1, comma 1, numero 3, del decreto-legge 28 febbraio 1986, n. 48, convertito nella legge 18 aprile 1986, n. 119 (Proroga dei termini e interventi urgenti per la rinascita delle zone terremotate della Campania e della Basilicata), in riferimento agli artt. 42, terzo comma; 3, primo comma; 97, primo comma; e 118, primo e terzo comma, della Costituzione.
Secondo l'art. 6 impugnato, i Comuni che ai sensi dell'ordinanza del Commissario di Governo per le zone terremotate n. 69 del 29 dicembre 1980 hanno individuato ed utilizzato aree destinate all'installazione di insediamenti provvisori, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, espropriano tali aree, indipendentemente dalla loro attuale destinazione urbanistica e anche nell'ipotesi di intervenuta scadenza del termine finale previsto per l'occupazione d'urgenza, acquisendo le aree stesse al patrimonio comunale. Tale termine veniva poi prorogato al 31 dicembre 1986 dall'art. 1, comma 1, numero 3, del decreto-legge n. 48 del 1986, convertito nella legge n. 119 del 1986, anch'esso impugnato.
2. Ad avviso del giudice remittente, le norme impugnate contrasterebbero, in primo luogo, con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione sotto il duplice profilo della mancanza di ogni previsione legislativa idonea ad identificare i "motivi di interesse generale" suscettibili di giustificare il sacrificio della proprietà privata, nonchè dell'inadeguatezza a questo fine del riferimento alla pregressa utilizzazione dei terreni per la realizzazione degli interventi provvisori. L'intervento espropriativo si porrebbe, altresì, in contrasto con gli interessi pubblici canonizzati nelle scelte pianificatorie, in quanto totalmente svincolato dal quadro della pianificazione territoriale, stante l'irrilevanza ai fini dell'esproprio della destinazione urbanistica delle aree interessate agli interventi.
In particolare secondo l'ordinanza di rimessione l'acquisizione delle aree ai patrimoni comunali non sarebbe, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, finalizzata alla realizzazione dei piani di zona (ai sensi della legge n. 167 del 1962) e dei piani per gli insediamenti produttivi (ai sensi della legge n. 865 del 1971) dei quali debbono dotarsi i Comuni disastrati (ai sensi dell'art. 28 della legge n. 219 del 1981) e le cui aree vengono acquisite per essere assegnate ai privati (v. art. 28, quattordicesimo comma, della legge n. 219 del 1981, art. 9, ultimo comma, della legge n. 167 del 1962 e art. 27, quinto comma, della legge n. 865 del 1971). Infatti, dagli artt. 28 ora cit. e 6 impugnato non si trarrebbero ad avviso del Consiglio di Stato elementi per dedurre che le espropriazioni previste dalla seconda norma sono preordinate agli interventi previsti dalla prima. Piuttosto, emergerebbe che in queste norme come pure nelle altre esaminate dal TAR la scelta pianificatoria dovrebbe precedere, logicamente e temporalmente, l'acquisizione delle aree al patrimonio comunale tramite l'espropriazione, laddove l'art. 6 impugnato prescinde dal richiamo ai piani attuativi previsti dalla legge n. 219, con la conseguenza che le aree, una volta acquisite, sarebbero suscettibili di qualsivoglia destinazione. D'altro canto, l'assoggettamento al procedimento espropriativo di tutti indistintamente i terreni già utilizzati per la realizzazione di insediamenti provvisori, costituendo l'unico motivo di collegamento individuato dal legislatore tra esercizio del potere espropriativo e finalità di interesse generale, verrebbe a giustificare la fondatezza della questione proposta. La norma espressa nell'art. 6, quarto comma, conterrebbe, infatti, un'irrazionale inversione dell'ordinario rapporto tra procedimento espropriativo e procedimento di occupazione d'urgenza.
Mentre normalmente l'occupazione è strumentale ad un programmato e definito intervento di pubblica utilità, nel caso in esame la scelta espropriativa sarebbe derivata soltanto dall'occupazione compiuta per far fronte ad una situazione di emergenza.
In secondo luogo, le norme impugnate contrasterebbero con il principio di uguaglianza (art. 3, primo comma, della Costituzione) e con i principi di imparzialità e di buon andamento (art. 97, primo comma, della Costituzione) sotto due profili. Innanzitutto, perchè il legislatore avrebbe fatto di pendere il sacrificio imposto ad uno piuttosto che ad un altro proprietario da valutazioni e scelte operate sommariamente in via d'urgenza, anzichè subordinare l'intervento ablatorio ad una rinnovata ed attuale ponderazione degli interessi in gioco. Inoltre, perchè, attraverso l'assoluta irrilevanza della destinazione urbanistica delle aree colpite, sarebbe stato leso il diritto dei consociati ad un equo ed imparziale trattamento, tutelato, invece, dalle scelte attuate in sede di pianificazione territoriale.
Sotto quest'ultimo profilo, la norma impugnata contrasterebbe anche con l'art. 118, primo e terzo comma, della Costituzione, dal momento che lo stravolgimento delle previsioni urbanistiche operato attraverso l'espropriazione, sarebbe suscettibile di incidere sulla potestà pianificatoria ripartita tra organi comunali ed organi regionali.
3.Nel giudizio si sono costituite le parti private, Massari Arcangela e Massari Maria, per aderire alle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione e chiedere l'accoglimento della questione di costituzionalità. In particolare, le parti private insistono sull'assenza di motivi di interesse pubblico generale per procedere all'espropriazione e sottolineano la circostanza che nell'istituto dell'espropriazione si trova costantemente affermato sin dalla legge n. 2359 del 1865 che fin dal primo atto della procedura devono risultare definiti l'oggetto, la finalità, i mezzi e i tempi di essa, essendo prevista la possibilità della retrocessione del bene.
4.È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità, o, comunque, per l'infondatezza della questione.
Secondo la difesa dello Stato, la questione sarebbe inammissibile sotto due profili alternativi. Ove si attribuisca valore normativo all'ordinanza commissariale 29 dicembre 1980, n. 69 il cui art. 2 conterrebbe la previsione esplicita dell'esproprio dei terreni in questione questo articolo e non l'art. 6 impugnato avrebbe dovuto formare oggetto della questione di costituzionalità. Altrimenti, ove si attribuisca alla stessa ordinanza commissariale valore di mero atto amministrativo generale e in quanto tale presupposto dei provvedimenti impugnati dinanzi al Consiglio di Stato le censure mosse dinanzi al giudice a quo risulterebbero pur sempre inammissibili per difetto di rilevanza, in quanto non dirette contro l'atto presupposto.
A queste conclusioni l'Avvocatura perviene in base ad una diversa individuazione della norma attributiva del potere di esproprio. Collocando l'art. 6 impugnato nell'ambito della normativa dettata per il terremoto del novembre del 1980, l'Avvocatura ritiene che il potere di esproprio scaturisca dalla congiunta previsione dell'art. 1 del decreto-legge n. 776 del 1980, che ha attribuito al Commissario il potere di emanare ogni provvedimento opportuno e necessario per il soccorso e l'assistenza delle popolazioni colpite dal sisma e degli artt. 1 e 2 dell'ordinanza commissariale n. 69 del 1980, con la quale il Commissario ha emanato le disposizioni per l'ubicazione e la realizzazione degli insediamenti provvisori per i terremotati e ha previsto l'esproprio dei terreni in questione. Alla luce di questa ricostruzione del quadro normativo, l'art. 6 impugnato avrebbe, pertanto, solo la funzione di fissare il termine per l'esercizio del potere di esproprio previsto da altra disposizione.
Nel merito, la difesa dello Stato mette in luce che l'ordinanza commissariale ha dichiarato di pubblica utilità non solo l'acquisizione delle aree, ma anche la costruzione degli immobili per gli insediamenti abitativi provvisori, avuto anche riguardo alla realizzazione di infrastrutture sta bili (fognature, illuminazione, etc.) destinate a rimanere incorporate, una volta cessata l'emergenza. Sulla base di ciò, i motivi di interesse generale sarebbero individuabili nell'acquisizione definitiva solo di quelle aree originariamente destinate a far fronte ad immediate esigenze abitative oramai attrezzate di infrastrutture, in quanto suscettibili, per effetto dell'avvenuta trasformazione, di venir destinate in maniera stabile, anche per evitare di disperdere le rilevanti risorse finanziarie impiegate, a fini di generale interesse.
L'Avvocatura dello Stato rileva poi, con riferimento alla contestata violazione dell'art. 118 della Costituzione, che l'intervento degli organi regionali previsto dagli artt. 1 e 2 dell'ordinanza commissariale farebbe cadere ogni censura, mentre, per quanto concerne l'asserita lesione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, il potere di esproprio di cui ai suddetti artt. 1 e 2 presupporrebbe sempre una ponderazione di interessi, nel rispetto dei principi generali che l'art. 1 del decreto-legge n. 776 del 1980 ha individuato come limite della normativa d'emergenza.
5. In prossimità dell'udienza le parti private hanno presentato memoria dove, dopo aver sottolineato l'insussistenza di un vincolo di destinazione suscettibile di collegare i beni espropriati al soddisfacimento di un interesse pubblico, si insiste nella richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale.
Considerato in diritto
1.L'art. 6 della legge 18 aprile 1984, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 febbraio 1984, n. 19, recante proroga dei termini ed accelerazione delle procedure per l'applicazione della legge 14 maggio 1981, n. 219 e successive modificazioni), stabilisce, al quarto comma, che "i Comuni che, ai sensi dell'ordinanza del Commissario di Governo per le zone terremotate n. 69 del 29 dicembre 1980, hanno individuato ed utilizzato aree destinate all'installazione di insediamenti provvisori, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della presente legge espropriano tali aree, acquisendole al patrimonio comunale anche nell'ipotesi di intervenuta scadenza del termine finale per l'occupazione di urgenza".
Lo stesso art. 6, al quinto comma, aggiunge inoltre che "le aree di cui al comma precedente sono espropriate indipendentemente dalla loro attuale destinazione urbanistica". Il termine per gli espropri indicato nel quarto comma è stato successivamente prorogato al 31 dicembre 1986 dall'art. 1, comma 1, numero 3, del decreto-legge 28 febbraio 1986, n. 48, convertito nella legge 18 aprile 1986, n. 119.
Il Consiglio di Stato Sezione IV giurisdizionale, con l'ordinanza in esame, solleva questione di legittimità costituzionale di tali disposizioni sotto vari profili e, in particolare, in relazione: a) all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, per la mancata indicazione nella legge dei "motivi di interesse generale" in grado di giustificare il sacrificio della proprietà privata, nonchè per l'insufficienza del riferimento legislativo alla sola pregressa utilizzazione dei terreni per la realizzazione di insediamenti provvisori; b) agli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal momento che l'automatismo nel passaggio dalla fase dell'occupazione di urgenza per la realizzazione di insediamenti provvisori a quella della definitiva espropriazione delle aree utilizzate verrebbe a vulnerare le garanzie sostanziali e procedimentali destinate ad assicurare una corretta valutazione comparativa nella scelta delle stesse aree; c) all'art. 118, primo e terzo comma, della Costituzione (il profilo è prospettato solo con riferimento al quinto comma dell'art. 6), dal momento che un intervento espropriativo svincolato dal quadro della pianificazione territoriale oltre a ledere gli artt. 42, terzo comma, 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione verrebbe a incidere nella potestà pianificatoria spettante agli organi comunali e regionali.
Il Consiglio di Stato, nella sua ordinanza, contesta preliminarmente le argomentazioni addotte dal Tribunale amministrativo regionale della Basilicata che, nella sentenza sottoposta ad appello (n. 312 del 1987), aveva dichiarato analoga questione di costituzionalità manifestamente infondata, muovendo dalla premessa che l'espropriazione prevista dalle norme impugnate troverebbe il suo fondamento di "interesse generale" nel fatto di essere finalizzata alla realizzazione dei piani di zona di cui alla legge n. 167 del 1962 e dei piani per insediamenti produttivi di cui all'art. 27 della legge n. 865 del 1971, piani che i Comuni delle zone terremotate sono tenuti ad adottare, ai sensi dell'art. 28 della legge n. 219 del 1981, per la sostituzione del patrimonio edilizio distrutto. Ad avviso del Consiglio di Stato tale finalizzazione degli espropri in contestazione, oltre a non essere desumibile dalla disciplina ora richiamata, risulterebbe esclusa dalla stessa ratio dell'art. 6 della legge n. 80 del 1984, che avrebbe rovesciato il rapporto, logico e cronologico, che normalmente è dato riscontrare tra strumenti di pianificazione e provvedimenti espropriativi.
2.Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità prospettate dalla difesa statale.
Secondo l'Avvocatura dello Stato, la norma attributiva del potere di esproprio in esame andrebbe individuata non nell'art. 6, quarto comma, della legge n. 80 del 1984 (norma impugnata), bensì nella congiunta previsione dell'art. 1 del decreto-legge 26 novembre 1980, n. 776 che ha attribuito al Commissario straordinario del Governo il potere di adottare "ogni provvedimento opportuno e necessario per il soccorso e l'assistenza alle popolazioni" colpite dal sisma e degli artt. 1 e 2 dell'ordinanza 29 dicembre 1980, n. 69, mediante la quale lo stesso Commissario ha emanato le disposizioni generali per l'ubicazione e la realizzazione degli insediamenti provvisori. Da tale premessa l'Avvocatura trae la conseguenza dell'inammissibilità della questione in termini alternativi: o perchè la stessa questione si sarebbe dovuta sollevare nei confronti dell'ordinanza commissariale, ove alla stessa si dovesse riconoscere il valore di atto normativo; o perchè l'ordinanza commissariale doveva formare oggetto di impugnativa nel giudizio a quo come atto presupposto, ove a tale ordinanza andasse, invece, riconosciuta la natura di mero atto amministrativo generale.
Tali eccezioni non possono essere condivise.
Indipendentemente da ogni considerazione sulla natura e sul valore dell'ordinanza commissariale n. 69 del 1980, riconducibile alla categoria delle "ordinanze libere" (su cui v. le indicazioni espresse nella sentenza n. 4 del 1977), il punto da sottolineare è che l'art. 6, quarto comma, della legge n. 80 del 1984 non si è limitato soltanto a fissare come ritiene l'Avvocatura il termine di esercizio di un potere di esproprio già previsto dalla stessa ordinanza, ma ha introdotto, mediante la previsione di un esproprio riferito a tutte le aree già utilizzate per gli insediamenti provvisori "anche nell'ipotesi di intervenuta scadenza del termine finale previsto per l'occupazione di urgenza", unadisciplina che non è reiterativa, bensì innovativa sia rispetto al contenuto del decreto-legge n. 776 del 1980, che ha definito i poteri del Commissario, che rispetto a quello dell'ordinanza commissariale n. 69 del 1980, che ha dettato i criteri generali per l'occupazione delle aree. Dal che la piena autonomia della questione di costituzionalità così come configurata nell'ordinanza in esame.
Nè l'inammissibilità potrebbe alternativamente derivare come ritiene l'Avvocatura da un asserito difetto di rilevanza della questio, per non essere stata impugnata nel giudizio a quo l'ordinanza commissariale come atto amministrativo presupposto, una volta constatato come nella specie è agevole constatare che l'ordinanza di rimessione ha plausibilmente motivato in ordine alla rilevanza della questione, ponendo in luce la diretta incidenza della declaratoria di illegittimità costituzionale sull'annullamento degli atti ablatori oggetto d'impugnativa nel giudizio a quo.
3.Nel merito, la questione non è fondata.
La censura principale prospettata nell'ordinanza di rimessione investe l'asserita lesione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, per non avere le disposizioni impugnate indicato "i motivi di interesse generale" sottesi agli espropri previsti.
La valutazione di tale profilo non può, d'altro canto, prescindere dalla considerazione tanto della straordinarietà della situazione che si venne a determinare, nelle Regioni Campania e Basilicata, a seguito dei gravi eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981, quanto della eccezionalità degli interventi che l'esigenza di sopperire con prontezza a tale situazione venne ad imporre. L'emergenza cui, in quella occasione, si dovette provvedere comportò, com'è noto, l'istituzione di un Commissario straordinario del Governo, nominato ai sensi della legge 8 dicembre 1970, n. 996 (v. art. 1 del decreto-legge n. 776 del 1980); l'adozione da parte dello stesso di ordinanze "anche in deroga delle norme vigenti... con il rispetto dei principi generali dell'ordinamento vigente"; l'"acquisizione" in via di urgenza di aree su cui disporre "la costruzione degli immobili occorrenti per la realizzazione degli insediamenti abitativi provvisori" (v. art. 2 dell'ordinanza n. 69 del 1980).
Questa situazione era, peraltro, destinata a protrarsi nel tempo molto al di là delle previsioni iniziali, in relazione alla lentezza del processo di ricostruzione ed alla complessità del riassetto urbanistico delle zone colpite. Da qui la necessità di sempre maggiori interventi delle amministrazioni comunali destinati a garantire, mediante la provvista di infrastrutture primarie e secondarie, le condizioni minime di vita negli insediamenti nati come provvisori, ma di fatto stabilizzati in ragione del tempo trascorso. Infrastrutture che hanno richiesto investimenti di una certa entità e che hanno progressivamente trasformato la natura e i caratteri delle aree "acquisite" nella prima fase dell'emergenza.
Tutto questo concorre a spiegare la ratio di una norma quale quella espressa nell'art. 6, quarto comma, della legge n. 80 del 1984, norma che può trovare la sua giustificazione nel contesto parti colare sopra ricordato, in relazione all'esigenza di concludere una fase di emergenza i cui effetti si erano troppo a lungo sviluppati nel tempo e che avevano dato luogo ad un nuovo "stato delle cose".
I "motivi di interesse generale", ancorchè non espressamente enunciati, appaiono, pertanto, sottintesi, ma chiaramente presenti, nella disciplina in esame. Tali motivi vengono, infatti, a collegarsi al fatto che tali aree, dopo essere state acquisite per opere di pubblica utilità e indifferibili e urgenti (ex art. 2 dell'ordinanza n. 69 del 1980), sono state effettivamente utilizzate per tali opere e di fatto trasformate attraverso la presenza prolungata di insediamenti abitativi e delle relative infrastrutture.
4.Nel quadro indicato, l'acquisizione delle aree in questione al patrimonio comunale appare, pertanto, rispondente ai criteri della ragionevolezza, sia in relazione agli investimenti per infrastrutture effettuati su tali aree, sia in relazione all'esigenza di favorire, mediante la disponibilità delle stesse aree da parte dei Comuni, gli interventi pianificatori orientati verso l'opera di ricostruzione.
Da qui l'infondatezza anche delle censure formulate con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Nè il canone della ragionevolezza può ritenersi leso dal fatto che l'esproprio disposto dal quarto comma dell'art. 6 abbia impedito una più approfondita comparazione ai fini della scelta tra le aree disponibili, dal momento che tale comparazione, sia pure in via di urgenza, era già stata effettuata dalle amministrazioni comunali al momento dell'occupazione iniziale, mentre la norma impugnata ha assunto a proprio presupposto un dato oggettivo quale quello dell'avvenuta utilizzazione delle aree da espropriare.
La considerazione dello scopo che va ritenuto sotteso all'acquisizione delle aree in questione comporta, d'altro canto, una precisazione ulteriore: e cioè che le stesse aree, una volta acquisite al patrimonio comunale, non potranno essere utilizzate dai Comuni come ritiene l'ordinanza di rimessione per qualsivoglia destinazione, ma soltanto per fini connessi all'opera di ricostruzione delle zone terremotate ed alle conseguenti scelte urbanistiche. Dal che la conseguenza che le stesse aree verranno a trovare la loro destinazione naturale o nella realizzazione così come affermato dal Tribunale amministrativo nella sentenza impugnata dinanzi al giudice a quo dei piani di zona e dei piani per insediamenti produttivi richiamati dall'art. 28, secondo comma, della legge n. 219 del 1981 o nel perseguimento di altre scelte urbanistiche, purchè in ogni caso orientate verso l'opera di ricostruzione. Le eventuali deviazioni da tale obiettivo da parte delle amministrazioni comunali potranno, d'altro canto, formare oggetto di sindacato in sede giurisdizionale.
5.Infondato si prospetta anche il profilo di censura specificamente enunciato nei confronti del quinto comma dell'art. 6 della legge n. 80, dove si afferma l'irrilevanza dell'attuale destinazione urbanistica delle aree da espropriare.
Tale disposizione diversamente da quanto si sostiene nell'ordinanza di rimessione non comporta nè uno "stravolgimento" delle previsioni urbanistiche nè una lesione degli artt. 3, 42, 97 e 118 della Costituzione. E invero, a parte il rilievo che le aree in questione, una volta espropriate ed acquisite al patrimonio comunale, non potranno essere utilizzate altro che per il perseguimento di finalità conformi alle previsioni urbanistiche in atto, resta il fatto che, ai fini della disciplina del potere espropriativo, le norme costituzionali non frappongono ostacoli alla possibilità che il legislatore ordinario deroghi a previsioni espresse in sede amministrativa, tanto più ove la deroga risulti fondata sulla presenza di motivi eccezionali quali quelli sopra ricordati, connessi al verificarsi di una situazione di emergenza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, quarto e quinto comma, della legge 18 aprile 1984, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 febbraio 1984, n. 19, recante proroga dei termini ed accelerazione delle procedure per l'applicazione della legge 14 maggio 1981, n. 219 e successive modificazioni), e 1, comma 1, numero 3, del decreto-legge 28 febbraio 1986, n. 48, convertito nella legge 18 aprile 1986, n. 119 (Proroga dei termini ed interventi urgenti per la rinascita delle zone terremotate della Campania e della Basilicata), in relazione agli artt. 42, terzo comma, 3, primo comma, 97, primo comma, e 118, primo e terzo comma, della Costituzione; questione sollevata dal Consiglio di Stato con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/95.
Mauro FERRI, Presidente
Enzo CHELI, Redattore
Depositata in cancelleria il 28/12/95.