SENTENZA N.407
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 458, primo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 19 febbraio 1997 dalla Corte d'assise di Teramo nel procedimento penale a carico di Palmarini Carlo, iscritta al n. 232 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 29 ottobre 1997 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto in fatto
1. - La Corte di assise di Teramo, dopo aver premesso in fatto che un imputato per delitto in ordine al quale é prevista la pena dell'ergastolo (omicidio volontario aggravato dai motivi futili) ha formulato richiesta di giudizio abbreviato dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 458, comma 1, del codice di procedura penale, ma prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, e che il pubblico ministero non ha prestato il proprio consenso deducendo la tardività della richiesta e la non decidibilità del giudizio allo stato degli atti, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 458, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che la richiesta di giudizio abbreviato, anche nelle ipotesi di reato astrattamente punibile con la pena dell'ergastolo, debba essere rivolta al giudice per le indagini preliminari nel termine di giorni sette dalla notificazione del decreto di giudizio immediato. A parere del giudice a quo é irragionevole imporre entro un termine stabilito a pena di decadenza la presentazione della richiesta di giudizio abbreviato, per i reati puniti con la pena dell'ergastolo, al giudice per le indagini preliminari, posto che tale giudice non può che dichiarare inammissibile la richiesta. E' soltanto con riferimento al giudice dibattimentale - osserva la Corte rimettente - che deve articolarsi il termine per la richiesta di giudizio abbreviato, essendo a quell'organo riservato il compito di valutare tale richiesta ai fini della riduzione della pena, ove all'esito del dibattimento ritenga insussistente l'aggravante che determina l'astratta punibilità con la pena dell'ergastolo e, quindi, "ammissibile il giudizio abbreviato e ingiustificato il dissenso del pubblico ministero". D'altra parte, puntualizza il rimettente, la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato prima della apertura del dibattimento é già prevista in sede di giudizio direttissimo.
In ogni caso, conclude il giudice a quo, il termine di sette giorni previsto dalla norma impugnata anche nel caso in cui il rito abbreviato sia precluso dal titolo di reato, si appalesa incongruo ove rapportato al maggior termine di quindici giorni stabilito dall'art. 555, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. per i meno gravi reati attribuiti alla competenza del pretore.
2. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. A parere dell'Avvocatura, l'ipotesi di inammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato rientra nelle regole del sistema, mentre sarebbe al di fuori dello stesso riservare tale richiesta al giudice del dibattimento, non potendo a tal proposito valere quale termine di raffronto il giudizio direttissimo, considerate le differenze che lo separano dal giudizio immediato. L'esclusione del potere del giudice di sindacare l'imputazione, é aspetto, dunque, del tutto irrilevante, "tenuto conto che proprio la particolarità di ciascun procedimento speciale non dovrebbe permettere l'equiparazione tra i diversi procedimenti con presupposti diversi". Quanto alla dedotta incongruità del termine, per formulare la richiesta di giudizio abbreviato, osserva conclusivamente l'Avvocatura, lo stesso é frutto di una discrezionale scelta del legislatore che si giustifica in ragione delle peculiarità del rito, mentre nessun risalto può assumere il diverso termine stabilito dall'art. 555, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., considerata la differenza che sussiste tra il decreto di giudizio immediato ed il decreto di citazione a giudizio nel procedimento pretorile.
Considerato in diritto
1. - La Corte di assise di Teramo solleva, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 458, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che la richiesta di giudizio abbreviato, anche nell'ipotesi di reato astrattamente punibile con la pena dell'ergastolo, debba essere rivolta al giudice per le indagini preliminari nel termine di sette giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato. Posto infatti - osserva la Corte rimettente - che al giudice per le indagini preliminari non é consentito di sindacare l'imputazione e che, pertanto, nel caso di reati puniti con la pena dell'ergastolo, gli é preclusa la possibilità di ammettere il giudizio abbreviato anche se tempestivamente richiesto, risulterebbe priva di ragionevolezza la previsione di un termine di decadenza per la presentazione della richiesta di trasformazione del rito da formulare ad un giudice privo del potere di definire il procedimento allo stato degli atti. Considerato, quindi, che é il giudice del dibattimento l'organo al quale é demandato il compito di procedere all'eventuale "recupero" della richiesta di giudizio abbreviato in funzione della riduzione di pena, qualora all'esito della istruttoria dibattimentale ritenga erroneamente contestata ab origine la circostanza aggravante dalla quale scaturisce la punibilità del reato con la pena perpetua, é con riferimento a quell'organo che dovrebbe a parere del rimettente "articolarsi il termine per la richiesta di giudizio abbreviato", analogamente a quanto previsto nel caso di giudizio direttissimo dall'art. 452, comma 2, cod. proc. pen.
"In ogni caso", conclusivamente rileva il giudice a quo, il termine previsto dalla norma impugnata, ed operante anche nell'ipotesi in cui il titolo di reato sia ostativo alla celebrazione del giudizio abbreviato, risulta incongruo se posto a raffronto con il maggior termine di quindici giorni stabilito dall'art. 555, comma 1, lettera e), del codice di rito, per la analoga richiesta riguardante "i reati di competenza del pretore, all'evidenza di ben minore gravità".
2. - La questione é infondata sotto entrambi i profili dedotti.
La previsione oggetto di impugnativa non può infatti ritenersi in contrasto con nessuno dei parametri invocati, neppure nell'ipotesi in cui al giudice per le indagini preliminari, destinatario della richiesta di giudizio abbreviato, sia preclusa la celebrazione del rito alternativo ostandovi il titolo di reato contestato. Non può infatti profilarsi alcuna violazione del principio del giudice naturale, essendo l'organo al quale proporre la domanda di trasformazione del rito predeterminato dalla legge, nè elusione del diritto di difesa, dal momento che l'imputato é posto in condizioni di formulare le proprie richieste in rito, nè, infine, appaiono in alcun modo prospettabili le dedotte censure di irragionevolezza. Può anzi rilevarsi, a quest'ultimo riguardo, che la soluzione suggerita dalla Corte rimettente di trasferire alla fase che precede la dichiarazione di apertura del dibattimento la previsione del termine per la formulazione della richiesta di giudizio abbreviato, oltre a non potersi certo ritenere l'unica scelta costituzionalmente imposta, presenta, a ben guardare, gli stessi "vizi" che il petitum perseguito intenderebbe sanare, giacchè anche per il giudice chiamato a celebrare quella fase - per di più privo, a differenza del giudice che ha emesso il decreto di giudizio immediato, del fascicolo contenente gli atti delle indagini e, quindi, neppure in grado di verificare se il processo possa essere definito allo stato degli atti - permarrebbe inalterata l'impossibilità di celebrare il rito alternativo, proprio perchè vi osta il titolo di reato e difetta in quella fase il potere di controllo in ordine alla correttezza della imputazione elevata.
Per altro verso, neppure pertinente si rivela il richiamo alla disciplina dettata in tema di trasformazione del rito direttissimo dall'art. 452, comma 2, cod. proc. pen., attesa l'evidente eterogeneità dei modelli posti a raffronto e considerato che quella previsione - come si precisa nella Relazione al codice - é stata dettata dall'intendimento "di evitare una non economica retrocessione del procedimento al giudice delle indagini preliminari".
Se da un lato, dunque, il composito quadro scaturito dalle pronunce di questa Corte in tema di giudizio abbreviato e reati puniti con la pena dell'ergastolo presenta indubbiamente aspetti problematici, al punto da aver generato un riproporsi di questioni in sè indicative "del disagio degli organi giurisdizionali nell'applicazione del giudizio alternativo in discorso", non può tuttavia non ribadirsi che a tale articolata gamma di dubbi attuativi e di perplessità di coerenza sistematica soltanto il legislatore "può porre rimedio, ridisegnando l'istituto, su questo come su altri profili (cfr. sentenze nn. 328, 187 e 92 del 1992), in termini di maggiore razionalità della disciplina e così di più adeguato utilizzo di questo strumento alternativo al giudizio ordinario" (v. ordinanza n. 449 del 1995).
Per ciò che infine concerne la dedotta incongruità del termine stabilito dalla norma oggetto di impugnativa in rapporto al diverso e maggior termine previsto dall'art. 555, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in tema di procedimento davanti al pretore, questa Corte ha già avuto modo di disattendere la fondatezza di analoga censura. A tale riguardo, si é infatti osservato, fra l'altro, che, a differenza "di quanto accade per l'emissione del decreto di citazione a giudizio davanti al pretore, il giudizio immediato può essere ritualmente introdotto soltanto nei casi in cui la prova appare evidente; un requisito, questo, che si salda all'altro - parimenti assente nel procedimento pretorile - rappresentato dal termine di novanta giorni entro il quale il pubblico ministero deve formulare al giudice la richiesta di giudizio immediato a far tempo dalla iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335 del codice di procedura penale, e che segnala la peculiare speditezza di un rito la cui specialità trae alimento proprio dalla sostanziale chiarezza dei fatti, ritenuti, dunque, di pronto e agevole accertamento" (v. sentenza n. 122 del 1997). Peculiarità, quindi, che per un verso adeguatamente giustificano la brevità del termine e, sotto altro profilo, segnalano l'improprietà del tertium evocato a raffronto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 458, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, dalla Corte di assise di Teramo con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Giuliano VASSALLI
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1997.