Sentenza n.46/98

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SENTENZA N.46

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 68 del codice penale militare di pace, promossi con ordinanze emesse il 27 giugno, il 4 luglio, il 19 settembre (n. 2 ordinanze), il 20 settembre, il 3 ottobre, il 19 dicembre, il 19 settembre ed il 19 dicembre 1995 (n. 2 ordinanze), il 12 e il 26 marzo 1996 (n. 2 ordinanze), dal Tribunale militare di Padova, rispettivamente iscritte ai nn. 638, 639, 818, 819 e 820 del registro ordinanze 1995 e ai nn. 34, 405, 406, 407, 622, 732, 733 e 1180 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 42 e 49, prima serie speciale, dell'anno 1995 e nn. 6, 19, 28, 34 e 44, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 1997 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto in fatto

 

1. - Con tredici ordinanze di identico contenuto, emesse nel corso di altrettanti procedimenti penali a carico di militari imputati del reato di diserzione (art. 148 codice penale militare di pace) o di mancanza alla chiamata (art. 151 cod. pen. mil. pace), il Tribunale militare di Padova solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 68 del codice penale militare di pace, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione.

Il giudice a quo premette, in ciascuna delle ordinanze, che ha già condannato gli imputati per reati di diserzione o di mancanza alla chiamata in relazione ad assenze dal servizio iniziate in data anteriore alla sentenza di condanna e non ancora cessate, e che, di fronte al perdurare dell’assenza, il procuratore militare, successivamente alla prima condanna, ha instaurato a carico dei predetti imputati altri procedimenti per i medesimi reati.

Il remittente rileva altresì che, in base al diritto vivente, i reati di assenza dal servizio devono essere considerati reati permanenti "in virtù del perdurare dell’obbligo extrapenale (cosiddetto obbligo sottostante), la cui inosservanza é penalmente sanzionata". L’art. 68 cod. pen. mil. pace, in effetti, prevede per i reati di diserzione e di mancanza alla chiamata, nell’ipotesi in cui l’assenza perduri, che il termine per la prescrizione del reato e quello per la estinzione della pena per decorso del tempo decorrono dal giorno in cui il militare ha compiuto l’età per la quale cessa in modo assoluto l’obbligo del servizio militare, a norma delle leggi sul reclutamento. Tale disposizione, quindi, ad avviso del tribunale che richiama sul punto l'ordinanza n. 150 del 1995 di questa Corte, impedisce di considerare istantanei i reati di assenza dal servizio e prevede per tali reati una permanenza sui generis, un periodo di consumazione che si prolunga sino a coincidere con l’obbligazione militare nella sua interezza.

Da tale qualificazione, imposta come detto dal citato art. 68, e in considerazione del rilievo che "dal giudizio in costanza della permanenza prende vita un nuovo fatto di reato che a sua volta richiede un ulteriore giudizio", discenderebbe, secondo il giudice a quo, il fenomeno della cosiddetta spirale delle condanne, il quale contrasterebbe, innanzitutto, con l’art. 27, primo comma, della Costituzione, in quanto la responsabilità dell’imputato non dipenderebbe soltanto dal suo operato, ma anche dall'efficienza dell’apparato giudiziario-militare.

In secondo luogo, evidente sarebbe la violazione dell'art. 3 Cost., poichè il trattamento sanzionatorio complessivo varierebbe pur in relazione a periodi di assenza dal servizio di uguale durata.

Ed ancora, poichè la pluralità delle condanne per un unico reato permanente, giudicato in più riprese, comporterebbe un progressivo aumento della pena e un trattamento sanzionatorio che darebbe luogo ad una "prova di forza tra lo Stato ed il condannato", risulterebbero violati sia il principio della libertà di coscienza, garantito dall’art. 2 della Costituzione, sia quello della finalità rieducativa della pena, sancito dall’art. 27, terzo comma, Cost.

Il medesimo effetto di un progressivo innalzamento della pena, praticamente indeterminato sino al limite del triplo del massimo della pena edittale, violerebbe, infine, sempre ad avviso del giudice a quo, il principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, della Costituzione.

2. - E’ intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo in primo luogo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili.

L’Avvocatura rileva che la situazione denunciata come incostituzionale nelle ordinanze di remissione non verrebbe meno qualora fosse espunto dal sistema normativo il solo art. 68 cod. pen. mil. pace, su cui si incentrano in via esclusiva le censure del giudice a quo: l’art. 9 del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e reclutamento obbligatorio nell’esercito, nella marina e nell’aeronautica), fissa ad una determinata età l’estinzione dell’obbligo del servizio militare, sicchè l’interesse alla presentazione del chiamato alle armi persiste anche successivamente al compimento dei reati di assenza dal servizio sino al compimento della predetta età.

Ad avviso dell’Avvocatura, le questioni dovrebbero essere dichiarate, comunque, infondate. Il fenomeno denunciato come incostituzionale sarebbe comune a tutti i reati omissivi permanenti, per i quali potrebbe verificarsi l’instaurazione di un numero indefinito di nuovi giudizi nel caso in cui la condotta omissiva si protragga anche dopo la sentenza di primo grado. La libertà di coscienza garantita dall’art. 2 Cost., del resto, non escluderebbe affatto l’obbligo di adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà, ivi compreso quello del servizio militare per la durata stabilita dalla legge (art. 52 Cost.).

Non sarebbe neppure violato l’art. 3 della Costituzione, poichè non sarebbe in alcun modo equiparabile la situazione del chiamato alle armi, che rimanga assente senza essere stato ancora condannato, a quella di colui che perduri nell’assenza anche dopo la sentenza di condanna, stante il più marcato grado di antisocialità dimostrato da quest’ultimo.

La possibilità di correttivi rispetto a pene complessivamente esorbitanti offerta dalla disciplina del reato continuato - applicabile, per altro, anche in sede di esecuzione - unitamente a quella, sempre attraverso tale istituto, di commisurare adeguatamente la pena complessiva all’effettivo disvalore della condotta unitariamente considerata, renderebbero insussistenti, secondo l’Avvocatura, anche le censure mosse in riferimento ai principî sanciti dagli artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.

L’Avvocatura osserva poi che l’estinzione dell’obbligo del servizio militare costituisce una sola delle modalità di cessazione della permanenza per i reati in esame, in quanto ad essa devono aggiungersi anche la condotta volontaria dell’agente e la sopravvenuta impossibilità di porre in essere condotte interruttive, come avviene nel caso di collocamento in congedo assoluto del colpevole.

Infine, secondo l’Avvocatura, l’ulteriore assenza oggetto di nuovo giudizio non sarebbe stata valutata nei precedenti giudizi, sicchè, in caso di pluralità di condanne, ricorrerebbero altrettante ipotesi di "interruzione giudiziale" delle assenze, ciascuna delle quali presenterebbe elementi non riconducibili ad unità nè sotto il profilo oggettivo nè sotto quello psicologico.

Considerato in diritto

 

1. - Le tredici ordinanze del Tribunale militare di Padova dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 68 del codice penale militare di pace, il quale, prevedendo che per i reati di mancanza alla chiamata e di diserzione, nell’ipotesi in cui l’assenza non sia ancora terminata, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui per il reo cessa in modo assoluto l’obbligo militare, impedirebbe di configurare come istantanei i reati di assenza dal servizio e, imponendo la loro configurazione come reati permanenti, con un periodo di consumazione che si prolunga fino a coincidere con la durata dell’obbligo militare, darebbe luogo al fenomeno della spirale delle condanne.

In ciò, il Tribunale militare di Padova ravvisa una violazione:

- degli artt. 2 e 27, terzo comma, della Costituzione, poichè la pluralità delle condanne per un unico reato permanente, giudicato in più riprese, derivante dalla disposizione impugnata, comporterebbe un progressivo aumento della pena e un trattamento sanzionatorio che si risolverebbe in una prova di forza tra lo Stato e il condannato, in contrasto con la libertà di coscienza e con la finalità rieducativa della pena;

- dell’art. 27 della Costituzione, perchè la spirale fatto-giudizio-fatto farebbe sì che la responsabilità dell’imputato non dipenderebbe soltanto dal suo operato, ma anche dal funzionamento dell’apparato giudiziario militare;

- dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione, dal momento che la moltiplicazione dei giudicati comporterebbe un innalzamento della pena sostanzialmente indeterminato, sino al limite del triplo del massimo della pena edittale, in contrasto con il principio di legalità;

- dell’art. 3 della Costituzione, in quanto, a parità di assenza dal servizio, il trattamento sanzionatorio complessivo verrebbe a dipendere dal grado di efficienza dell’apparato giudiziario in relazione ai vari episodi che l’interruzione giudiziale rende fra loro autonomi.

Poichè le ordinanze pongono la medesima questione, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - La questione é inammissibile.

E’ opportuno premettere che questa Corte, spinta dall’esigenza di porre un limite alla possibile spirale delle condanne, nella sentenza n. 343 del 1993, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 8, terzo comma, della legge n. 772 del 1972, in connessione con l’art. 148 cod. pen. mil. pace, nella parte in cui non prevede l’esonero dalla prestazione del servizio militare di leva a favore di coloro che, avendo rifiutato totalmente in tempo di pace la prestazione del servizio stesso dopo aver addotto motivi diversi da quelli indicati nell’art. 1 della legge n. 772 del 1972, o senza aver addotto motivo alcuno, abbiano espiato per quel comportamento la pena della reclusione in misura complessivamente non inferiore a quella del servizio militare di leva. La successiva sentenza n. 422 del 1993 ha poi chiarito che la pronuncia ora ricordata, resa in base agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, ha una portata generale "nel senso che estende i suoi effetti a tutti i militari imputati di reati comportanti forme di rifiuto del servizio militare che si vengano a trovare assoggettati alla "spirale delle condanne"". E’ ora da precisare che questo fenomeno non può essere ulteriormente limitato o addirittura espunto dall’ordinamento attraverso la semplice qualificazione del reato di assenza come reato istantaneo o permanente, ovvero mediante la previsione che il termine di prescrizione decorra, non dal venir meno dell’obbligo di leva, ma da un momento più vicino nel tempo alla condotta illecita.

L’eventualità di una ripetizione delle condanne nelle ipotesi dei reati di assenza dal servizio non é affatto una conseguenza della configurazione di questi come reati permanenti piuttosto che come reati istantanei. Al contrario: ferma restando la disposizione che stabilisce l’obbligo di leva sino al compimento del quarantacinquesimo anno di età, della cui legittimità il Tribunale militare di Padova non dubita, é evidente che alla condanna per un episodio di assenza dal servizio, ove questa perduri, non potrebbero non conseguire altre condanne anche nel caso in cui quel delitto fosse considerato come istantaneo. Non potrebbe infatti ragionevolmente sostenersi che, allo stato attuale della legislazione, il compimento di un fatto di assenza dal servizio comporti il venir meno dell’obbligo di prestazione imposto dalla legge in attuazione dell’art. 52 della Costituzione.

Anche se nella ordinanza n. 150 del 1995, seguendo la prospettazione del giudice a quo, questa Corte aveva incluso fra le disposizioni che concorrono a definire la natura permanente dei reati di diserzione e di mancanza alla chiamata l’art. 68 cod. pen. mil. pace, non può essere condiviso il presupposto dal quale procede il ragionamento del giudice a quo: che cioé il fenomeno della spirale delle condanne derivi dalla natura permanente di tali reati, sicchè la possibilità di condanne reiterate verrebbe meno una volta rimosso l’art. 68. Questa disposizione si limita a prevedere che, qualora l’assenza si protragga, la prescrizione per i reati di diserzione e di mancanza alla chiamata comincia a decorrere dal venir meno dell’obbligo militare. La richiesta di pronuncia additiva sull’art. 68 appare frutto dell’erroneo convincimento che estinzione del reato per prescrizione e estinzione dell’obbligo di prestare il servizio militare di leva siano fungibili; nel senso che, estinto il reato per prescrizione, sulla base di una diversa decorrenza del relativo termine, si abbia anche l’estinzione dell’obbligo militare; la quale, invece, nella vigente legislazione, quando non consegua ad un apposito provvedimento di dispensa, si determina col compimento del quarantacinquesimo anno di età o col verificarsi dell’ipotesi prevista dall’art. 8, terzo comma, della legge n. 772 del 1972 per l’obiettore di coscienza.

3. - Sotto un diverso ma concorrente profilo, se fosse vero che la spirale delle condanne deriva dalla natura permanente dei reati di assenza, la questione resterebbe inammissibile. Tale natura non può essere modificata da una semplice qualificazione correttiva che astragga dalle caratteristiche delle condotte incriminate: "la natura permanente o istantanea del reato non può dipendere da esplicita ed apodittica qualificazione del legislatore, ma dalla sua naturale essenza, trattandosi di un carattere che inerisce alla qualità della condotta così come si presenta nella realtà", sicchè "la definizione del carattere permanente o istantaneo é affidata all’interpretazione dei giudici ordinari" (sentenza n. 520 del 1987); interpretazione, si aggiunga, che, come del resto osservato anche nella ordinanza n. 150 del 1995, deve avere ad oggetto le singole norme incriminatrici e la descrizione del comportamento illecito in esse contenuta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68 del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 1998.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Carlo MEZZANOTTE

Depositata in cancelleria il 5 marzo 1998.