SENTENZA N. 29
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi promossi con ricorsi delle Regioni Puglia e Lombardia notificati l’11 aprile 1997, depositati in cancelleria il 29 successivo, per conflitti di attribuzione sorti a seguito delle decisioni della Corte costituzionale nn. 17, 18, 19, 20 e 24 del 1997, con le quali sono stati, rispettivamente, dichiarati inammissibili i referendum in materia: a) di istituzione e riordinamento del Ministero della sanità; b) di funzioni statali di indirizzo e coordinamento; c) di limiti alle attività promozionali delle Regioni all’estero nelle materie di loro spettanza; d) di partecipazione delle Regioni alle attività dell’Unione Europea; e) di poteri di direttiva dello Stato sulle funzioni amministrative statali delegate alle Regioni, ed iscritti ai nn. 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23 e 24 del registro conflitti 1997.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 25 novembre 1997 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;
uditi gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto per le Regioni Puglia e Lombardia, Giovanni Motzo per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1. Con due ricorsi di identico contenuto, notificati l'11 aprile 1997, le Regioni Puglia e Lombardia hanno proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri (reg. confl., rispettivamente n. 15 e 16 del 1997) chiedendo l'annullamento, in tutto o nella sola parte motiva, della sentenza della Corte costituzionale n. 17, depositata il 10 febbraio 1997, con la quale é stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum popolare, proposto dalle ricorrenti, per l’abrogazione di atti legislativi concernenti l’istituzione ed il riordinamento del Ministero della sanità. Le Regioni chiedono che si dichiari che non spetta allo Stato, e per esso alla Corte costituzionale, accertare, nell'ambito del giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, l'esistenza di principi costituzionali fondamentali, ovvero di loro corollari impliciti, che determinano l'effetto dell'immodificabilità di leggi ordinarie o di disposizioni di rango costituzionale attualmente vigenti, in quanto recanti l'unico possibile contenuto attuativo di detti principi costituzionali.
Le ricorrenti premettono che i Consigli regionali della Calabria, della Lombardia, del Piemonte, della Puglia, della Toscana, della Valle d'Aosta e del Veneto hanno presentato richiesta di referendum popolare abrogativo della legge 13 marzo 1958, n. 296 (Costituzione del Ministero della sanità) e del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266 (Riordinamento del Ministero della sanità, a norma dell'art. 1, comma 1, lettera h, della legge 23 ottobre 1992, n. 421); la richiesta, dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, é stata poi dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con la sentenza che dà origine al conflitto.
L’atto denunciato come lesivo della sfera di attribuzioni garantita alle Regioni sarebbe stato posto in essere dalla Corte costituzionale nell’esercizio della sua funzione statale di controllo di ammissibilità della richiesta referendaria. Secondo il principio di legittimità costituzionale, che regge il nostro ordinamento, contro questa decisione della Corte, come contro ogni altro atto posto in essere da un organo che fa riferimento all'ordinamento statale e leda la sfera di attribuzione regionale, dovrebbe essere ammissibile il rimedio del conflitto di attribuzione. La legittimazione processuale, trattandosi di conflitto proposto nei confronti di un atto della Corte quale organo dello Stato, spetterebbe al Presidente del Consiglio dei ministri, secondo una regola stabilita espressamente per la legittimazione attiva, quando i conflitti di attribuzione sono proposti dallo Stato (art. 39, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87), ma che varrebbe anche quando il conflitto é proposto dalle Regioni nei confronti dello Stato.
Le ricorrenti sostengono che la motivazione della sentenza che ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum, affermando che l’abrogazione delle disposizioni concernenti l'istituzione ed il riordinamento del Ministero della sanità avrebbe comportato la totale e non consentita estromissione dell'amministrazione statale dalla materia sanitaria, abbia determinato il disconoscimento della sfera di attribuzioni, riservata dalla Costituzione alle Regioni (artt. 5, 71, 75, 121, 134 e 138), di partecipare alla determinazione della volontà normativa statale, non solo nella forma referendaria, ma anche in quella legislativa, ordinaria e costituzionale, ed abbia così determinato una contrazione ed una menomazione della posizione che la Costituzione garantisce alle Regioni nei confronti dello Stato.
Ad avviso delle ricorrenti, la Corte costituzionale, esorbitando dall'ambito dell'esercizio del potere ad essa attribuito di controllare l'ammissibilità della richiesta referendaria, avrebbe manifestato, in nome dell'ordinamento statale, un'intenzione lesiva, attuale e non meramente congetturale, volta al disconoscimento ed alla conseguente compressione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite circa il potere di partecipazione regionale alla determinazione della volontà statale; potere costituzionalmente garantito entro i limiti di legittimità costituzionalmente previsti e che si fonda sulla piena libertà regionale di determinare, nella propria autonomia politica, il contenuto della proposta normativa che si voglia introdurre nell'ordinamento giuridico statale.
La dichiarazione di inammissibilità del quesito referendario in base alla considerazione che la proposta regionale coinvolgerebbe funzioni amministrative costituzionalmente necessarie, la cui indefettibile persistenza nell'ordinamento é stata dedotta dall'art. 32, primo comma, della Costituzione, avrebbe configurato un inammissibile irrigidimento dell'assetto costituzionale italiano, a causa della individuazione di limiti che impediscono la partecipazione regionale alle attività statali mediante l'iniziativa referendaria, e che non potrebbero essere oltrepassati, non solo dall'iniziativa referendaria o legislativa regionale, ma anche dallo stesso legislatore statale ordinario e costituzionale.
Le Regioni ricorrenti riconoscono che rientra tra i compiti della Corte individuare i principi costituzionali immodificabili (sentenza n. 1146 del 1988); ma ritengono che la loro enunciazione nel giudizio di ammissibilità del referendum rischierebbe di trasformare il controllo interno al procedimento referendario in un autonomo procedimento dichiarativo, in via generale ed astratta, dell'esistenza di principi costituzionali impliciti, che la Corte ricercherebbe senza alcuna preventiva delimitazione dei parametri del giudizio, con il rischio di sconfinamenti non bilanciati da un sistema di contropoteri politici ed istituzionali.
1.2. in entrambi i giudizi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili o, in subordine, rigettati, giacchè spetta alla Corte, nell'ambito del giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, accertare se la normativa conseguente all'abrogazione contrasti con le norme ed i principi sanciti dalla Costituzione.
L’Avvocatura sottolinea che i conflitti di attribuzione sarebbero stati proposti per censurare il modo nel quale si é concretamente esplicata la giurisdizione propria della Corte e si risolverebbero chiaramente ed inequivocabilmente in un inammissibile mezzo di gravame della sentenza, esplicitamente escluso dall'art. 137, terzo comma, della Costituzione. Le Regioni, difatti, non contestano che alla Corte spetti il potere di controllare l'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo sotto il profilo della compatibilità con le norme costituzionali, nè che tale giudizio abbia per parametro non solo i limiti generali posti dall'art. 75 della Costituzione ai referendum abrogativi, ma che possa e debba estendersi anche alle altre norme costituzionali. Le ricorrenti contestano, invece, che quelli enunciati dalla Corte siano principi costituzionali e non, piuttosto, mere scelte discrezionali del legislatore ordinario.
Nel merito i conflitti sarebbero comunque infondati, giacchè la deliberazione popolare abrogativa per definizione produce diritto e dà luogo ad un atto avente forza di legge ordinaria. Sarebbe, quindi, coerente con i principi del nostro ordinamento che il controllo di costituzionalità demandato alla Corte, in via preventiva, sulla richiesta di referendum sia in tutto analogo a quello che alla stessa compete, in via successiva, sugli altri atti aventi forza di legge ordinaria, e tenda non solo a verificare che la richiesta non contrasti con i divieti espliciti posti dalla Costituzione al procedimento referendario, ma sia anche diretto a valutare se l'effetto abrogativo produca discipline viziate da contrasto con i principi sanciti dalle altre norme costituzionali.
La verifica di costituzionalità, che compete alla Corte, non produrrebbe, inoltre, le conseguenze aberranti delineate dalle Regioni, giacchè da essa non nasce la immodificabilità delle leggi ordinarie nè un limite al legislatore costituzionale.
2.1. Con due ricorsi di identico contenuto, notificati l'11 aprile 1997, le Regioni Puglia e Lombardia hanno sollevato conflitti di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri (reg. confl., rispettivamente n. 17 e 18 del 1997), ed hanno chiesto - con argomentazioni e conclusioni analoghe a quelle proposte con i ricorsi sopra indicati al punto 1.1. - l'annullamento, in tutto o nella sola parte motiva, della sentenza della Corte costituzionale n. 18, depositata il 10 febbraio 1997, con la quale é stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione di disposizioni legislative in materia di funzioni statali di indirizzo e coordinamento, proposto dalle ricorrenti unitamente alle Regioni Calabria, Piemonte, Toscana, Valle d'Aosta e Veneto e concernente alcune disposizioni della legge 22 luglio 1975, n. 382, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, della legge 23 agosto 1988, n. 400 e della legge 12 gennaio 1991, n. 13.
2.2. In entrambi i giudizi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con argomentazioni e conclusioni analoghe a quelle già enunciate al punto 1.2., che i ricorsi siano dichiarati inammissibili o, in subordine, rigettati.
3.1. Con due ricorsi di identico contenuto, notificati l'11 aprile 1997, le Regioni Puglia e Lombardia hanno sollevato conflitti di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri (reg. confl., rispettivamente n. 19 e 20 del 1997), chiedendo anche in questo caso l'annullamento, in tutto o nella sola parte motiva, della sentenza della Corte costituzionale n. 19, depositata il 10 febbraio 1997, con la quale é stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum popolare in tema di limiti alle attività promozionali delle Regioni all'estero nelle materie di loro spettanza, proposto dalle ricorrenti unitamente alle Regioni Calabria, Piemonte, Toscana, Valle d'Aosta e Veneto e concernente l'abrogazione di una parte dell'art. 4 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
La sentenza che dà origine al conflitto ha ritenuto che la ratio ispiratrice del quesito referendario non sia la sostituzione di un modello di coordinamento con altro diverso ed equivalente dal punto di vista della concretizzazione del principio di leale cooperazione, bensì l’eliminazione in radice di ogni forma di coordinamento fra Stato e Regioni in materia di attività promozionali all’estero, sicchè il referendum tenderebbe a colpire inammissibilmente il principio di leale cooperazione, che trova il suo diretto fondamento nell’art. 5 della Costituzione.
A sostegno dei ricorsi le Regioni propongono argomenti analoghi a quelli sopra esposti al punto 1.1.
3.2. In entrambi i giudizi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari inammissibili o, in subordine, rigetti i ricorsi.
A sostegno di tali conclusioni, l'Avvocatura enuncia i medesimi argomenti sopra esposti al punto 1.2.
4.1. Con due ricorsi di identico contenuto, notificati l'11 aprile 1997, le Regioni Puglia e Lombardia hanno proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri (reg. confl., rispettivamente n. 21 e 22 del 1997), chiedendo anche in questo caso l'annullamento, in tutto o nella sola parte motiva, della sentenza della Corte costituzionale n. 20 depositata il 10 febbraio 1997, con la quale é stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum popolare in materia di partecipazione delle Regioni alle attività dell'Unione europea, proposto dalle ricorrenti unitamente alle Regioni Calabria, Piemonte, Valle d'Aosta e Veneto per abrogare alcune disposizioni (o parti di disposizioni) del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e della legge 9 marzo 1989, n. 86.
La sentenza che dà origine al conflitto ha ritenuto che la ratio della richiesta di abrogazione consisterebbe nella completa rimozione di funzioni che lo Stato é chiamato ad esercitare nei rapporti con la Comunità europea; funzioni che possono essere diversamente disciplinate in direzione di una più consistente valorizzazione del principio autonomistico, ma che non possono essere fatte definitivamente tacere, ostandovi il principio di unità ed indivisibilità della Repubblica, sancito dall’art. 5 della Costituzione.
A sostegno dei ricorsi le Regioni propongono argomenti analoghi a quelli sopra esposti al punto 1.1.
4.2. In entrambi i giudizi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari inammissibili o, in subordine, respinga i ricorsi.
A sostegno di tali conclusioni, l'Avvocatura enuncia i medesimi argomenti sopra esposti al punto 1.2.
5.1. Con due ricorsi di identico contenuto, notificati l'11 aprile 1997, le Regioni Puglia e Lombardia hanno proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri (reg. confl., rispettivamente n. 23 e 24 del 1997), chiedendo - con argomentazioni e conclusioni analoghe a quelle proposte con i ricorsi sopra indicati al punto 1.1. - l'annullamento, in tutto o nella sola parte motiva, della sentenza della Corte costituzionale n. 24, depositata il 10 febbraio 1997, con la quale é stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum popolare in materia di poteri di direttiva dello Stato sulle funzioni amministrative statali delegate alle Regioni, promosso dalle ricorrenti unitamente alle Regioni Calabria, Piemonte, Valle d'Aosta e Veneto, per l'abrogazione parziale dell'art. 4, terzo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
La sentenza che ha dato luogo al conflitto considera a contenuto costituzionalmente vincolato la disposizione che prevede che il Governo impartisca direttive per l’esercizio delle funzioni delegate alle Regioni, che sono tenute ad osservarle.
Ad avviso delle ricorrenti, anche in questo caso la Corte costituzionale avrebbe promosso una scelta discrezionale del legislatore al rango di principio costituzionale fondamentale, sconfinando dal suo ruolo di giudice costituzionale ed impedendo alla Regione di esercitare una sua attribuzione costituzionalmente garantita. Se esistesse una norma o un principio, implicito nel sistema costituzionale, in base al quale lo Stato-delegante ha sempre la possibilità di indirizzare l'esercizio delle attività amministrative delegate alle Regioni, sarebbe impedito lo stesso ricorso ad una delega di tipo devolutivo, e lo Stato sarebbe costretto a fare uso di una delegazione amministrativa nel senso più restrittivo secondo una nozione ormai superata e inapplicabile ai rapporti tra Stato e Regioni.
5.2. In entrambi i giudizi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari inammissibili o, in subordine, respinga i ricorsi.
A sostegno di tali conclusioni, l'Avvocatura enuncia i medesimi argomenti già esposti al punto 1.2.
6. In prossimità dell’udienza le Regioni Puglia e Lombardia hanno presentato, in ciascuno dei giudizi, separate memorie di analogo contenuto.
Le ricorrenti affermano che le iniziative referendarie, inserite in un contesto di profonde spinte all’innovazione, hanno comunque portato all’abrogazione delle norme sottoposte a referendum o ad una loro modifica ad opera del Parlamento. Le Regioni avrebbero così anticipato iniziative che lo stesso Parlamento ha poi materializzato in disposizioni di legge e, attraverso la Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, in potenziali norme della Costituzione.
Nel sollevare i conflitti, le Regioni non avrebbero mirato ad ottenere un ripensamento della Corte al fine di sottoporre al voto popolare i quesiti referendari, come sarebbe dimostrato dal fatto che non é stata presentata istanza di sospensiva. Le Regioni intenderebbero, piuttosto, evitare il rischio che le considerazioni svolte dalla Corte in ordine ai principi costituzionali possano frenare il processo di attuazione di forme più avanzate di assetto dei rapporti Stato-Regioni.
Le ricorrenti affermano di voler difendere il principio secondo cui l’ambito del giudizio di ammissibilità dei referendum sarebbe diverso da quello di costituzionalità e contestano che il controllo di costituzionalità demandato alla Corte in via preventiva sulla richiesta di referendum abrogativo sia analogo a quello che alla stessa compete, in via successiva, sugli atti aventi forza di legge ordinaria, giacchè non spetterebbe alla Corte verificare se l’eventuale effetto abrogativo, totale o parziale, di norme produca discipline viziate da contrasto con i principi sanciti da altre norme costituzionali.
7. All’udienza pubblica del 25 novembre 1997 le Regioni ricorrenti, pur ribadendo le argomentazioni già svolte, hanno chiesto di rinviare la decisione dei conflitti di attribuzione ad una data successiva a quella di approvazione ed entrata in vigore della parte II della Costituzione, all’esito della procedura di revisione prevista dalla legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1, in considerazione delle profonde modifiche già introdotte nel testo del progetto di riforma licenziato dalla Commissione parlamentare per le riforme costituzionali.
In via subordinata, le ricorrenti hanno chiesto che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere per i conflitti in tema di indirizzo e coordinamento, direttive sulle funzioni delegate, attività promozionali delle Regioni all’estero, partecipazioni delle Regioni alle decisioni ed attività di attuazione comunitaria, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e, in subordine alla richiesta di rinvio, hanno dichiarato di rinunziare al conflitto sulla decisione di inammissibilità in materia di sanità.
8. L’Avvocatura dello Stato, ribadendo le argomentazioni già svolte, ha insistito per l’inammissibilità di tutti i ricorsi ed in subordine per il rigetto, opponendosi alla richiesta di rinvio della decisione.
Considerato in diritto
1. I conflitti di attribuzione sollevati dalle Regioni Puglia (reg. confl. nn. 15, 17, 19, 21 e 23 del 1997) e Lombardia (reg. confl. nn. 16, 18, 20, 22 e 24 del 1997) investono cinque sentenze della Corte costituzionale con le quali sono state dichiarate inammissibili altrettante richieste di referendum popolare, proposti dalle ricorrenti unitamente alle Regioni Calabria, Piemonte, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. Le lesioni della sfera di competenze regionali, costituzionalmente garantite, sarebbero state arrecate: dalla sentenza n. 17 del 1997, con la quale é stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum per l’abrogazione di atti legislativi concernenti il riordinamento del Ministero della sanità (legge 13 marzo 1958, n. 296 e decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266); dalla sentenza n. 18 del 1997, con la quale é stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum per l’abrogazione di disposizioni legislative in materia di funzioni statali di indirizzo e coordinamento (alcune disposizioni della legge 22 luglio 1975, n. 382, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, della legge 23 agosto 1988, n. 400 e della legge 12 gennaio 1991, n. 13); dalla sentenza n. 19 del 1997, con la quale é stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum in tema di limiti alle attività promozionali all’estero delle Regioni nelle materie di loro spettanza (abrogazione di una parte dell’art. 4 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616); dalla sentenza n. 20 del 1997, con la quale é stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum in materia di partecipazione delle Regioni alle attività dell’Unione europea (abrogazione di alcune disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e della legge 9 marzo 1989, n. 86); dalla sentenza n. 24 del 1997, con la quale é stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum in materia di poteri di direttiva dello Stato sulle funzioni amministrative statali delegate alle Regioni (abrogazione parziale dell’art. 4, terzo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616).
Le ricorrenti chiedono l’annullamento, in tutto o nella sola parte motiva, delle sentenze denunciate, giacchè esse, quali atti di un organo appartenente all’ordinamento statale, avrebbero prodotto una lesione della sfera di competenza che la Costituzione garantisce alle Regioni nei confronti dello Stato. Ad avviso delle ricorrenti, difatti, le decisioni della Corte costituzionale, sviando dall’ambito del controllo di ammissibilità dei referendum, avrebbero individuato in una sede impropria principi costituzionali fondamentali, tali da porre un limite alla partecipazione regionale alle attività statali mediante l’iniziativa referendaria o legislativa. Inoltre l’individuazione di principi costituzionali immodificabili determinerebbe un irrigidimento del sistema, che rischierebbe di vincolare la stessa revisione costituzionale.
2. Tutti i ricorsi propongono analoghe conclusioni e si basano su argomentazioni pressochè identiche. I relativi giudizi sono evidentemente connessi e possono essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia.
3. Preliminare rispetto ad ogni valutazione di merito, come pure rispetto al rinvio della decisione richiesto in udienza dalle ricorrenti, é l’esame dell’eccezione, proposta dall’Avvocatura dello Stato, di inammissibilità dei ricorsi, perchè essi si risolverebbero in un mezzo di gravame - esplicitamente escluso dall’art. 137, terzo comma, della Costituzione - delle sentenze, della Corte costituzionale in ordine alle quali sono stati proposti i conflitti di attribuzione.
L’eccezione é fondata.
La Costituzione, nello stabilire che contro le decisioni della Corte costituzionale non é ammessa alcuna impugnazione (art. 137, terzo comma), preclude in modo assoluto ogni tipo di gravame diretto a contrastare, annullare o riformare, in tutto o in parte, le decisioni della Corte.
L’espressa esclusione di qualsiasi impugnazione, in coerenza con la natura della Corte costituzionale e con il carattere delle sue pronunce, pone una regola generale, priva di eccezioni, che non si limita ad interdire gravami devoluti ad altri giudici, giacchè non é configurabile un giudizio superiore rispetto a quello dell’unico organo di giurisdizione costituzionale, ma impedisce anche il ricorso alla stessa Corte contro le decisioni che essa ha emesso.
L’esclusione riguarda qualsiasi tipo di impugnazione, qualunque sia lo strumento con il quale é richiesto il sindacato sulle decisioni della Corte costituzionale. Rimane così inibita ogni domanda diretta ad incidere su di una sentenza pronunciata dalla Corte e proposta per ottenerne l’annullamento o la riforma, anche solo nella motivazione, ovvero ad eliderne gli effetti.
I ricorsi delle Regioni Puglia e Lombardia, che chiedono l’annullamento, in tutto o in parte, delle sentenze che hanno dichiarato inammissibili le loro richieste di referendum popolare, si dimostrano diretti a censurare il modo in cui si é concretamente esplicata la giurisdizione della Corte (cfr. ordinanza n. 77 del 1981), e sostanzialmente propongono, nelle forme del conflitto di attribuzione, una impugnazione delle sentenze della Corte, esclusa dalla Costituzione. I ricorsi sono, pertanto, inammissibili.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione proposti dalle Regioni Puglia e Lombardia nei confronti dello Stato e indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Cesare MIRABELLI
Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1998.