ORDINANZA N.35
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, e dell’art. 91, commi 3 e 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), promossi con due ordinanze emesse il 6 e il 9 maggio 1996 dal Tribunale di sorveglianza di Napoli, iscritte ai nn. 303 e 304 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 24, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 1998 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Napoli, con ordinanza emessa il 6 maggio 1996, pervenuta a questa Corte il 12 maggio 1997 (R.O. n. 303 del 1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 13, 25, 101 e 102 della Costituzione, dell'art. 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, "nella parte in cui prevede che l'istanza di ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale va rimessa al pubblico ministero, il quale, se non osta il limite di pena di cui al comma 1, sospende l'emissione o l'esecuzione del titolo, e non al magistrato di sorveglianza";
che il medesimo Tribunale di sorveglianza di Napoli, con ordinanza emessa il 9 maggio 1996, pervenuta a questa Corte il 12 maggio 1997 (R.O. n. 304 del 1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento ai medesimi parametri sopra ricordati, dell'art. 47, comma 4, della legge n. 354 del 1975, come sostituito dall'art. 11 della legge n. 663 del 1986, e dell'art. 91, comma 3, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), "nella parte in cui prevedono che le istanze di ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale, in via ordinaria e in casi particolari, vanno rimesse al pubblico ministero, il quale, se non osta il limite di pena, sospende l'emissione o l'esecuzione del titolo, e non al magistrato di sorveglianza"; nonchè dell'art. 91, comma 4, del medesimo d.P.R. n. 309 del 1990 "nella parte in cui assegna al pubblico ministero e non al magistrato di sorveglianza il potere di disporre la scarcerazione del condannato se non osta il limite di pena";
che nelle due ordinanze, motivate in modo identico, si osserva come il pubblico ministero, a cui vengono presentate le istanze di affidamento al servizio sociale previa sospensione dell'ordine di esecuzione, o anche previo ordine di scarcerazione nell'ipotesi di istanza di affidamento nei casi particolari del tossicodipendente o dell'alcoodipendente che si sottoponga o intenda sottoporsi a programma terapeutico, eserciti, secondo l'interpretazione più largamente accolta, un potere in parte discrezionale, ed emani provvedimenti che, pur essendo, secondo la giurisprudenza, impugnabili dall'interessato davanti al giudice dell'esecuzione per far valere la violazione di suoi diritti, risultano invece di fatto sottratti ad ogni controllo giurisdizionale quando dispongono la sospensione dell'ordine di esecuzione o della carcerazione già in atto;
che, secondo il giudice a quo, l'attribuzione al pubblico ministero del potere di accertare, sia pure in via provvisoria, se sussistono le condizioni per l'ammissione alla misura alternativa costituisce una interferenza nella competenza funzionale del tribunale di sorveglianza, spostando la potestà punitiva dello Stato in capo all'organo dell'esecuzione, con violazione della sfera di competenza degli organi giurisdizionali, e consentendo al pubblico ministero medesimo di impedire l'attuazione del giudicato e di frustrare, con reiterati provvedimenti di sospensione (come nella specie, in uno dei due casi, é avvenuto), le decisioni del tribunale di sorveglianza;
che inoltre, sempre secondo il remittente, sotto il profilo della ragionevolezza, le disposizioni impugnate appaiono in contrasto con il sistema vigente, nel quale i provvedimenti di differimento dell'esecuzione penale, nei casi contemplati dagli artt. 146 e 147 del codice penale, spettano al tribunale di sorveglianza – anche a seguito della sentenza n. 274 del 1990 di questa Corte, che ha dichiarato l'illegittimità della norma che attribuiva tale potere al Ministro della giustizia in caso di domanda di grazia –, nonchè, in sede preliminare e cautelare, al magistrato di sorveglianza, ai sensi dell'art. 684, comma 2, del codice di procedura penale; anche nel caso di istanze di ammissione a misure alternative, che potrebbero essere motivate dalle stesse situazioni di fatto che sorreggono l'istanza di differimento dell'esecuzione, sarebbe irragionevole attribuire al pubblico ministero, anzichè al magistrato di sorveglianza, la decisione provvisoria sulla sospensione dell'esecuzione, in considerazione della unitaria competenza funzionale del tribunale di sorveglianza per tutte le ipotesi richiamate;
che é intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, negando la fondatezza delle questioni;
che, secondo l'Avvocatura erariale, non sussiste la lamentata eccessiva discrezionalità del pubblico ministero, il quale sarebbe obbligato a disporre la sospensione alla sola condizione che non vi osti il limite di pena; nè sussisterebbe la lesione di alcuno dei principi costituzionali invocati: non dell'art. 13 della Costituzione, perchè il potere di sospendere l'esecuzione non contrasta con i diritti di libertà personale; non degli artt. 25, 101 e 102, perchè il provvedimento del pubblico ministero non costituisce esercizio della giurisdizione, ma attiene esclusivamente alle modalità di esecuzione della sentenza di condanna; non, infine, dell'art. 3, in quanto le situazioni disciplinate dagli artt. 146 e 147 cod. pen. sono diverse da quella considerata;
che inoltre, sempre secondo la difesa del Presidente del Consiglio, non sussisterebbe alcuna irragionevolezza, in quanto il provvedimento del pubblico ministero concerne la semplice sospensione dell'esecuzione, con finalità cautelare, mentre la decisione definitiva spetta al tribunale di sorveglianza; nè varrebbe il paragone con la situazione giudicata da questa Corte con la sentenza n. 274 del 1990, in quanto nella specie il potere cautelare é attribuito non già al Ministro, ma al pubblico ministero, che appartiene all'ordine giudiziario, ed al quale é rimesso il dovere istituzionale di provvedere alla esecuzione delle pene.
Considerato che i due giudizi, concernendo questioni sostanzialmente identiche, vanno riuniti per esser decisi con unica pronuncia;
che il Tribunale di sorveglianza, il quale ha sollevato le questioni in sede di decisione su istanze di affidamento al servizio sociale o di ammissione alla semilibertà, non é chiamato, in tale sede, a fare applicazione delle norme impugnate, concernenti il potere-dovere di provvisoria sospensione dell'esecuzione in attesa della decisione del Tribunale di sorveglianza medesimo, potere-dovere posto in capo al pubblico ministero, il quale nella specie aveva già adottato i relativi provvedimenti, ma é chiamato esclusivamente a decidere sulla ammissibilità e fondatezza delle istanze di concessione delle misure alternative alla detenzione;
che pertanto le questioni sollevate devono essere dichiarate manifestamente inammissibili per evidente difetto di attualità della rilevanza nella fase di giudizio di cui il Tribunale remittente é investito (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 485 del 1995; n. 49 del 1996).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 13, 25, 101 e 102 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Napoli con l’ordinanza, emessa il 6 maggio 1996, indicata in epigrafe;
b) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e dell'art. 91, commi 3 e 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 13, 25, 101 e 102 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Napoli con l’ordinanza, emessa il 9 maggio 1996, indicata in epigrafe;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Valerio ONIDA
Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1998.